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Moda: CMA bacchetta le big del fast fashion (Asos, Boohoo e George) contro il greenwashing

Una lettera aperta alle aziende del settore della moda per informarle che il vento sta cambiando e che non sono più ammessi sotterfugi sulle dichiarazioni ambientali: le informazioni riportate devono essere accurate e veritiere, riflettere i reali investimenti e chiarire nello specifico in che modo è stato ridotto l’impatto ambientale di un prodotto definito sostenibile. Per la CMA (Competion and Markets Authority), l’agenzia governativa inglese che regola la concorrenza nel Regno Unito, autore della lettera, è infatti necessario indicare, tra i vari elementi, le percentuali di materiale riciclato di un prodotto che non può essere definito “riciclato” o “biologico” se non soddisfa determinati criteri i quali devono essere chiaramente definiti, comunicati al consumatore e facili da reperire.

Ma andiamo con ordine. Tutto è iniziato due anni fa con un’indagine, a luglio 2022, da parte del CMA che aveva esaminato le dichiarazioni “verdi” delle tre big inglesi del (fast) fashion ASOS, Boohoo e George at Asda. Dopo il boom dello shopping online, complice la pandemia del Covid-19, negli ultimi anni i tre rivenditori di moda hanno avuto una crescita repentina e oggi insieme fatturano oltre 4,4 miliardi di sterline all’anno solo con le vendite nel Regno Unito. Per soddisfare le preferenze dei propri consumatori e delle proprie consumatrici, spesso giovani (Boohoo, per esempio, si rivolge esclusivamente ad acquirenti dai 16 ai 30 anni), per un numero sempre maggiore di prodotti, quindi vestiti, abiti e accessori venduti, sono iniziate a comparire indicazioni, sui siti delle aziende, riguardanti la sostenibilità. Affermazioni spesso però non chiare o inesatte che potevano confondere il consumatore, secondo quanto stabilito dalla CMA. È per questo che, chiamate all’ordine dal dipartimento governativo, le tre hanno firmato un mese fa un accordo formale con l’autorità impegnandosi ad utilizzare solo indicazioni ecologiche accurate e chiare. Le tre sono dunque state (ri)chiamate a modificare il modo in cui espongono, descrivono e promuovono le caratteristiche “ecologiche” dei prodotti venduti.

In particolare, la CMA ha posto l’attenzione sulle indicazioni ecologiche (green claim in inglese), le dichiarazioni sui tessuti e sugli obiettivi ESG perseguiti dall’azienda, i criteri secondo cui un prodotto è definito “green”, l’uso delle immagini, i filtri di selezione dei prodotti sui siti e sulle certificazioni di prodotto.

Seppur firmato solo da ASOS, Boohoo e George at Asda l’autorità, attraverso la lettera pubblica, ha reso noto che gli impegni presi dalle tre costituiscono un punto di riferimento per il settore della moda e ha esortato le imprese del fashion retail a rivedere le proprie richieste e pratiche alla luce dell’accordo firmato. La CMA ha inoltre anticipato che amplierà l’attuale Codice dei reclami verdi (the Green Claims Code) con informazioni aggiuntive che saranno adattate all’industria del fashion. “Il Codice”, ha ricordato l’agenzia governativa nella lettera aperta alle aziende del settore, “stabilisce come la legge sulla protezione dei consumatori si applichi alle dichiarazioni ambientali e offre un quadro di riferimento per le imprese che devono fornire dichiarazioni ambientali che aiutino i consumatori a fare scelte informate. La legge cerca di proteggere i consumatori da affermazioni ambientali fuorvianti e, così facendo, protegge anche le imprese dalla concorrenza sleale. Consente alle imprese di comunicare in modo trasparente ai consumatori i loro sforzi reali e di trarne i vantaggi commerciali”.

Le regole per il settore della moda

Le aziende della moda devono dunque garantire che tutte le indicazioni ecologiche siano accurate e non fuorvianti. Le informazioni chiave devono essere chiare ed evidenti, ovvero devono essere espresse in un linguaggio semplice, facile da leggere e ben visibile agli acquirenti.

Al contempo, le dichiarazioni relative ai tessuti e in generali ai materiali usati per i prodotti delle gamme definite sostenibili o green devono essere specifiche e chiare, usando per esempio termini come “organico” o “riciclato”, e non parole ambigue come “ecologico”, “responsabile” o “sostenibile” senza dare ulteriori spiegazioni. Inoltre, la percentuale di fibre riciclate o organiche deve essere chiaramente indicata e facilmente visibile. Un prodotto non può essere definito “riciclato” o “biologico” se non soddisfa determinati criteri che devono essere ben definiti, comunicati al consumatore e facili da reperire.

E i criteri utilizzati per decidere quali prodotti includere nelle collezioni “ecologiche” ( nel caso delle tre aziende messe sotto accusa la CMA ha fatto riferimento all’ex “Responsible edit” di ASOS, alla gamma “Ready for the Future” di Boohoo e “George for Good” di Asda) devono essere chiaramente definiti e specificare eventuali requisiti minimi. Per esempio, se i prodotti devono contenere una certa percentuale di fibre riciclate per essere inclusi nell’assortimento, questo deve essere reso chiaro. I prodotti non devono essere commercializzati o etichettati come parte di una gamma ambientale se non soddisfano tutti i criteri pertinenti.

Le aziende, inoltre, non devono utilizzare immagini “naturali”, come foglie verdi, loghi o icone per suggerire che un prodotto è più ecologico di quanto non sia in realtà. E sui siti, i filtri di ricerca devono essere accurati, mostrando solo gli articoli che soddisfano i requisiti del filtro: quindi, se un consumatore utilizza un filtro per trovare pantaloni “riciclati”, dovrebbero essere mostrati solo pantaloni realizzati con materiali prevalentemente riciclati.

Secondo quanto stabilito dal CMA, poi, qualsiasi affermazione fatta ai consumatori in merito agli obiettivi ambientali deve essere supportata da una strategia chiara e verificabile, e i consumatori devono poter accedere a maggiori dettagli in merito. Tali informazioni devono includere l’obiettivo che si intende raggiungere, la data in cui si prevede di raggiungerlo e il modo in cui l’azienda in questione cercherà di raggiungerlo. Infine, le dichiarazioni sulle certificazioni e/o label di prodotto e sugli standard non devono essere fuorvianti.

Basta quindi inesattezze in UK per il mondo della moda, e soprattutto per il fast fashion. Una direzione, quella inglese, in linea con le recenti direttive UE, dalla CSRD a quella sul greenwashing che si focalizzano sulla disclosure aziendale e sulla comunicazione sul fronte della sostenibilità, impegnando le imprese a dare informazioni misurabili e verificabili, fino alla CSDDD e alla direttiva sul packaging che mirano a responsabilizzare le aziende sull’impatto di tutta la filiera e di ogni aspetto del prodotto, anche le confezioni.