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Analisi di Deloitte

Mercati del carbonio: cosa sono e come migliorarli per raggiungere il net zero

Nel percorso di transizione globale verso un’economia a basse emissioni di CO2 i mercati del carbonio hanno un ruolo particolarmente importante. Tuttavia, i sistemi che esistono attualmente non hanno ancora raggiunto una maturità tale da permettere a governi, aziende e società civile di coglierne appieno i benefici. Secondo Deloitte, a presentare le maggiori criticità non sono tanto i mercati con schemi obbligatori come i mercati del carbonio di conformità (CCM), di cui l’ETS (European Trading System) europeo è un esempio, ma piuttosto i mercati volontari del carbonio (VCM). Questi ultimi, infatti, sono caratterizzati da un’ampia frammentazione, nonché da una dubbia qualità dei crediti di carbonio e una controversa trasparenza dei dati su progetti e transazioni. 

La chiave per migliorare tali mercati, che Deloitte suggerisce nell’approfondimento “How carbon markets should evolve to meet net zero ambitions”, consiste in una maggiore cooperazione tra i vari stakeholder per individuare criteri di certificazione comuni e per garantire allo stesso tempo aggiornamenti delle infrastrutture di mercato e innovazione finanziaria. 

Una maggiore collaborazione tra le parti interessante, secondo Deloitte, avrebbe dei benefici anche sui mercati regolamentati basati sul sistema “cap and trade”, come quello europeo. Tale meccanismo consiste nella determinazione di un tetto massimo di emissioni nocive consentite a determinati settori produttivi e permette ai soggetti onerati di commerciare le quote assegnate.

Le azioni volte a migliorare i mercati del carbonio devono essere tempestive, sottolinea la società di consulenza e revisione, dato che secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) restano circa 10 anni per evitare danni irreversibili derivanti dal cambiamento climatico. Tracciare il percorso verso un futuro più sostenibile richiederà finanziamenti significativi, investimenti mirati e cooperazione globale per affrontare l’impatto delle emissioni in modo concreto. “I mercati del carbonio possono contribuire a tutti e tre questi obiettivi, ma per farlo dovrebbero prima diventare più robusti e credibili. Altrimenti, lo stato attuale di questo ecosistema” fratturato “potrebbe impedirgli di realizzare una rapida decarbonizzazione su larga scala”, si legge nel report.

Chi sono gli stakeholder dei mercati del carbonio

Gli attori dei mercati del carbonio sono le aziende, che nello specifico rappresentano il lato della domanda nel mercato. Vi sono poi gli sviluppatori dei progetti (“project developer” in inglese) che si occupano di individuare luogo e collaboratori adatti per realizzare i progetti di compensazione o di riduzione delle emissioni. Per trovare uno standard di certificazione comune entrano in gioco, invece, gli enti certificatori, che si occupano di tenere traccia anche delle transazioni di compravendita dei crediti di carbonio. Mentre gli enti terzi di validazione pensano alla verifica dei documenti presentati dagli sviluppatori di progetto, che devono essere allineati agli standard di certificazione. Ad animare i mercati del carbonio vi sono anche soggetti finanziari, tra broker e intermediari, che si occupano per lo più di fornire consulenza alle aziende nella fase di scelta dei crediti di carbonio da acquistare. 

Tra gli stakeholder vanno menzionati anche i governi che, nei mercati regolamentati stabiliscono le tariffe dei crediti di carbonio e le modalità degli scambi. Ma essi hanno un ruolo di primo piano anche nei mercati volontari, dove possono interagire con aziende, enti certificatori e enti terzi di validazione per allineare le dinamiche dei mercati volontari alle specifiche giurisdizioni.

Mercati obbligatori e volontari

I mercati del carbonio sono uno strumento che permette di attribuire un prezzo per tonnellata di CO2 prodotta, facendo in modo che le aziende paghino – in tutto o in parte – per ciò che emettono. Come detto, esistono due categorie principali: i mercati obbligatori e regolamentati (CMC) e i mercati volontari (VCM). 

Lanciato nel 2005, l’ETS europeo è un chiaro esempio di mercato regolamentato di tipo “cap and trade” che ha l’obiettivo di ridurre le emissioni dell’industria dell’UE. L’Unione Europea fissa un tetto massimo di emissioni nocive consentite, che viene ridotto ogni anno in linea con l’obiettivo climatico dell’UE per garantire che le emissioni diminuiscano nel tempo. Il tetto è espresso in quote di emissione, dove una quota dà il diritto di emettere una tonnellata di CO2eq (anidride carbonica equivalente). Per ogni anno, le aziende devono restituire quote sufficienti per rendere pienamente conto delle loro emissioni, altrimenti vengono imposte pesanti multe. All’interno del tetto, le imprese acquistano principalmente quote sul mercato del carbonio dell’UE, ma ricevono anche alcune quote gratuitamente, e possono inoltre scambiarsi le quote tra loro, se necessario.

La riduzione del tetto è un meccanismo importante che garantisce che le quote abbiano un valore di mercato. Il prezzo delle quote funge da incentivo per le aziende a ridurre le emissioni come e dove costa meno farlo, e determina inoltre le entrate che l’EU ETS genera dalla vendita delle quote (dal 2013 l’EU ETS ha generato entrate per oltre 152 miliardi di euro). 

Al momento, ad essere coperte dall’ETS europeo sono le emissioni di gas serra di circa 10.000 impianti del settore energetico e dell’industria manifatturiera, nonché degli operatori aerei che volano all’interno dell’UE e in partenza verso la Svizzera e il Regno Unito. Ma da quest’anno, l’EU ETS copre anche le emissioni derivanti dal trasporto marittimo.

Sia in Europa che altrove, le aziende che non sono interessate dai sistemi obbligatori possono ricorrere ai mercati volontari, dove possono acquistare i crediti di carbonio per finanziare un progetto di compensazione o riduzione. Prima di acquistare i crediti, le aziende devono misurare le proprie emissioni, attraverso sistemi come l’LCA (Life Cycle Assessment), ovvero l’analisi del ciclo di vita di prodotti e servizi, oppure la carbon footprint (impronta carbonica), che misura l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 di un determinato prodotto lungo il suo intero ciclo di vita. Poi, una volta quantificate le emissioni, le imprese valutano e applicano modalità e strategie per poterle ridurre e infine possono decidere di compensare quelle residue, ossia quelle che non riescono ad abbattere. In tal caso, le convertono in un numero quantificabile che permette loro di acquistare i crediti corrispondenti.

A spingere le imprese ad accedere a questi mercati, pur non essendo costrette, sono per lo più motivi reputazionali o talvolta legati alle strategie di decarbonizzazione delle società.

Sfide principali dell’evoluzione dei mercati di carbonio (CCM e VCM)

Sebbene i mercati del carbonio di conformità (CCM), ovvero i programmi “cap-and-trade” regolamentati, siano ben consolidati, i requisiti normativi divergenti tra le giurisdizioni, i diversi livelli di ambizioni climatiche e le differenti fasi di sviluppo impediscono una maggiore convergenza tra i mercati. 

Ma sono i mercati volontari del carbonio (VCM), dove governi, organizzazioni e individui possono acquistare crediti a piacimento, ad affrontare maggiori ostacoli legati in primis alla mancanza di standard condivisi, in parte a causa dell’enorme numero di attori che operano al loro interno. In tali mercati spesso acquirenti, venditori e intermediari hanno difficoltà a monitorare e convalidare i crediti sottostanti in modo sistematico, credibile e coerente. Ciò comporta possibili rischi reputazionali e può contribuire a ridurre la domanda: alcune aziende, per esempio, hanno smesso del tutto di includere crediti di carbonio nei loro impegni climatici e negli obiettivi di zero emissioni. Tale riluttanza da parte dei potenziali acquirenti potrebbe anche mantenere bassi i prezzi del carbonio, sottolinea Deloitte. 

In diverse giurisdizioni vi sono poi anche questioni legali e di conformità che riguardano, per esempio, il tema del come vengono considerati i crediti di carbonio (proprietà personale o meno), la divergenza tra i crediti di carbonio trattati come beni immateriali o diritti contrattuali che cambia a seconda della giurisdizione e l’incertezza sull’orientamento dei requisiti patrimoniali di Basilea III. 

Tuttavia secondo Deloitte, nonostante queste criticità, le parti interessate non dovrebbero perdere di vista il potenziale dei mercati volontari per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione globale. Nell’ultimo decennio, infatti, i mercati volontari non solo hanno raggiunto un valore di 2 miliardi di dollari, ma hanno adottato misure significative per migliorare i meccanismi di monitoraggio e supervisione, affinare le metodologie per quantificare i benefici dei progetti sottostanti, rafforzare i principi contabili e di rendicontazione e intensificare l’attenzione sulle comunità e sui diritti fondiari nei paesi interessati.

Come l’accordo di Parigi potrebbe dare impulso ai mercati del carbonio

Uno strumento importante per aumentare l’efficacia dei mercati del carbonio e consentire un maggiore scambio transfrontaliero è il programma di lavoro dell’Accordo di Parigi. Nel dettaglio, l’articolo 6.2 del trattato ratificato a Parigi nel 2015 dai membri Onu specifica come dovrebbero essere contabilizzati i trasferimenti di crediti di carbonio, mentre l’articolo 6.4 stabilisce un’architettura funzionale per l’implementazione dei mercati internazionali del carbonio e chiarisce come i governi dovrebbero contabilizzare i crediti negli obiettivi nazionali sulle emissioni.

Secondo Deloitte, attraverso approcci cooperativi per trasferire crediti di carbonio tra paesi, noti con l’acronimo “ITMO” (Internationally Transferred Mitigation Outcomes), le disposizioni delineate nell’articolo 6 potrebbero contribuire a rafforzare i mercati volontari consentendo alle aziende e agli individui di partecipare a un sistema globale sincronizzato che si attiene alle stesse politiche adottate dai governi per autorizzare le richieste di riduzione delle emissioni di carbonio. 

I crediti autorizzati ai sensi delle norme dell’articolo 6 incorporano anche un “aggiustamento corrispondente” per certificare che le riduzioni delle emissioni di un credito di carbonio non sono incluse negli obiettivi climatici nazionali del paese venditore e possono quindi essere rivendicate da acquirenti esterni. Questo meccanismo di contabilità consentirebbe alle organizzazioni non governative di acquistare crediti di carbonio accreditati dalle Nazioni Unite, che garantiscono che solo l’acquirente manterrà i suoi benefici climatici.

Perché serve maggiore integrazione per potenziare i mercati del carbonio

All’inizio del 2023 in tutto il mondo operavano più di 24 mercati di conformità e, secondo Deloitte, ne verranno lanciati molti altri nei prossimi anni in paesi come il Giappone, il Messico, la Corea del Sud e la Nuova Zelanda. Ma è possibile che vengano proposti anche altri sistemi di scambio di quote di emissioni sovranazionali, come l’ETS europeo.

Per facilitare una maggiore integrazione del mercato, molti governi stanno iniziando a collegare i propri mercati di conformità con quelli di altri paesi. Una mossa che, secondo Deloitte, può portare una serie di benefici, tra cui l’ampliamento dell’ambito di copertura e la possibilità di progressi nelle giurisdizioni locali

Collegare i mercati può anche portare alla convergenza dei prezzi. Stabilire un prezzo comune del carbonio tra i sistemi può ridurre al minimo le fluttuazioni dei prezzi e aumentare la liquidità. Inoltre, i collegamenti possono far diminuire il costo eccessivo delle emissioni consentendo alle aziende nelle regioni con costi di abbattimento più elevati di acquistare quote da regioni in cui l’abbattimento è più economico. Ciò, a sua volta, può spingere i paesi a fissare obiettivi climatici più ambiziosi per i loro settori, tanto del pubblico quanto del privato. 

Un esempio di collegamento internazionale degli ETS è quello del 2014 tra i sistemi “cap-and-trade” nello stato della California e quelli della provincia del Quebec, una relazione che ha prodotto valore per entrambe le entità riducendo significativamente le emissioni e generando miliardi di dollari USA nelle entrate. L’iniziativa ha avuto un tale successo che lo stato di Washington sta valutando di aderirvi, quasi un intero decennio dopo, sottolinea Deloitte.  Queste giurisdizioni stanno prendendo in considerazione anche stati e province al di fuori del Nord America e potrebbero presto tentare di includere Messico e Brasile.

Esistono però diversi gradi di collegamenti che le giurisdizioni possono perseguire, a seconda delle loro capacità e di quanto strettamente desiderano essere interconnesse. I collegamenti diretti o “completi” consentono alle giurisdizioni di acquistare e vendere quote attraverso i sistemi di scambio. Un esempio riportato da Deloitte nel report è il collegamento tra l’ETS svizzero e quello dell’UE che crea un unico prezzo del carbonio e consente ai membri di utilizzare le quote in entrambi i sistemi. 

collegamenti indiretti, d’altro canto, sono meno rigidi e più predisposti alla condivisione di best practices. Per esempio, quando la Cina stava creando il suo nuovo mercato del carbonio, lo stato della California ha offerto consulenza sulla progettazione, sui protocolli di reporting e verifica e sui meccanismi di applicazione. Di conseguenza, il mercato del carbonio della California-Quebec e l’ETS cinese hanno soglie di emissione e requisiti di rendicontazione simili, e le aziende che operano in Cina e California possono scambiare crediti da un mercato del carbonio con crediti all’altro attraverso accordi finanziari strutturati. 

La creazione di nuovi mercati regionali del carbonio o la facilitazione di una maggiore integrazione tra di essi utilizzando gli approcci cooperativi dell’articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi può creare infrastrutture comuniallineare i meccanismi di tariffazione e attrarre nuovi attori. Questi mercati regionali potrebbero inoltre eventualmente fungere da base per un regime commerciale globale, contribuendo a garantire che i paesi siano meglio preparati per una maggiore convergenza dei mercati. “Le economie del G20 insieme rappresenteranno l’85% delle emissioni mondiali nel 2030 e il loro allineamento su un prezzo minimo del carbonio potrebbe promuovere l’equità climatica, dato il loro record storico di emissioni”, sottolinea Deloitte. 

Il ruolo di governi, politici e regolatori per lo sviluppo dei mercati del carbonio

Data la crescente complessità dell’ecosistema del commercio del carbonio e la nascita di numerose reti e piattaforme per lo scambio di CO2, i leader governativi e i loro organi di supervisione possono infondere maggiore credibilità ai mercati del carbonio e offrire indicazioni su come parteciparvi. Che si tratti di sviluppatori di progetti a livello locale o di grandi aziende con una presenza globale, le parti interessate hanno bisogno di chiarezza sui protocolli che dovrebbero utilizzare per generare e negoziare crediti di carbonio. Le istituzioni del settore pubblico dovrebbero mirare in particolare a fornire indicazioni sulle iniziative ispirate all’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, chiarire come strutturare i contratti per diversi tipi di crediti di carbonio, aiutare gli stakeholder a orientarsi tra molteplici giurisdizioni legali e assisterli nella standardizzazione di termini commerciali, definizioni e norme.

Altre azioni individuate da Deloitte per contribuire a far avanzare l’evoluzione dei mercati del carbonio includono:

  • Indagare e porre rimedio alle accuse di cattiva condottacollaborare con altri governi e organizzazioni sovranazionali per convergere sulle normative del mercato del carbonio;
  • Promuovere la produzione di piattaforme di scambio centralizzate per i mercati volontari del carbonio;
  •  Consentire più crediti di alta qualità e basati sulla natura nei mercati della conformità;
  • Fornire indicazioni ai mercati emergenti delle materie prime legate al carbonio;
  • Approvare leggi fiscali che sollecitano lo sviluppo dell’innovazione climatica per aumentare l’offerta di crediti di carbonio basati sulla tecnologia nel mercato;
  • Creare quadri legislativi per promuovere la liquidità nei mercati obbligatori del carbonio

Gruppi industriali, organizzazioni sovranazionali e alleanze per il clima: identificare e risolvere le sfide industriali 

Poiché i mercati globali del carbonio non dispongono di un unico organismo di supervisione, i gruppi e le coalizioni industriali dovrebbero aderire a impegni, standard e obiettivi condivisi. Anche le associazioni industriali possono svolgere un ruolo importante nel rafforzamento delle capacità e nello sviluppo delle infrastrutture grazie alle loro conoscenze collettive e alle capacità di risoluzione dei problemi. Inoltre, le alleanze possono lavorare insieme per promuovere pratiche leader e incoraggiare una maggiore partecipazione da parte di governi, intermediari e acquirenti.

Altre azioni per contribuire a far avanzare l’evoluzione dei mercati del carbonio includono:

  • Elaborazione di standard volontari che chiariscano come le organizzazioni e i paesi possono utilizzare i crediti di carbonio nei loro piani di transizione, specificando in che misura si inseriscono nei framework di raggiungimento del net zero e come tali azioni dovrebbero essere rese pubbliche;
  • Collaborare con le borse valori, sia tradizionali che emergenti, per supportare mercati del carbonio più liquidi attraverso nuovi prodotti, piattaforme e standard di quotazione;
  • Sviluppare e utilizzare certificazioni che promuovono solidi risultati legati allo sviluppo sostenibile, un’elevata integrità ambientale e danno potere alle popolazioni indigene e alle comunità locali;
  • Accelerare gli sforzi per trovare una convergenza su un prezzo globale del carbonio o fissare un prezzo minimo basato su soglie per le economie sviluppate, le economie emergenti ad alto reddito e le economie emergenti a basso reddito;
  • Fissare e applicare una soglia globale definitiva per compensazioni di carbonio di alta qualità

Aziende: dare priorità alla riduzione delle emissioni e valutare le compensazioni

Spetta alle aziende dare priorità alla riduzione delle emissioni lungo la loro catena del valore, quindi utilizzare i crediti di carbonio per tenere conto di eventuali emissioni residue. Possono anche facilitare la creazione di crediti di carbonio di qualità superiore adottando rigorose procedure di controllo. Possono inoltre sostenere gli standard volontari emergenti utilizzando nuove metodologie per tenere conto dei crediti di carbonio nei loro piani di transizione. 

Intermediari finanziari: migliorare l’accesso al capitale e promuovere l’efficienza

I mercati del carbonio necessitano di infrastrutture robuste e affidabili in grado di facilitare i flussi di capitale e promuovere l’efficienza. Gli intermediari finanziari hanno lavorato fino ad oggi per sviluppare una solida struttura per il commercio globale di carbonio e, secondo Deloitte, dovrebbero continuare a impegnarsi per far sì che prodotti, piattaforme e processi funzionino nel modo più fluido possibile. L’innovazione può assumere molte forme e, in alcuni casi, potrebbero essere sperimentate nuove possibilità o essere integrate quelle esistenti. Il London Stock Exchange Group (LSEG), per esempio, ha recentemente lanciato un nuovo mercato per i crediti di carbonio che stabilisce regole di quotazione per le aziende che finanziano progetti di riduzione e compensazione del carbonio. Gli intermediari possono anche prendere in considerazione il lancio di nuovi strumenti che aiutano i mercati del carbonio a crescere ed evolversi. Le banche e le società finanziarie, in particolare, possono lavorare per indirizzare i finanziamenti verso gli investimenti climatici.