Osservatorio H2 Verde Agici-Fichtner

Idrogeno, Italia in ritardo, serve strategia integrata

È ormai opinione condivisa che l’idrogeno verde sia un vettore energetico fondamentale per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e affrontare le sfide climatiche globali, ma l’Italia rischia di perdere il treno. La Penisola deve ancora definire una strategia integrata che possa inserirla in maniera decisa nel panorama internazionale. Ad oggi, infatti, lo Stivale è concentrato su piccoli progetti nazionali, ma è necessario definire un modello di market design chiaro, per ridurre il gap strategico e competitivo tra l’Italia e gli altri Paesi europei (che hanno già una visione lampante sul ruolo che vogliono assumere nel mercato internazionale dell’idrogeno) e che permetta al nostro Paese di diventare un centro di produzione per il mercato nazionale e hub di transito tra Mediterraneo e Nord Europa. È quanto emerso dal Workshop Annuale dell’Osservatorio H2 Verde Agici-Fichtner, dal titolo Idrogeno: da scommessa a pilastro della decarbonizzazione. Serve un cambio di passo!, che si è tenuto oggi a Milano. Il workshop ha presentato i risultati delle ricerche dell’Osservatorio, giunto alla sua seconda edizione, che ha analizzato le iniziative e strategie per l’idrogeno dei principali operatori energetici in Europa, esaminando lo stato dell’arte delle tecnologie per produzione, trasporto e consumo, e ha confrontato le scelte di policy di un gruppo selezionato di Paesi con un inquadramento del contesto italiano.

Tra le prime indicazioni, lo studio Agici-Fichtner dimostra come le tecnologie per l’idrogeno siano già presenti e diffuse, ma le capacità di applicarle in un modello di scala sono ancora limitate. Un particolare approfondimento è stato condotto sulle tecnologie per gli elettrolizzatori, facendo emergere come maggiormente efficienti quelli alcalini e a membrana a scambio protonico (PEM). Rispetto a quest’ultimi, le previsioni dell’Osservatorio mostrano come uno scale up della produzione possa dimezzarne i costi entro il 2030 (da 800 a 400 €/kW). Focus anche sulle modalità di trasporto dell’idrogeno: attraverso un’analisi comparativa, l’Osservatorio ha mostrato come le pipeline (idrogenodotti) siano preferibili per il trasporto di grandi volumi su lunghe distanze, mentre per quanto riguarda volumi più piccoli il trailer resta la soluzione più efficace.

“Dal punto di vista della realizzazione dei progetti non ci sono temi tecnologici ostativi, bensì è necessario acquisire tutte le competenze per la migliore attuazione”, ha dichiarato Massimo Andreoni, Head Management Consulting Fichtner che insieme a Stefano Clerici, Consigliere Delegato di Agicisi, ha presentato i risultati dell’analisi. “Infatti”, ha proseguito Andreoni, “la complessità dell’ecosistema di soggetti coinvolti (produttori, consumatori, operatori di logistica) e della filiera tecnica richiedono competenze oggi ancora non pienamente disponibili sul mercato. La scelta oggi obbligata di sistemi “chiusi”, cioè autosufficienti, non deve fare perdere di vista l’obiettivo strategico dello sviluppo di infrastrutture per tutta la filiera dell’idrogeno”

Nella parte conclusiva, lo studio analizza le strategie dei principali Paesi europei (e non solo) fornendo indicazioni per definire un modello di market design per l’Italia. Secondo Andreoni e Clerici si tratta di formulare una strategia, identificare un sistema di approvvigionamento e consumo, pianificare lo sviluppo infrastrutturale e un quadro di incentivi (per produzione, consumo e infrastrutture) per creare un mercato nazionale che sia veramente competitivo.

Dal confronto condotto dall’Osservatorio, emerge infatti come i Paesi benchmark (Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e Stati Uniti) abbiano ormai delineato il proprio ruolo all’interno del quadro globale, specializzandosi nell’import (per esempio la Germania), nell’export (Stati Uniti) o nella produzione per specifici cluster industriali (Regno Unito).

“L’idrogeno verde rappresenta oggi uno degli elementi cardine della strategia di decarbonizzazione definita dall’Unione Europea e, in quanto tale, è salito in cima all’agenda di operatori e Paesi”, ha commentato Stefano Clerici, Consigliere Delegato di Agici. “È in corso un cambio di paradigma nel modello di produzione energetica e diversi Stati si sono già mossi per adeguarsi, definendo chiaramente il loro ruolo nello scenario internazionale dell’idrogeno. In questo quadro, l’Italia si trova in ritardo. Anche sulla base del contesto regionale che si sta delineando, riteniamo che l’Italia possa ritagliarsi un ruolo di produttore della molecola, già nel breve periodo, e di hub di transito, nel medio-lungo periodo, tra Mediterraneo e del Nord Europa”, ha concluso.

E da questo punto di vista servono degli abilitatori di processo tra cui spicca Snam. “Come Snam vogliamo dare una risposta concreta alle questioni poste dal trilemma dell’energia e rivestire il ruolo di abilitatori della transizione energetica grazie ad infrastrutture al 100% pronte al passaggio di molecole verdi come l’idrogeno” ha spiegato Giovanna Pozzi, Head of Decarbonization Business Analysis and Design di Snam, “Snam si inserisce nel panorama europeo come player protagonista nella grande sfida della transizione energetica, grazie a progettualità quali la dorsale adriatica e il SoutH2 Corridor, candidato a diventare un PCI europeo, in grado di rendere l’Italia un hub imprescindibile nel nuovo contesto energetico che si sta delineando, pronto ad accogliere maggiori flussi dal Sud, permettendo anche il passaggio di idrogeno diventando Paese esportatore verso nazioni come Germania e Austria e verso il continente”

La roadmap per l’Italia sull’idrogeno delineata dall’Osservatorio H2 Verde Agici-Fichtner

In Italia l’Osservatorio ha rilevato una scarsa integrazione delle iniziative lungo la value chain e una concentrazione di progetti con capacità di produzione di piccola taglia. L’ingresso del Bel Paese nel mercato dell’idrogeno passa soprattutto dai finanziamenti pubblici. Ammontano infatti a 1,14 miliardi di euro i fondi allocati con il PNRR nel 2023 (su un totale di 3,9 previsti) che hanno contribuito a incrementare del 93% le iniziative in ambito idrogeno rispetto al 2022. Un andamento in netta crescita, su cui però si rileva, secondo Agici-Fichter, la necessità di definire chiaramente degli incentivi, in particolare sugli OPEX, per abbattere i costi operativi e stimolare ulteriormente gli investimenti. La roadmap per l’Italia dell’Osservatorio parte infatti proprio dalla definizione di incentivi chiari che rendano competitiva la produzione locale di idrogeno. È necessario poi stimolare lo sviluppo della domanda nazionale nei settori target, pianificare la realizzazione di infrastrutture nazionali di trasporto, rigassificazione, stoccaggio e terminal di importazione, coerenti con lo sviluppo del network europeo, favorire la costruzione di reti di distribuzione locale di idrogeno, in coerenza con l’aggiornamento del PNIEC e costituire una piattaforma di scambio e/o di modelli contrattuali per lo scambio di H2.

Innovation fund, il progetto di Snam, A2A e FNM uno dei pochi a ricevere finanziamenti UE

Una criticità emersa durante il workshop, sottolineata da Giuseppe Gubello, Innovation Manager, Intesa Sanpaolo ed esperto indipendente per la Commissione europea che si occupa di effettuare la valutazione finanziaria del programma europeo Innovation Fund, è l’incapacità dell’Italia di performare bene sul fronte dell’idrogeno e presentare progetti che abbiano le giuste caratteristiche per accedere ai fondi europei.

Gubello ha infatti evidenziato l’esistenza di una “sproporzione enorme” tra le risorse finanziarie a fondo perduto, messe a disposizione dai programmi europei, e l’abilità dell’Italia di accedervi. Secondo l’esperto, il punto debole dei progetti italiani riguarda la maturità finanziaria. “La valutazione dei progetti in sede EU non pone rilevanza solo agli aspetti di innovazione tecnologica, ma in modo particolare a quelli finanziari e da questo punto di vista quelli italiani risultano spesso non maturi” ha dichiarato Gubello

Uno dei pochi progetti made in Italy co-finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma Innovation Fund è H2 Valcamonica di A2A, FNM e Snam.

“H2 Valcamonica” ha spiegato Lorenzo Privitera, Head of Hydrogen Unit di A2A, “ha l’obiettivo di creare la prima valle dell’idrogeno verde italiana e una filiera integrata a livello regionale per la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione e la commercializzazione dell’idrogeno verde, per i settori cosiddetti “ hard to abate” sia dei trasporti, della mobilità e della logistica che per le industrie ad alta intensità energetica”.

Le tecnologie implementate saranno un elettrolizzatore per la produzione di idrogeno, un sistema di stoccaggio e compressione (per immagazzinare l’idrogeno presso il sito di produzione), e un sistema di stoccaggio presso il punto di distribuzione (per consentire il rifornimento dei treni in stazione). L’idrogeno sarà prodotto a partire dalla quota certificata di energia elettrica rinnovabile generata dal termovalorizzatore di Brescia.

Le stime prevedono che, una volta entrato in funzione, saranno prodotte 830 tonnellate all’anno di idrogeno, con 43.870 MWh di elettricità e 16.600 metri cubi di acqua. Saranno evitate 42.295 tonnellate di CO₂ di emissioni nette assolute durante i primi 10 anni di operation, pari a quasi il 100% dei gas serra emessi da una tecnologia convenzionale.