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La giusta causa

Cambiamento climatico: Greenpeace porta Eni in tribunale

Greenpeace porta Eni in tribunale. È la prima iniziativa legale di questo tipo in Italia contro una società di diritto privato. Al fianco della ONG, in quella che hanno chiamato La giusta causa, ci sono ReCommon, associazione che lotta contro gli abusi di potere e il saccheggio dei territori, e dodici tra cittadine e cittadini italiani, molti provenienti da aree già colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici. Nell’atto notificato sono citati anche Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti in qualità di azionisti con influenza dominante sulla società del cane a sei zampe.

Le richieste fatte al Tribunale di Roma sono principalmente tre. I cittadini, Greenpeace e ReCommon domandano che il tribunale accerti il danno e la violazione dei diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata causati dall’azione di Eni che continua ad investire in fonti di energia non rinnovabile. E sebbene nel 2021 Eni abbia lanciato Plenitude, società del gruppo dedicata all’energia green, la ONG ha fatto notare che per ogni euro investito nella nuova controllata (che in ogni caso vende energia non solo rinnovabile ma anche proveniente da gas fossile), la società del cane a sei zampe ne investe 15 in idrocarburi e che quindi “per ogni euro investito in fonti fossili, meno di 7 centesimi sono investiti in energie rinnovabili”.

Pertanto, gli attori che portano avanti questa causa civile chiedono che ENI rispetti gli Accordi di Parigi sul clima e che sia obbligata a ridurre le emissioni derivanti dalle proprie attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi. Per Greenpeace e ReCommon è inoltre colpevole, e pertanto da condannare, anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista di ENI, che dovrebbe “adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi”.

In Europa non è il primo caso del genere che si verifica. Anche nei Paesi Bassi le organizzazioni della società civile hanno condannato la Shell, vincendo, mentre in Francia sotto il mirino c’è stata TotalEnergies. Quest’ultima, tral’altro, proprio la settimana scorsa ha avviato a sua volta un’azione legale proprio contro Greenpeace Francia che in un recente rapporto aveva accusato il colosso dell’ oil&gas francese di aver calcolato al ribasso le emissioni di CO2 legate alle proprie attività.

Di fronte all’ostinazione delle big del petrolio che non sembrano voler realmente cambiare strada e rivedere le proprie strategie industriali in maniera concreta e reale, pare che si stia aprendo una nuova stagione legale. Anche quella italiana ad Eni, infatti si inserisce nel quadro delle cosiddette climate litigation, azioni di contenzioso climatico che, secondo il database del Sabin Center for Climate Change Law della Columbia University, ad oggi ha raggiunto a livello mondiale quota 2.276.