Oggi, 4 dicembre, la finanza climatica è tornata sotto i riflettori alla COP28 di Dubai, occasione in cui i delegati hanno sottolineato il divario crescente tra la necessità di finanziamenti per il clima e ciò che viene offerto.
Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno ospitato la conferenza di quest’anno, hanno promesso 270 miliardi di dollari in finanza verde entro il 2030. Nel corso della giornata, inoltre, diverse banche di sviluppo hanno avanzato proposte per aumentare i loro sforzi di finanziamento, anche accettando di sospendere il rimborso del debito in caso di catastrofe.
A pesare, tuttavia, su queste notizie positive è l’assenza dei leader della più grande economia della regione e del maggiore produttore di petrolio del mondo, l’Arabia Saudita, che finora non hanno partecipato al vertice delle Nazioni Unite, contrariamente a quanto avevano fatto alla conferenza COP27 dello scorso anno a Sharm el-Sheikh, in Egitto.
La quantità di denaro necessaria per la transizione energetica, l’adattamento climatico e gli aiuti in caso di calamità è enorme. Un rapporto pubblicato nei giorni scorsi stima che i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo avranno bisogno di 2,4 trilioni di dollari all’anno in investimenti per limitare le emissioni e adattarsi alle sfide poste dal cambiamento climatico.
In tanti, saliti sul palco dei negoziati di Dubai, hanno chiesto di rafforzare gli investimenti, in particolare nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo, come ad esempio Nicholas Stern, presidente del Grantham Research Institute on Climate change and the Environment. Altri delegati, tra cui il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, hanno chiesto la fine dei sussidi ai combustibili fossili che hanno raggiunto la cifra record di 7 trilioni di dollari all’anno.
L’impegno degli Emirati Arabi Uniti di destinare 270 miliardi di dollari alla finanza climatica è il più ambizioso che è stato presentato nella giornata dedicata della COP28. Francia e Giappone, nel frattempo, hanno affermato che sosterrebbero un’iniziativa della Banca africana di sviluppo per sfruttare i diritti speciali di prelievo del Fondo monetario internazionale per il clima e lo sviluppo. In questo frangente, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo ha dichiarato che includerà clausole di debito resilienti al clima nei nuovi accordi di prestito con alcuni paesi più poveri.
Altro evento degno di nota protagonista della giornata dedicata alla finanza climatica, è la partnership tra Abu Dhabi, HSBC, Banca Mondiale, BlackRock e Ninety One con cui, insieme ad altri 5 partner, è stato istituito quello che è stato definito un Think tank indipendente e un centro di ricerca, il Global Climate Finance Center. La notizia, oltre a mostrare l’interesse del settore privato nel contribuire concretamente allo sviluppo della finanza climatica, rappresenta un passo in avanti importante per individuare gli ostacoli agli investimenti in progetti a basse emissioni e sviluppare quadri finanziari per trovare delle soluzioni. Il nuovo Think tank si concentrerà su tre obiettivi in particolare: riacquistare la fiducia dei paesi più poveri e vulnerabili al clima, sfruttare al massimo l’azione climatica e creare un impatto su larga scala.
Tutte queste iniziative appaiono però insufficienti agli occhi dei paesi più vulnerabili al cambiamento climatico e che spingono per l’istituzione di un fondo che punti a ridurre i rischi climatici e a gestire meglio gli eventi estremi. Portavoce di questa posizione che è intervenuta alla COP28 è Mia Mottley, prima ministra delle Barbados, che da anni si batte per la giustizia climatica. Mottley, in particolare, ha chiesto ai paesi convenuti di considerare delle tasse come strategia efficace per incrementare i finanziamenti per il clima, sottolineando che imporre una tassa globale pari allo 0,1% sui servizi finanziari consentirebbe di raccogliere oltre 400 miliardi di dollari.