Il percorso verso la sostenibilità è necessario e irreversibile e deve permeare tutte le dimensioni delle aziende, integrandolo quindi anche alle catene di fornitura, per poter raggiungere sia gli obiettivi aziendali ESG che l’impresa si è posta, sia i target internazionali su cambiamento climatico, equità sociale e prosperità economica a cui il settore privato è chiamato a contribuire. Ne sono ben consapevoli le oltre 30 aziende che hanno contribuito a dare forma al position paper La gestione sostenibile delle catene di fornitura: tra responsabilità e opportunità per le imprese, elaborato dall’UN Global Compact Network Italia, presentato dal presidente del network onusiano, Marco Frey, in occasione del Salone della CSR e dell’Innovazione Sociale.
Il documento si pone l’obiettivo di mostrare e valorizzare l’impegno delle aziende aderenti nella gestione delle proprie catene di fornitura in chiave sostenibile, individuando sfide e opportunità correlate, partendo da approfondimenti verticali sulla riduzione delle emissioni di scope 3; la promozione e tutela dei diritti umani e del lavoro dignitoso; e la gestione delle esternalità negative attraverso soluzioni circolari.
Le aziende, aderenti al Global Compact, che hanno partecipato all’incontro annuale dedicato all’argomento, tenutosi lo scorso maggio a Milano, sono state Andriani, Aeroporti di Roma, Bolton Group, Brembo, Carbonsink Group, Edison, Enel, Eni, Esselunga, Ferrovie dello Stato Italiane, Hera, Illycaffè, Inwit, Iren, Leonardo, Maire Tecnimont, Nestlè Group in Italy, Pirelli, Poste Italiane, Prysmian, Saipem, Snam, Sofidel, Terna, Tper, Webuild.
Gli amministratori delegati e i presidenti di tali aziende, dunque, hanno discusso dell’importanza dell’integrazione delle considerazioni e dei processi ESG lungo le catene di fornitura che risulta il modo principale per arrivare e coinvolgere anche le PMI. Gli AD sono sempre più consapevoli che affrontare il tema della catena di fornitura significa necessariamente creare una cultura condivisa sulle sfide di sostenibilità.
Per farlo le aziende devono coinvolgere i fornitori, accompagnandoli in maniera graduale, definendo obiettivi di sostenibilità e orizzonti temporali. In questo senso, anche in tale occasione è stato ribadito come il tema della misurazione, che ha tra i suoi obiettivi anche quello di rendere omogenei i dati sui fornitori in termini di performance di sostenibilità permettendone la comparabilità, sia fondamentale. Mappando infatti in modo sistematico la catena di fornitura, l’impresa può comprendere la propria situazione di partenza e individuare obiettivi di miglioramento. Esempi concreti sono rappresentati da questionari di autovalutazione del fornitore, con l’obiettivo della sua crescita culturale sulla sostenibilità, strumenti come Ecovadis o nuove piattaforme come Open-Es in cui viene valorizzata la collaborazione tra aziende diverse.
Ma in riferimento alle performance di sostenibilità, è emerso come più che l’approccio prescrittivo, sia necessario considerare la dimensione delle performance, in cui target anche rigorosi devono adattarsi e crescere insieme al processo di evoluzione della catena di fornitura in chiave sostenibile in una prospettiva di accompagnamento del percorso di sostenibilità. Spesso le grandi imprese italiane decidono di iniziare da un gruppo ristretto di fornitori proprio per costruire un percorso condiviso che prevede questionari di qualifica nella selezione e sottoscrizione di policy e codici di condotta.
La gestione sostenibile delle catene di fornitura parte quindi da un complesso processo di engagement che riguarda inoltre non solo il rapporto tra buyer-supplier, ma, per essere realmente inclusivo e onnicomprensivo, anche le interfacce. Superare dunque le barriere delle funzioni aziendali e includere oltre al procurement anche risorse umane, finanza, ricerca e sviluppo è parte del processo e alla base per integrare la sostenibilità in tutta la prospettiva strategica di un’azienda.
Infine, restano tre le sfide su cui focalizzarsi. Da un punto di vista ambientale, nello sforzo di decarbonizzare le proprie operations, includendo anche i fornitori in questo impegno, è fondamentale considerare la dimensione della logistica con attenzione anche al “downstream” oltre che all’”upstream”. Da quello sociale, anche in correlazione ai recenti sviluppi normativi comunitari in materia di sostenibilità, è importante per le aziende focalizzarsi sui propri impatti sulla dimensione sociale (sicurezza sul lavoro e diritti umani) collegandoli ai risultati economici per raggiungere obiettivi di sostenibilità che siano davvero coerenti. La terza sfida, poi, è quella legata alla responsabilità che le imprese hanno di considerare anche attori “allargati” della value chain e in particolare le comunità locali su cui le scelte di acquisto hanno impatto.
Le testimonianze di Eni, Prysmian, Nestlè ed Esselunga
Nel corso dell’evento del Salone, inoltre, Costantino Chessa, Head of Procurement di Eni, Ida Schillaci Head of CSR Office di Esselunga, Maria Cristina Bifulco, Chief Sustainability Officer and Group IR VP Prysmian Group, e Fabiana Marchini, Head of Sustainability di Sanpellegrino-Nestlé Group Italia hanno raccontato di loro iniziative in ottica sostenibilità e coinvolgimento della supply chain.
In particolare, Chessa ha menzionato il programma Basket Bond – Energia Sostenibile, ideato con Elite e Illimity, uno strumento finanziario di durata pluriennale, aperto a tutte le imprese della filiera integrata dell’energia e non solamente ai fornitori di Eni, che consente alle imprese impegnate nella transizione energetica di accedere, a condizioni vantaggiose, ai capitali necessari per realizzare progetti e investimenti funzionali allo sviluppo sostenibile.
La Bifulco ha poi posto l’attenzione sulle modalità di gestione dei “Conflict Minerals”, ovvero quei minerali provenienti da aree di conflitto, nel procurement di base metals. I Conflict Minerals sono infatti tra le fonti di finanziamento più proficue per i gruppi armati e contribuiscono ad alimentare la violenza armata nella Repubblica Democratica del Congo e nei paesi limitrofi. Diverse industrie, in particolare nella fase di produzione, utilizzano i quattro Conflict Minerals (stagno, tungsteno, tantalio e oro) ovvero i 3TG, in una varietà di prodotti. La sezione 1502 del Dodd-Frank Act sui Conflict Minerals rappresenta essenzialmente una misura volta alla trasparenza, approvata nel 2010 ed implementata nel 2012 dalla U.S. Securities and Exchange Commission, che ha introdotto l’obbligo di segnalazione per tutte le società quotate negli Stati Uniti. Nel 2017, l’UE ha approvato un nuovo regolamento volto a fermare l’esportazione di minerali e metalli provenienti da fonti controllate dai tali gruppi armati nella UE. Il gruppo Prysmian ha avviato un processo di reporting sui Conflict Minerals, sulla base della Due Diligence Guidance fornita dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per l’approvvigionamento di minerali da zone di conflitto o ad alto rischio (CAHRAs – Conflict-affected or high risk areas). Dalla mappatura della catena di fornitura effettuata a partire dal design del prodotto è emerso che circa il 95% dei fornitori risulta conforme agli standard della Responsible Mineral Initiative.
Schillaci ha invece presentato il loro progetto Hydrolized Protein Project di valorizzazione degli scarti ittici. Grazie alla partnership con il gruppo Lipitalia Diusa che opera nel settore della raccolta e trasformazione dei sottoprodotti di origine animale in fertilizzanti o in grassi animali destinati alla produzione di oli combustibili, energia elettrica e termica, Esselunga ha progettato e realizzato un impianto per la trasformazione di scarti di pesce (circa 2700 tonnellate di scarti) in idrolizzati marini. In questo modo i sottoprodotti ittici non più destinabili al consumo umano vengono trasformati in alimenti adatti all’alimentazione zootecnica.
Infine, Marchini ha esposto la politica di incremento di mezzi di trasporto intermodale con mezzi di trasporto a ridotto impatto ambientale e di sperimentazione di carburante GNL. Quest’ultima, iniziata nel 2016 con GNL di origine fossile, ha visto nel 2021, l’implementazione di GNL bio fornito dalla piemontese Speranza che ha permesso di ridurre dell’11% le emissioni legate alla logistica che per Nestlè rappresentano il 40% dell’impatto ambientale del gruppo.