Nel 2021, Legal & General Investment Management (LGIM) ha portato avanti attività di engagement ESG con 571 aziende, stabilito un obiettivo “net zero” al 2030 sul 70% degli asset under management, raggiunto 290 miliardi di sterline (circa 345 miliardi di euro) di masse in gestione su strategie di investimento responsabile e votato in assemblea per 180.200 risoluzioni in tutto il mondo. Sono questi alcuni dei dati contenuti nell’undicesimo report annuale “Active Ownership” di LGIM, in cui l’asset manager documenta le decisioni di voto e le attività di engagement in termini ambientali, sociali e di governance con le imprese in cui ha investito nel corso dell’ultimo anno.
Il report ha rilevato che LGIM ha fortemente accresciuto la sua attività di voto, perché le 180.200 decisioni prese all’interno di 15.400 assemblee indicano un incremento del 30% rispetto al 2020. Nonostante le imprese di tutto il mondo abbiano dovuto far fronte agli effetti della pandemia, LGIM ha proseguito nella sua attività di engagement per spingerle a impegnarsi sulle principali questioni in ambito ESG e soprattutto sui cambiamenti climatici, la biodiversità e la diversity all’interno dei cda, cercando di accrescere lo standard generale di tutti i mercati.
Oggi LGIM ha un team di 48 dipendenti con ruoli dedicati all’attività ESG, che coprono posizioni di leadership per attuare la nostra strategia di investimento responsabile nei team di gestione degli investimenti, investimenti, distribuzione e prodotto, nonché i gruppi di ricerca e coinvolgimento che abbracciano asset pubblici e privati . Inoltre, ci sono altri 62 colleghi i cui ruoli implicano un contributo sostanziale alle capacità di investimento responsabile di LGIM.
Indice
Le attività di engagement
Per quanto riguarda l’impegno sull’ambiente, LGIM ha preso provvedimenti contro oltre 100 imprese incluse nel suo Climate Impact Pledge, invitando gli amministratori a rendere conto della loro gestione del rischio climatico. Inoltre, ha pubblicato la sua prima policy sulla biodiversità, impegnandosi nella sua preservazione attraverso il coinvolgimento di policymaker e sviluppando la sua capacità di gestire i rischi e le opportunità a questa legati.
Il 2021 ha visto anche un forte impegno sull’aspetto sociale: LGIM si è opposta all’elezione di 370 director in tutto il mondo per via di problematiche legate alla scarsa diversity all’interno del board; inoltre, ha avviato il suo secondo round di engagement con le maggiori società del Regno Unito e degli Stati Uniti per accrescere diversità e inclusione anche in termini etnici. Infine, si è schierata a favore del 100% delle proposte degli azionisti per affrontare le tematiche connesse ai diritti umani nel 2021.
Sulla governance, LGIM continua a chiedere una maggiore trasparenza nell’attività di reporting delle aziende e ha avviato azioni di engagement con più di 100 realtà che nel 2021 hanno mostrato carenze su questo punto. “In quanto investitori di lungo periodo, abbiamo la responsabilità di far sentire la nostra voce su quelle che sono le questioni principali che possono difendere l’integrità dei mercati globali e promuovere una crescita economica resiliente e sostenibile”, ha dichiarato Michelle Scrimgeour, CEO di LGIM, ha commentato. “Se gli effetti del Covid-19 si sono avvertiti anche nel corso del 2021, noi abbiamo concentrato le nostre attività di engagement con le imprese su grandi questioni come il cambiamento climatico e la preservazione della biodiversità. A queste si aggiungono problematiche di natura sociale, come le ingiustizie razziali e le disparità salariali. Abbiamo esercitato i nostri diritti di voto su tutto il nostro portafoglio e intensificato il nostro impegno con policymaker e stakeholder per realizzare un cambiamento positivo”.
Diversity nei board
LGIM si batte da tempo per la diversity culturale all’interno delle aziende per tutto il 2021 e si è opposta all’elezione di 370 dirigenti a livello globale a causa di problematiche nei consigli d’amministrazione legate a tale questione. Nel mercato nordamericano, LGIM ha votato contro in 102 casi nel 2021 – nel 2020 erano stati 31 – mentre i voti contrari nel Regno Unito sono scesi da 54 a 40 e questo indica una maggiore presenza di donne nei cda.
Oltre ai progressi fatti per aumentare la diversità di genere, LGIM si è impegnata anche per l’incremento della diversità etnica; in particolare, nell’agosto del 2020 ha lanciato una campagna di engagement rivolta verso le aziende del FTSE 100 e dell’indice S&P 500 i cui consigli di amministrazione mostravano una totale mancanza di questo elemento. L’attività ha coinvolto 35 imprese del FTSE 100 e 44 dell’S&P 500. Di tutte le 79 società con cui LGIM ha avviato azioni di engagement, ben 50 hanno aggiunto almeno un componente del cda proveniente da una minoranza etnica tra settembre 2020 e dicembre 2021.
Obiettivo zero emissioni nette
I cambiamenti climatici sono ancora uno degli ambiti di maggiore impegno dell’Investment Stewardship team di LGIM, con 246 attività intraprese nell’ultimo anno, per una crescita del 21% nelle attività di engagement con le aziende. LGIM dispone di un programma totalmente incentrato sulla lotta al surriscaldamento globale – il suo Climate Impact Pledge – che nel 2020 è stato esteso a 1000 imprese di 15 settori, che sono responsabili delle emissioni di oltre la metà dei gas serra da parte di società quotate. Durante il periodo delle chiusure dei bilanci del 2021, oltre 100 aziende sono state raggiunte dalle nostre sanzioni in sede di voto, la maggior parte delle quali attive nel settore bancario, assicurativo, immobiliare, tecnologico e delle telecomunicazioni. La sanzione è consistita in un voto contro i report e contro i senior director e i non-executive director della società, in quanto ritenuti inadeguati nella gestione dei rischi climatici.
A seguito della pubblicazione del Climate Impact Pledge nel giugno del 2021, LGIM ha lanciato il quinto ciclo di incontri con le società, continuando a guardare alle maggiori imprese che non stanno ancora seguendo quelle che sono le “best practice” in termini di obiettivi per la riduzione delle emissioni, per la governance e per la riduzione del surriscaldamento globale. Oltre il 75% di queste ha risposto positivamente a seguito delle attività di engagement, ma noi chiediamo che vengano forniti piani dettagliati sulla transizione energetica, poiché obbligano gli amministratori a impegnarsi nella gestione dei rischi derivanti dalle questioni ambientali.
Inoltre, nel 2021 LGIM ha proposto il voto “Say on Climate”, che permette agli azionisti di dare un giudizio sui piani di transizione proposti dal management. Abbiamo anche votato contro tante proposte di alto profilo, in quanto non erano sufficientemente solide o allineate con l’obiettivo delle zero emissioni nette, nonostante queste potessero provenire anche da colossi come Shell. “Il cambiamento climatico è una delle maggiori sfide del nostro tempo e un concreto rischio finanziario. In quanto investitori responsabili, dobbiamo assicurarci che le imprese se ne occupino, al fine di tutelare i nostri stessi clienti e permettere di salvaguardare il pianeta”, ha dichiarato Michael Marks, Global Head of Responsible Investing Integration di LGIM, aggiungendo: “Quest’anno stiamo definendo i nostri criteri per supportare i piani di transizione climatica proposti dai manager. Vogliamo incoraggiare la presentazione di piani ambiziosi e credibili e riteniamo importante essere trasparenti su come verrà applicata la nostra politica di voto”.
Preservazione della biodiversità
L’impatto del Covid-19 ha ulteriormente evidenziato l’importanza di prepararsi alle sfide future e di sviluppare la resilienza dei nostri sistemi economici, la quale passa anche dal tema cruciale della biodiversità, che a sua volta porta con sé delle questioni importanti dal punto di vista degli investimenti, con un’impresa su cinque a livello globale soggetta a grandi rischi legati al collasso degli ecosistemi.
La deforestazione è una delle principali cause di perdita di biodiversità e LGIM da molti anni si impegna su questo fronte, con voti contrari e disinvestimenti dalle società che hanno evidenziato carenze in merito. Nel 2021, LGIM ha lanciato la sua Biodiversity Policy, segnando il primo passo per formalizzare il suo approccio sulle attività da compiere in favore della biodiversità. Questo include l’impegno a sviluppare la capacità di identificare i benefici e i rischi, collaborare con i policymaker, attuare azioni di engagement con le aziende in cui si investe e gli stakeholder in senso ampio e riferire ai clienti sui rischi legati alla biodiversità.
Alla COP26, LGIM si è unita a 30 istituzioni finanziarie, con masse totali di 8,7 trilioni di dollari[2], nell’impegno per combattere la deforestazione dovuta alla produzione agricola (con focus mirati su olio di palma, soia, carne e carta), eliminando le imprese non virtuose dai suoi portafogli di investimento entro il 2025. Questo è un provvedimento importantissimo per combattere la deforestazione, preservare la biodiversità, supportare la sicurezza alimentare e allineare l’intero comparto agricolo all’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro gli 1,5°, come previsto dagli Accordi di Parigi.
Spingere per modelli di governance virtuosi
L’impegno di LGIM per lo sviluppo di una governance solida è proseguito anche nel 2021, con attività orientate a sollecitare una maggiore trasparenza nella reportistica aziendale, informative riguardanti la dirigenza e le remunerazioni, la presentazione di report sugli aspetti ESG e di emissioni di gas serra e ulteriori informative fiscali. Nel marzo del 2021, l’asset manager ha scritto a più di 100 società che presentavano delle lacune nell’ambito della trasparenza, chiedendo loro di migliorare in fretta la disclosure, minacciandole di votare contro la presidenza, qualora questi non fossero stati osservati.
Inoltre, avendo ampliato i suoi obiettivi, ha identificato oltre 200 imprese con punteggi bassi, e ha stabilito che, nel caso in gli standard richiesti non saranno riscontrati, a partire dal 2022 la società voterà contro i presidenti dei consigli di amministrazione.
Anche sulla remunerazione degli executive LGIM ha chiesto alle imprese di presentare obiettivi ambiziosi e misurabili su come il management lavora per ridurre i rischi ESG. Nel 2021, LGIM si è detta favorevole a far sì che fino a un terzo dei benefit di lungo periodo dipendano da parametri ESG, e anche all’impiego di un moderatore per i temi di salute e sicurezza (H&S) dove vi siano scarse attenzioni in materia. Inoltre, LGIM ha aggiornato la sua policy per il 2022, chiedendo dei target relativi al cambiamento climatico per una serie di settori rilevanti e fornendo delle metriche sulla diversity in quei settori in cui le donne sono generalmente poco rappresentate. Alcuni comparti d’interesse riguardano le retribuzioni basate su performance di lungo periodo, la retribuzione durante la pandemia a il “say on pay“.
Durante tutto il 2021, LGIM si è opposta al 42,4% delle proposte sulle retribuzioni, a causa del mancato rispetto da parte delle imprese degli standard minimi per un compenso appropriato e in linea con le performance di lungo periodo. LGIM è stata coinvolta in 112 distinte consultazioni sulle remunerazioni nel corso del 2021. Queste includevano proposte per le conferenze con gli azionisti – tra cui il poter correggere al rialzo i pagamenti dei dirigenti senza motivi validi, altrimenti, sarebbe un secondo anno di retribuzioni basse – così come potenziali modifiche ai criteri per giudicare le performance.
Per quanto riguarda le retribuzioni durante la pandemia, LGIM ha mantenuto alta l’attenzione sugli stakeholder e su quelle società che hanno ricevuto aiuti dai governi o dagli azionisti (tramite iniezioni di capitale o sospensione dei dividendi) che hanno licenziato parte del personale, continuando però a pagare bonus annuali ai dirigenti. Dei 137 report sulle remunerazioni a cui LGIM si è opposta nel Regno Unito, il 16% presentava pagamenti di bonus assolutamente non in linea con quanto chiesto dagli stakeholder, mentre il 26% presentava aumenti salariali ingiustificati nel corso dell’anno. In Nord America, LGIM si è opposta al 43% delle risoluzioni “say on pay” perché molte erano connesse a condizioni di performance che non sono state misurate nel corso di un triennio, oppure perché almeno il 50% degli incentivi a lungo termine non era legato ad alcuna condizione di performance.