Un importante atto legislativo dell’UE che stabilisce obblighi per le aziende per affrontare il proprio impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente, ha subito un duro colpo. La CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), infatti, non ha ottenuto l’approvazione finale da parte del Consiglio europeo, a seguito delle obiezioni di Germania e Italia delle scorse settimane, nonostante fosse stato raggiunto a dicembre 2023 un accordo provvisorio sul regolamento tra Consiglio e Parlamento.
La battuta d’arresto della direttiva sulla due diligence per la sostenibilità aziendale arriva quattro anni dopo che la Commissione europea nel 2020 fece degli studi sui doveri degli amministratori e sulla governance aziendale sostenibile e sui requisiti di due diligence nella catena di fornitura, primo passo per proporre poi due anni più tardi, nel febbraio 2022, la bozza della CSDD. Nel dettaglio, la proposta della Commissione stabiliva già gli obblighi per le aziende di identificare, valutare, prevenire, mitigare, affrontare e porre rimedio a impatti su persone e pianeta, come il lavoro minorile, la schiavitù, l’inquinamento, la deforestazione e i danni agli ecosistemi. Le azioni per arginare tali impatti le aziende le dovevano mettere in pratica lungo tutto la loro catena di fornitura a monte e in alcune attività a valle come la distribuzione e il riciclaggio.
Il voto per l’approvazione in Consiglio era stato rinviato a inizio febbraio dopo che la Germania aveva minacciato di non sostenere il regolamento per preoccupazioni di natura burocratica e finanziaria e per il potenziale impatto legale che avrebbe sulle aziende. A pochi giorni di distanza, poi, anche l’Italia aveva ritirato il suo sostegno. Oggi, invece, è stato il turno della Francia, che ha tentato all’ultimo minuto di ridurre significativamente la portata delle nuove regole per applicarle solo alle aziende con più di 5.000 dipendenti, invece della soglia proposta di 500 dipendenti, rimuovendo di fatto circa l’80% delle imprese che sarebbero dovute essere interessate dall’ambito di applicazione della CSDD.
A fronte di questo ennesimo colpo sferrato alla direttiva, la presidenza belga del Consiglio UE ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che “il testo di compromesso finale sulla direttiva CSDD è stato sottoposto all’approvazione degli ambasciatori al Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti, ndr)” ma, “nonostante gli sforzi della Presidenza, non è stato trovato il sostegno necessario. Ora dobbiamo considerare la situazione e vedere se è possibile affrontare le preoccupazioni avanzate dagli Stati membri, in consultazione con il Parlamento europeo”.
Oltre agli obblighi di rendicontazione e mitigazione, se non eliminazione, degli impatti negativi su ambiente e persona lungo la catena del valore delle aziende, l’accordo sulla CSDD di Consiglio e Parlamento di dicembre 2023 prevedeva l’adozione da parte delle imprese di piani di transizione climatica che garantissero che le loro attività e strategie fossero in linea con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.
La direttiva prevedeva anche l’obbligo per le aziende di interagire con coloro che fossero interessati dalle loro attività commerciali, con obblighi tra cui l’introduzione di un meccanismo di reclamo, nonché l’istituzione di un sistema di supervisione e sanzioni. In particolare, gli Stati membri avrebbero dovuto istituire autorità di vigilanza per monitorare il rispetto delle norme e imporre sanzioni tra cui “naming and shaming” e multe fino al 5% delle entrate globali annuali.
Sono già arrivate voci di protesta per la mancata approvazione della CSDD, tra cui quella di Isabella Ritter, responsabile delle politiche UE presso ShareAction, che ha sottolineato che “chi oggi ha bloccato questa legislazione ha mostrato indifferenza verso lo sfruttamento dei lavoratori e il degrado ambientale. Lasciano che le lotte politiche interne abbiano la priorità sul benessere del pianeta e della sua popolazione, il che è inaccettabile. La comunità globale sta guardando e la credibilità e la leadership dell’UE sono in gioco”.
“Il sabotaggio e il rinvio dell’ultimo minuto di questo nuovo codice da parte dei governi dell’UE non solo ignorano le vite, le comunità e gli ecosistemi colpiti da pratiche commerciali distruttive, ma infliggono anche un duro colpo alla credibilità dell’UE come legislatore”, ha avvertito Uku Lilleväli, Sustainable Finance Policy. Funzionario presso l’Ufficio Politiche Europee del WWF, sottolineando come sia “scandaloso che, nel 21° secolo, alcuni legislatori europei desiderino consentire alle aziende di ignorare i diritti umani e l’integrità ambientale, il tutto con il pretesto di profitti a breve termine”.
La mancata approvazione di oggi implica che le istituzioni europee si trovano ora ad affrontare una corsa contro il tempo per far passare la direttiva, dato che il Parlamento UE dovrebbe approvare il testo entro il 15 marzo affinché possa essere adottato prima delle elezioni europee di giugno. Tuttavia, la situazione è aggravata dal fatto che la scadenza per ottenere l’approvazione della commissione per gli affari legali (nota come “JURI”), è fissata al 7 marzo.