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Investimenti ESG

PwC: la domanda di prodotti ESG supera l’offerta e stimola la crescita

La domanda di prodotti ESG supera l’offerta e ne traina la crescita. Poiché i portafogli orientati all’ESG si sono affermati rapidamente come norma, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti, si è naturalmente innescata una “corsa” allo spostamento delle allocazioni e al riadattamento dei fondi esistenti con l’obiettivo di stare al passo con le aspettative degli investitori. Nel sondaggio “Asset and wealth management revolution: exponential expectations for ESG”, PwC analizza i modi in cui gli investimenti sostenibili stanno plasmando il futuro e le tendenze principali dell’ESG. Tra queste, emerge che al momento la domanda di prodotti ESG è maggiore della seppur crescente offerta.

Inoltre, secondo la società globale di servizi professionali, gli asset under management (AUM) legati all’ESG dovrebbero continuare ad aumentare nei prossimi anni, superando in modo significativo la crescita complessiva degli investimenti in asset e wealth management, che prevede che gli AUM ESG raggiungano i 34.000 miliardi di dollari, pari al 21,5% di tutti gli asset entro il 2026.

Dieci modi in cui ESG sta plasmando il futuro

Il sondaggio di PwC evidenzia un’impennata della domanda di fondi ESG che supera quasi tutte le aspettative precedenti. Pertanto, è utile ripercorrere l’analisi di PwC sulle dieci principali tendenze di mercato, le priorità del settore e le aspettative degli stakeholder che stanno contribuendo a plasmare l’agenda ESG nel mercato dell’asset e del wealth management.

L’ESG sta sostituendo l’aumento dei prezzi degli asset come motore di crescita 

La forte crescita del mercato dell’asset e del wealth management negli ultimi dieci anni è stata guidata dall’aumento dei prezzi e dei flussi delle attività. Ma, secondo PwC, è l’ESG a diventare ora un driver di mercato chiave, poiché il contesto macroeconomico difficile minaccia i tradizionali motori di crescita del settore. Questi cambiamenti sottolineano l’importanza per i gestori patrimoniali e gli investitori istituzionali di capire come cogliere il passaggio ai criteri ESG come contrappeso alla potenziale sottoperformance del portafoglio. Secondo le nostre stime, infatti, vi sarà una contrazione del mercato dei capitali dal 20 al 30% tra il 2022 e il 2023, seguita da una ripresa dal 2024 in poi. In questo scenario, il tasso di crescita annuale composto (CAGR) dell’8,9% in AuM raggiunto tra il 2016 e il 2021 scivolerebbe al 4,3% da qui al 2026.

Perseguire l’ESG è fondamentale 

L’indagine di PwC evidenzia l’emergere di una nuova generazione di investitori istituzionali. Infatti, quasi otto investitori istituzionali su dieci (79%) intendono aumentare le proprie allocazioni ai prodotti ESG nei prossimi due anni. Inoltre, quasi nove su dieci hanno già rifiutato o smesso di investire con un gestore patrimoniale specifico (39%) o avrebbero preso in considerazione l’idea di farlo (50%) a causa di carenze nelle strategie di investimento ESG del gestore.

E non sono solo gli investitori a guidare il cambiamento: la ricerca di PwC sul sentimento ESG evidenzia la misura in cui sia i consumatori che i dipendenti si aspettano che le organizzazioni condividano i propri valori legati ai temi della sostenibilità.

La priorità immediata per i gestori patrimoniali coinvolti nel sondaggio (76%) di PwC, quindi, è convertire i prodotti esistenti in modo che possano essere etichettati come orientati ai criteri ESG. Gli adeguamenti potrebbero concentrarsi sul rispetto degli articoli 8 e 9 del regolamento sulla divulgazione della finanza sostenibile (SFDR) nell’UE.

Tuttavia, PwC sottolinea come, sebbene la conversione costi meno del lancio di un nuovo fondo ESG, comporta ancora molte delle stesse sfide, in primis la lacuna di dati e la normativa in divenire.

L’universo investibile per i fondi ESG si “aprirà”

Secondo l’analisi di PwC, più di sette investitori istituzionali su dieci (72%) valutano le strategie di investimento ESG dei propri gestori patrimoniali prima di decidere dove allocare i fondi. Al momento, tuttavia, avverte PwC, il numero di titoli che potrebbero essere classificati come indiscutibilmente sostenibili, e quindi inclusi in un fondo orientato ai criteri ESG, è limitato. Se si osservano i criteri SFDR, la gamma di investimenti e attività che si qualificherebbero per lo status dell’articolo 9, in cui l’obiettivo del prodotto finanziario è orientato principalmente a un impatto E, S o G, è particolarmente scarsa e rara. Ma, rassicura PwC, l’universo investibile e le opportunità di differenziazione aumenteranno. Infatti, la nuova legislazione, l’attività del mercato pubblico e gli investimenti del governo in obiettivi di sostenibilità a lungo termine stanno guadagnando slancio proprio mentre sempre più aziende in diversi settori abbracciano la propria transizione verso i criteri ESG.

L’ESG ha ampliato gli obiettivi e i doveri fiduciari

Gli osservatori del mercato hanno evidenziato le potenziali tensioni tra le priorità di investimento ESG e il dovere fiduciario dei gestori patrimoniali di massimizzare i rendimenti finanziari per gli investitori. Fino a poco tempo fa, infatti, PwC aveva individuato in precedenti ricerche la volontà di alcuni gestori patrimoniali di non compromettere i rendimenti finanziari per le credenziali ESG. Adesso, però, PwC osserva un’inversione di marcia: infatti, tre quarti degli investitori istituzionali nel sondaggio ritengono che l’ESG faccia ora parte del loro dovere fiduciario. Quasi altrettanti (72%) fissano obiettivi ESG per i propri gestori patrimoniali a livello di portafoglio, anche se il fatto che ciò prevalga sul rendimento finanziario potrebbe variare.

Inoltre, secondo il sondaggio, per quanto riguarda l’eventuale conflitto tra performance finanziarie ed ESG, nove gestori patrimoniali su dieci sono convinti che l’integrazione di ESG nella loro strategia di investimento migliorerà i rendimenti complessivi a lungo termine. Sei investitori istituzionali su dieci stanno già registrando rendimenti più elevati sui loro investimenti ESG rispetto agli investimenti non ESG e più della metà ha notato che l’integrazione ESG ha impiegato meno di tre anni per ottenere rendimenti più elevati.

Gli investitori stanno spingendo per nuovi prodotti ESG, ma la domanda supera l’offerta 

Il sondaggio di PwC rileva una richiesta senza precedenti di prodotti sostenibili: quasi nove investitori istituzionali su dieci (88%), infatti, ritengono che i gestori patrimoniali dovrebbero essere più proattivi nello sviluppo di nuovi prodotti ESG. Tuttavia, meno della metà dei gestori (45%) prevede di lanciare nuovi fondi ESG. Se guardiamo all’UE, l’analisi di PwC mostra che degli 8.017 fondi classificati come “promozione ambientale e sociale” (articolo 8) entro la fine del secondo trimestre del 2022, solo 989 erano nuovi e il resto è stato riclassificato. Inoltre, dei 1.061 classificati come “prodotti destinati a investimenti sostenibili” (articolo 9), solo 286 erano nuovi e il resto riclassificato. Questo divario di aspettative apre opportunità: accelerando lo sviluppo di nuovi prodotti e sostenendo attivamente la transizione verde, gli early mover rafforzerebbero l’innovazione, aumenterebbero la pertinenza e conquisterebbero quote di mercato.

Per attrarre nuovi investimenti, i gestori dovranno differenziare i loro prodotti e dimostrare le prestazioni ESG 

Secondo l’analisi, più di tre quarti degli investitori sono disposti a pagare commissioni più elevate (78%) per i fondi ESG: il 57% accetterebbe da 20 a 40 punti base, pari a un aumento delle commissioni dallo 0,2 allo 0,4%. Quasi otto gestori patrimoniali su dieci (79%) prenderebbero in considerazione la possibilità di addebitare commissioni più elevate per le loro offerte ESG (una media di 35 punti base in più). Ma anche se i gestori patrimoniali cercano di addebitare commissioni più elevate per coprire alcuni dei loro costi aggiuntivi, la domanda è quanto sarebbe sostenibile un tale premio a lungo termine. Questa incertezza, secondo PwC, sottolinea la necessità di concentrarsi sulla differenziazione del prodotto e sul rapporto qualità-prezzo.

I risultati del sondaggio hanno rivelato un potenziale “appetito” per trasformare i criteri ESG in commissioni legate alla performance. Più della metà (52%) degli investitori sarebbe disposta a collegare la compensazione alla performance ESG e due terzi di questi accetterebbero un premio ESG dal 3 al 5%. Ma molti meno sono disposti a pagare il 5% in più di commissioni previste da alcuni gestori patrimoniali.

Gli investitori affermano di volere una maggiore regolamentazione 

Sebbene siano diffuse preoccupazioni per la regolamentazione ESG, gli investitori istituzionali intervistati da PwC ritengono che la regolamentazione sia un fattore importante per l’integrazione dei criteri ESG nelle strategie di investimento dei gestori patrimoniali. Una regolamentazione precisa e trasparente può fungere da leva importante per creare fiducia e ridurre il rischio di etichettatura errata. Ritengono, inoltre, che gli standard normativi forniscano una base utile per la due diligence sulle strategie di investimento dei gestori patrimoniali. Più di sette su dieci (71%) sono quindi favorevoli al rafforzamento dei requisiti normativi ESG per i gestori patrimoniali.

Una strategia ESG significativa richiede investimenti 

Secondo l’analisi di PwC una strategia ESG richiede un cambiamento significativo nella governance e nelle pratiche aziendali. Di conseguenza, aumenta anche la necessità di dipendenti con competenze ESG e di rendicontazione e, pertanto, i costi a breve termine per i gestori patrimoniali potrebbero aumentare. Non a caso, il sondaggio di PwC rileva che i costi di regolamentazione e conformità sono aumentati di oltre il 10%. Questo sviluppo favorisce i grandi gestori patrimoniali con la scala e le risorse per assorbire queste richieste extra e ripartire i costi, mentre per altri crea una barriera all’ingresso.

E, S e G devono essere bilanciati come parte di una transizione giusta

C’è ancora opposizione all’ESG tra alcuni decisori politici e autorità di regolamentazione, che ritengono che i gestori patrimoniali non dovrebbero ampliare i loro obiettivi oltre il ritorno finanziario. Nel sondaggio PwC sottolinea che in alcune giurisdizioni, come gli stati americani del Texas e della Florida, si possono già riscontrare limiti agli investimenti incentrati sui criteri ESG. Tuttavia, PwC evidenzia che anche coloro che riconoscono l’importanza dell’azione sul cambiamento climatico sono preoccupate per l’impatto di una transizione verde accelerata sulla sicurezza energetica e sui posti di lavoro che ne dipendono.

Queste preoccupazioni sono state alimentate dall’impennata dei prezzi dell’energia sulla scia della guerra in Ucraina e dal conseguente impatto sui costi aziendali e sui prezzi al consumo. Di conseguenza, sottolinea PwC, alcuni investitori, gestori patrimoniali, società di portafoglio e decisori politici hanno iniziato a fare distinzioni tra le loro strategie a breve e lungo termine per ESG. “Il cambiamento di sentimento si riflette nell’inclusione dell’energia nucleare e del gas naturale nella tassonomia dell’UE e nella maggiore allocazione di società petrolifere e del gas all’interno di numerosi portafogli di gestori patrimoniali mentre, allo stesso tempo, questi gestori patrimoniali lavorano anche per costruire una transizione a lungo termine”, si legge nel report.

I gestori hanno bisogno di una strategia proattiva di mitigazione del rischio per i prodotti etichettati in modo errato

Nell’ultimo punto analizzato, PwC afferma che più di sette investitori istituzionali su dieci (71%) e più di otto gestori patrimoniali su dieci (86%) ritengono che l’etichettatura errata sia prevalente nel settore dell’asset e del wealth management. I rischi sono aggravati dal ritmo con cui le nuove normative stanno entrando in vigore e dall’incertezza sulle designazioni ESG al loro interno. Tuttavia, l’etichettatura errata è raramente intenzionale: il più delle volte, sottolinea PwC, deriva dalla mancanza di chiarezza nelle classificazioni normative, dall’insufficiente coerenza negli standard dei dati e dalla scarsa informazione proveniente dalle società in portafoglio. “Se si verificano errori, è importante essere in grado di spiegare rapidamente il perché, correggere e imparare da essi. Ritardi o mancanza di trasparenza non possono che aumentare il danno reputazionale e il rischio di sanzioni regolamentari”, si legge nel report.

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