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Risparmio gestito

Fracassi (MainStreet Partners): ai risparmiatori serve una bussola per gli investimenti sostenibili

Dati, rating, classificazioni. La trasformazione dell’industria del risparmio gestito, spinta anche dalla nuova normativa, sta avanzando in modo rapido e coinvolgendo volumi sempre maggiori di asset gestiti in modo sostenibile. Secondo i dati Morningstar in Europa i fondi ESG hanno superato i due trilioni di euro. Ma per il risparmiatore orientarsi in questo nuovo mondo di sigle e classificazioni non sempre è facile. Anche lo stesso acronimo ESG, ossia fattori ambientali, sociali e di governance sfugge ancora alla comprensione di una parte degli investitori. Il rischio è farsi attrarre da qualche etichetta e cadere nelle trappole del greenwashing, ossia investire in prodotti che, al di là del nome e delle dichiarazioni, non investono in modo realmente attento a clima e aspetti sociali. ESGnews ha chiesto come orientarsi a Rodolfo Fracassi, amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners, società basata a Londra specializzata nella consulenza sugli investimenti ESG per banche e asset manager e tra le più avanzate nell’analisi dei profili di sostenibilità dei prodotti finanziari.

Il mercato dei fondi sostenibili ha registrato una vera e propria crescita esponenziale. Di fronte a tanta scelta come può orientarsi il risparmiatore?

Rodolfo Fracassi, MainStreet Partners

In Italia un ruolo fondamentale nell’accompagnare le scelte dei risparmiatori è ricoperto dai consulenti patrimoniali. Per svolgere nel migliore dei modi questa delicata funzione, i consulenti devono avere il supporto della propria banca. Spetta infatti alle divisioni di wealth management il compito di organizzarsi in modo da dare al professionista gli strumenti per poter spiegare ai clienti gli elementi di sostenibilità dei prodotti proposti. E deve essere fatto in maniera facile e soprattutto con coerenza e logica. Non basta un’etichetta o un rating. Altrimenti di fronte a situazioni di apparente contraddizione, come per esempio un fondo che investe in oil & gas ma con un rating positivo, il consulente potrebbe non essere in grado di rispondere adeguatamente alle perplessità del cliente. Per superare queste criticità, la società di wealth management, dopo avere effettuato la selezione giusta dei provider, deve anche dotarsi, internamente o tramite un advisor, di uno specialista che li aiuti a dare senso ai dati ESG, in modo che le informazioni rilevanti arrivino con chiarezza alla rete di consulenza e quest’ultima possa spiegarle in modo semplice alle persone, che, altrimenti, di fronte a documentazioni corpose o con numeri complessi rischiano di perdere interesse nell’investimento.

La SFDR ha portato a una proliferazione di fondi oggi catalogati come articolo 8 e articolo 9. Basta questo per garantire ai risparmiatori che un fondo è sostenibile?

La nuova normativa ha avuto senza dubbio il merito di mettere in moto una trasformazione del mondo del risparmio gestito verso un modo di investire attento agli aspetti relativi all’ambiente e alle tematiche sociali e di governance. Tuttavia, per gli investitori a volte c’è il rischio che ci si esprima in termini non facilmente comprensibili. Gli articoli citati si riferiscono a una normativa sulla trasparenza: se non la si conosce, capire cosa voglia dire articolo 8 e articolo 9 non è immediato. Bisognerebbe comunicare la sostanza. E a volte neppure affidarsi ai rating risolve la questione perché forniscono una grande quantità di dati, anche 2-300 punti di osservazione a livello numerico su ogni strumento, che possono disorientare. La vera sfida sarà nei prossimi 12-18 mesi per riuscire a dare un senso a tutti quei dati (“make sense of these numbers”). Il difficile sarà, infatti, spiegare al cliente l’essenziale su una pagina con pochi dati. Soprattutto se si ha a che fare con un pubblico di imprenditori, di professionisti che sono impegnati e non hanno tempo: è necessario avere uno strumento che consenta di spiegare correttamente le cose in 10 minuti. E gli asset manager che fanno le cose bene lo hanno capito e stanno affrontando nel modo giusto la questione. Nel mondo del wealth management e della consulenza, invece, sicuramente siamo ancora indietro, com’è naturale che sia, ma quello che temo è che molti a livello di reti bancarie o assicurative abbiano sottovalutato la questione. Oggi si pensa ancora che avere il dato sia sufficiente, ma quello non è che l’inizio, occorrono strumenti innovativi per interpretarli.

Quando parla di strumenti innovativi per interpretare i dati, cosa intende esattamente?

Per esempio, la costruzione di piattaforme di consulenza che offrono un presidio utile a facilitare il servizio di consulenza verso i clienti della banca e del wealth management. I risparmiatori hanno bisogno di tre informazioni essenziali: il rating, che è sempre fondamentale, la presenza eventualmente di rischi ESG (importante per gestire il portafoglio) e poi dei dati quantitativi come emissioni di CO2, l’utilizzo di acqua, le pari opportunità o l’allineamento alla tassonomia, anche in linea con la nuova regolamentazione, ma in un formato semplice. In questo modo, si individuano subito problemi e opportunità. Però per arrivare a questo bisogna avere la capacità di sviluppare strumenti adeguati che diano una chiave di lettura dei dati che sono diventati un ingrediente base fornito da operatori specializzati.

Come fare allora per capire se un prodotto è veramente sostenibile?

Per verificare se un prodotto rispetti i criteri ESG svolgiamo un’analisi completa sull’approccio di gestione della SGR, del team di gestione, non ci limitiamo ad effettuare solo la valutazione dei titoli in portafoglio. Leggiamo tutti i documenti relativi al prodotto d’investimento, le policy dell’azienda e controlliamo che quello che il portafoglio rifletta le dichiarazioni. E questo è un aspetto fondamentale, perché generalmente gli advisor si limitano a fare un aggregato dei rating medi dei titoli in portafoglio. Ma i rating dei titoli cambiano. Per questo il processo di valutazione deve assomigliare più a un film che a una fotografia. Ma non solo, occorre anche fare l’intervista al regista e capire cosa vuole fare in futuro. Per questo facciamo una lunga serie di domande relative alle strategie di investimento. Il nostro metodo esclude la possibilità che si verifichino situazioni come quella citata in precedenza: se leggiamo in un prospetto che un prodotto investe solo in oil & gas è impossibile che venga attribuito un rating ESG positivo.

Un’analisi che permette di comprendere il reale profilo di sostenibilità di un prodotto al di là delle etichette…

Il discorso è quello. È chiaro che adottare il nostro approccio richiede molto più tempo: la nostra due diligence porta via due o tre settimane, ma i gestori con cui lavoriamo alla fine sono sempre soddisfatti. Invece, limitarsi a fare l’aggregato dei rating dei titoli in portafoglio è un sistema rapidissimo, ma a mio avviso fuorviante per il reale assessment ESG nel risparmio gestito. Anche perché i rating sulle aziende sono costruiti in grandissima parte sulle politiche di sostenibilità e non su che cosa fanno in concreto in concreto le società. Ma la maggior parte delle large cap ormai hanno definito le proprie policy ESG, quindi, quasi tutte riescono a ottenere rating positivi. Questo vuol dire paradossalmente che un fondo che non persegue obiettivi ESG, ma che investe in large cap europee prenderà quasi sempre un rating positivo, se effettuato solo come aggregato dei titoli in portafoglio, senza aggiungere altro livello di due diligence ESG.

Questo è il motivo per cui Shell riceve da molte rating agency una valutazione decisamente superiore a Tesla. Il risultato sotto diversi aspetti è assurdo: Tesla per quanto lacunosa nella governance, compie azioni concrete, mentre gli altri usano le formule e policy giuste, quindi sono premiati sulla forma, meno sulla sostanza.

Il rischio, quindi, è che si premino le promesse delle aziende e non i risultati?

C’è questo rischio perché se si guarda il peso delle emissioni di CO2 (confronto tra ieri e oggi) in un modello di rating ESG, si nota che è piuttosto basso. È molto più importante il fatto di avere o meno una policy sull’efficientamento energetico.

Ma alla fine chi controlla l’applicazione della SFDR e quindi l’attribuzione di articolo 8 o 9?

L’ESMA ha fatto una puntualizzazione molto importante: gli articoli 8 e 9 non rappresentano una classificazione dei prodotti. Quello che bisognerebbe dire è che un determinato prodotto fa la disclosure in base all’art 8, cioè comunica le cose in base a quello che chiede tale articolo della SFDR. Quindi a maggior ragione bisogna guardare bene nei prodotti, per capire come investono, e non fidarsi solo del fatto che siano articolo 8 o 9. Perché si tratta di un’autodichiarazione e, come dice il regolatore, non una classificazione di prodotto.

Anche se poi però magari alcuni investitori istituzionali – che poi sono quelli che mettono i grandi capitali – si rifiutano di investire in fondi che non siano almeno un articolo 8…

Sì, è vero, ma non basta, bisogna fare di più. Evitare di investire in fondi che non fanno disclosure ai sensi dell’articolo 8 o 9 non è la soluzione, è solo il nuovo punto di partenza.

Non è compito dell’investitore finale orientarsi fra i rating, deve però mantenere la curiosità di fare le domande. La sfida è non accontentarsi dei brand dei prodotti e rimanere vigili.

L’Associazione metereologica mondiale ha recentemente affermato che sta crescendo la probabilità di superare gli 1,5 gradi di riscaldamento da qui al 2026. Alla fine, quindi, qual è la capacità di impatto della finanza green?

Su questo c’è una miriade di ricerche che dicono tutto e il contrario di tutto. L’Europa è il primo continente che vuole diventare carbon neutral e rispettare gli accordi di Parigi: penso sia una sfida molto difficile, ma l’obiettivo da perseguire è quello. La traiettoria è giusta, quindi al di là della contrapposizione tra catastrofisti e iperottimisti, l’importante è veicolare i capitali in quella direzione. E la regolamentazione europea, a partire dalla Tassonomia, è orientata al perseguimento di questo obiettivo.