Come possono gli investitori avere un impatto veramente concreto nella lotta per il clima? Disinvestire è l’unica soluzione o l’engagement offre una via alternativa per migliorare le pratiche ambientali? Sono queste le domande su cui si è focalizzato il webinar di Candriam, asset manager attivo a livello globale, To engage or to divest? Or both?. Secondo i relatori che hanno partecipato all’incontro, entrambe le strategie vanno prese in considerazione, anche se il disinvestimento deve essere scelto “solo nei casi in cui l’engagement non abbia funzionato”, come sottolinea Sophie Deleuze, Lead ESG Analyst – Engagement & Voting di Candriam.
Durante l’evento, l’esperta di Candriam, Pierre Devichi, Head of Responsible Investment di Établissement de Retraite additionnelle de la Fonction publique (ERAFP), esponente degli asset owner, e Jeanne Martin, Head of Banking Programme di ShareAction, portavoce delle ONG, hanno condiviso le rispettive prospettive sul ruolo, i benefici e i fattori chiave di successo del dialogo con gli emittenti e dell’esercizio del diritto di voto, le due strategie più comuni tra gli investitori per praticare l’attività di engagement in tema di clima.
Secondo Jeanne Martin, data l’importanza dell’engagement, gli asset manager potrebbero fare di più. “Ogni 2 o 3 anni ShareAction pubblica una valutazione sull’attività di engagement delle società di gestione. E ciò che è emerso dall’ultima è che la trasparenza che viene invocata a livello teorico non si traduce in azioni”. L’edizione del giugno 2023 della valutazione di ShareAction, infatti, dipinge una situazione in cui solo un quarto dei gestori ha assunto impegni in materia di deforestazione e nessuno si è impegnato a evitare altre forme di danni agli habitat naturali. Inoltre, solo 10 società si sono impegnate concretamente per limitare gli investimenti nei combustibili fossili più dannosi. Secondo Martin si tratta di un problema non da poco, perché l’influenza che gli asset manager possono esercitare sulle aziende in qualità di investitori può essere parte di una possibile soluzione per limitare gli effetti dei danni sull’ambiente.
I criteri ESG sono diventati ormai un punto focale chiave anche per gli asset owner che orientano sempre di più i propri processi di investimento per contribuire alla transizione climatica. Pertanto, anche loro come gli asset manager, selezionano attentamente le società in cui investire e, una volta scelte, si impegnano con esse. Per Pierre Devichi, infatti, possono esserci diverse ragioni per scegliere di disinvestire da alcune società, ma “l’esclusione dovrebbe essere solo lo step finale, dopo aver tentato in ogni modo di impegnarsi con le aziende”. Rispetto al disinvestimento, poi, Devichi sottolinea che un investitore (istituzionale e non) può decidere di escludere solo alcuni prodotti contenuti in un portfolio mantenendone altri, a prescindere che si tratti di un portafoglio azionario o obbligazionario.
Per quanto riguarda il punto di vista degli asset manager, Sophie Deleuze ribadisce che anche per loro il ricorso al disinvestimento avviene solo “se dopo aver utilizzato tutti gli strumenti a nostra disposizione per far leva sulle decisioni delle aziende, l’engagement non sembra funzionare”. Ma questo, precisa Deleuze, “non vuol dire che disinvestiamo completamente da un’azienda da un giorno all’altro”. In una prima fase, Candriam considera l’azienda non più eleggibile per i fondi in cui ha criteri di investimento sostenibile molto rigidi. Allo stesso tempo, l’asset manager continuerà ad esercitare una certa influenza sull’azienda e a investire nella società. “È preferibile far ricorso all’engagement, il disinvestimento può essere occasionalmente necessario. Ma quando guardiamo alle aziende come investitori responsabili, guardiamo a esse nel loro complesso. Quando ci concentriamo sulla questione climatica, ciò non significa che non analizziamo le aziende in tutta la loro complessità e sappiamo perfettamente che dietro le aziende ci sono dipendenti e comunità locali che dipendono da loro. Ed è per questo che l’engagement è così importante”, aggiunge l’esperta di Candriam.
A proposito della trasparenza citata dalla portavoce di ShareAction, Deleuze sottolinea come Candriam valuti attentamente se l’impatto dell’engagement può essere misurato, al fine di evitare di cadere nella pratica del greenwashing. “Un altro fattore chiave è la tempestività: come investitori abbiamo un’influenza, ma la hanno anche i clienti e la società. Quando tutte queste diverse parti interessate spingono nella stessa direzione, allora è il momento giusto per agire. La capacità di individuare questo momento significa che internamente, da parte nostra, conosciamo molto bene l’intero ecosistema degli emittenti, e che abbiamo le competenze interne, ovvero un mix di competenze finanziarie ed ESG necessarie per individuare il giusto momento”, rimarca l’analista ESG di Candriam.
Fatte queste premesse, quali cambiamenti auspicano per il futuro le tre controparti coinvolte nel webinar di Candriam?
Jeanne Martin, come esponente di un’ONG, suggerisce agli investitori di considerare se la società in cui investono si è posta obiettivi in linea con i target climatici e se è in grado di contribuire alla transizione del modello di mercato. Inoltre, gli investitori dovrebbero indagare anche l’attività di engagement svolta precedentemente con l’azienda in questione per capire se ha portato a risultati concreti oppure, “come nel caso di Exxonmobil”, gli effetti sono stati piuttosto limitati e niente è cambiato, per esempio, in termini di obiettivi aziendali volti alla riduzione delle emissioni. Infine, secondo Martin le società di gestione dovrebbero migliorare la trasparenza: “In questo ambito c’è ancora molto da fare. La maggior parte degli asset manager, infatti, non divulga le modalità con cui si impegna con le società investite”.
Dal canto suo, Pierre Devichi, portavoce degli asset owner, evidenzia la necessità di maggiore chiarezza sulle strategie e le priorità di engagement. Per rispondere a questa esigenza sarebbe opportuno un intervento normativo, che possa affiancare l’attività di guida che viene in parte già svolta da alcune alleanze come la Net Zero Asset Managers Initiative (NZAM).
“Per il futuro, vorremmo vedere una minore polarizzazione del dibattito. Nel dialogo con le aziende stiamo osservando un aumento delle tensioni. Se vogliamo essere produttivi ed efficienti, se vogliamo affrontare la crisi climatica, allora è necessario il rispetto e la comprensione delle rispettive sfide che dobbiamo affrontare”, osserva Sophie Deleuze. “Le aziende devono anche capire che in quanto asset manager abbiamo un dovere nei confronti dei nostri clienti. La maggior parte di loro vuole un rendimento, ma non a spese di fattori ambientali o sociali. Abbiamo anche vincoli normativi”, aggiunge, ribadendo che la riduzione di una polarizzazione del dibattito “è una necessità”.