Quasi la metà delle 100 più grandi aziende del Regno Unito utilizza i criteri ESG per definire gli obiettivi per la retribuzione dei propri manager. E’ il risultato di uno studio condotto dalla London Business School e da PricewaterhouseCoopers (PWC), sulla base di quanto contenuto bilanci 2020 a proposito dei piani retributivi e delle eventuali connessioni a obiettivi ESG da parte delle società del FTSE 100, l’indice delle 100 maggiori società del Regno Unito per capitalizzazione.
Secondo l’analisi, il 45% delle società, presenti nel FTSE 100 incorpora attualmente le metriche ESG nel calcolo dei bonus annuali o nei piani di incentivazione a lungo termine, noti anche come LTIP. Delle 100 aziende, il 37% include le metriche ESG nel proprio piano bonus, con una ponderazione media del 15%, mentre il 19% le include nel proprio LTIP, con una ponderazione media del 16%. La ponderazione indica la proporzione della misura retributiva collegata alla performance ESG.
Tra le società FTSE 100 che collegano la performance ESG alla remunerazione troviamo Unilever, Standard Chartered, Royal Dutch Shell e BP.
Per le aziende blue-chip collegare la performance ESG alla retribuzione manageriale rimane un compito complicato. Le misure ESG variano da settore a settore e hanno generato una proliferazione di KPI differenti. Ciò significa che tra un’azienda e un’altra la retribuzione di un manager possa essere valutata in modo molto diverso a seconda dell’indicatore utilizzato.
Le società che adottano misure ESG materiali tendono a ottenere risultati migliori e ciò, secondo quanto sottolineato dal rapporto, dovrebbe tradursi in un prezzo delle azioni più elevato. Ma il mercato ci mette un po’ a percepire queste differenze e generalmente l’allineamento emerge completamente solo su periodi superiori a cinque anni. Per le compagnie petrolifere e altri grandi emettitori di gas serra, quel lasso di tempo arriva a un decennio.
La relazione tra parametri ESG e obiettivi presi in relazione per le remunerazioni sta iniziando a prendere piede. Secondo uno studio di Willis Towers Watson dello scorso mese di giugno, citato da S&P, negli Stati Uniti, circa la metà delle società S&P 500 incorporano i parametri ESG nei loro piani di remunerazione annuali, sebbene tale analisi abbia anche concluso che “pochi danno alle metriche ESG l’importanza che meritano”. Tra le aziende che hanno collegato una parte della retribuzione del top management a parametri ESG, come la riduzione delle emissioni e la diversità, ci sono Apple, Chipotle Mexican Grill, McDonald’s e Starbucks.
Quanto alla tipologia di parametri selezionati Willis Towers Watson, in un altro studio, evidenzia il clima sia preso in considerazione maggiormente dalle società europee rispetto a quelle americane. Nel dettaglio l’11% delle prime 350 società europee ha legato i primi di incentivazione a obiettivi sulle emissioni di CO2, contro il 2% delle società statunitensi dello S&P 500.
A livello globale, il divario è ancora maggiore. Un documento dell’aprile 2020 pubblicato dalla società di ricerca Sustainalytics ha rilevato che solo il 9% delle società nell’indice azionario FTSE All World (più di 3.100 società) collega la retribuzione del management ai criteri ESG e quelle che lo fanno scelgono di solito parametri relativi a salute e sicurezza sul lavoro piuttosto che di questioni come il cambiamento climatico o diversità di genere.