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Analisi Università Cattolica - Assogestioni

Fuga delle italiane in Olanda: il ruolo delle azioni a voto multiplo

L’ultima in ordine di tempo è Brembo. Ma l’avevano anticipata negli ultimi due anni anche Iveco Group e Mediaset. Il numero delle aziende di Piazza Affari che negli ultimi dieci anni ha preso la strada dell’Olanda sale quindi a 13. Grandi gruppi, tra cui anche Ferrari, Campari e Ariston Holding, che valgono circa il 22% della capitalizzazione totale del mercato italiano. Le ragioni della delocalizzazione all’estero possono essere molteplici, dalla convenienza fiscale a scelte strategiche o di marketing. Ma in particolare, a svolgere un ruolo cruciale nello spostamento della sede legale è il fenomeno del forum shipping, ossia la ricerca del paese con la legislazione più conveniente. Nel caso della delocalizzazione in Olanda ad attrarre è la presenza di un quadro normativo meno rigido in termini di specifiche decisioni di corporate governance. È quanto emerge dallo studio Così non fan tutte. An analysis of Italian companies moving abroad condotto dal Centro di Ricerche Finanziarie sulla Corporate Governance (FIN-GOV) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con Assogestioni, che ha studiato la dimensione del fenomeno dei trasferimenti di sede e dei processi di quotazione su mercati esteri e investigato i motivi di tali decisioni.

Lo studio, che vuole essere un punto di riferimento nel dibattito politico più ampio sull’attrattività della piazza borsistica italiana e sullo sviluppo del mercato finanziario, oggi al centro anche dell’iniziativa legislativa DDL Capitali, ha evidenziato come l’Italia sia il paese che presenta il maggior numero di imprese che si trasferiscono all’estero tra i Paesi europei e che l’attrattività, soprattutto dei Paesi Bassi, sia dovuta in particolare all’adozione di un approccio permissivo alla separazione tra proprietà e controllo. 

Mentre, per quanto riguarda l’aumento delle IPO estere, la motivazione è collegata per lo più alla globalizzazione e alla crescente integrazione dei mercati finanziari internazionali e non alla perdita di attrattiva del mercato italiano, come temuto invece da alcuni accademici, professionisti e policy maker.

Dalla ricerca è emerso inoltre che la piazza finanziaria olandese risulta la meta che in Europa ha attratto più di altre le società straniere, ma ci sono notevoli divergenze nel modo in cui le aziende italiane ed europee optano per tale destinazione.

Fonte: Così non fan tutte. An analysis of Italian companies moving abroad FIN-GOV dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con Assogestioni

Le società italiane che si trasferiscono in Olanda fanno massiccio uso di azioni a voto multiplo associate a meccanismi di loyalty che incrementano progressivamente la presa dell’azionista di controllo. Non si trova praticamente traccia di tali strumenti tra le società che migrano in Olanda da altri Paesi europei, né tra le olandesi native, che fanno uso di strumenti di rafforzamento del controllo meno aggressivi”, ha dichiarato Massimo Belcredi, direttore del Centro FIN-GOV e professore ordinario di Finanza aziendale all’Università Cattolica.

Quindi, mentre la stragrande maggioranza delle imprese europee che si trasferiscono in Olanda adottano meccanismi di rafforzamento del controllo (CEM), conformandosi così alla prassi standard olandese di proteggere la stabilità del consiglio di amministrazione, e non il potere degli azionisti, le imprese italiane cercano altre soluzioni, tra cui le azioni con diritti di voto multipli (MVR).

Secondo i ricercatori, però, le azioni con diritti di voto multipli (MVR), così diffuse nel nostro Paese, conferiscono agli azionisti di lungo termine un potere sproporzionato su qualsiasi decisione soggetta al voto degli azionisti e hanno dunque ripercussioni durature sulle dinamiche di corporate governance, con una separazione tra proprietà e controllo che aumenta (a volte drasticamente) nel corso del tempo.

I risultati dello studio

Dall’analisi dell’Università Cattolica e di Assogestioni emerge che l’Italia ha il maggior numero di imprese che delocalizzano all’estero tra i Paesi europei, ma l’entità del flusso di IPO è limitata. Analizzando le delocalizzazioni e le IPO estere delle imprese italiane (con una capitalizzazione di mercato di almeno 1 miliardo di euro) tra il 2000 e il 2021, risulta che la motivazione primaria alla base delle decisioni di delocalizzazione delle aziende italiane è il forum shopping.

La frequenza delle delocalizzazioni e delle IPO estere è aumentata in particolare dopo il 2010: il 93% delle delocalizzazioni e il 76% delle IPO estere. La destinazione preferita dalle aziende italiane che si trasferiscono all’estero è l’Olanda (9 imprese, 60%), mentre la Borsa francese attrae il maggior numero di quotazioni estere (13 IPO, 35%). “D’altra parte, l’Italia è il Paese europeo che sta vivendo il maggior deflusso di imprese, sia in generale (15 imprese) sia verso i Paesi Bassi (9 imprese), seguita da Germania (6) e Francia (5)”, si legge nello studio.

Preso atto della diffusione di questo fenomeno, gli analisti individuano tre motivazioni alla base della decisione di delocalizzare: una di tipo strategico, una legata al risparmio fiscale e un’altra al forum shopping. Nell’analisi, inoltre, viene presa in considerazione anche l’eventuale presenza e rilevanza di meccanismi quali le azioni con diritti di voto multipli (MVR) e le disposizioni di supermaggioranza.

Per quanto riguarda la motivazione strategica, come ad esempio l’espansione geografica, dall’analisi non emergono prove sistematiche a sostegno di questa tesi. Anche relativamente al risparmio fiscale, sebbene vi siano stati alcuni casi di trasferimento della residenza fiscale nel Paese di destinazione soprattutto di aziende che hanno delocalizzato in Paesi diversi dall’Olanda, non sono state riscontrate variazioni significative dell’aliquota fiscale effettiva nell’anno di delocalizzazione, suggerendo che i vantaggi fiscali non sono una motivazione di primo ordine. È il forum shopping, invece, l’incentivo più diffuso tra le aziende italiane che hanno delocalizzato, soprattutto in Olanda, un Paese che ha adottato un approccio permissivo alla separazione tra proprietà e controllo. 

La maggior parte delle imprese italiane e di altre aziende europee trasferitesi nei Paesi Bassi ha un azionista di controllo (rispettivamente 88,9% e 92,3%). Le società olandesi, invece, sono per lo più ad azionariato diffuso (63,4%). Dallo studio emerge anche che le imprese italiane fanno un uso estensivo delle azioni con diritti di voto multipli (MVR), dato che 8 su 9 ne hanno autorizzato l’emissione nello statuto e 7 le hanno già emesse. In tutti i casi, tranne 2, le MVR sono concesse attraverso un programma di fidelizzazione che consente agli azionisti di lungo termine di aumentare progressivamente il loro potere di voto. 

Al contrario, solo il 31% delle imprese europee che si sono trasferite nei Paesi Bassi e il 7% delle imprese nativo olandesi hanno emesso azioni MVR. Il meccanismo di rafforzamento del controllo preferito dalle imprese europee (77%) è quello a supermaggioranza, per lo più associata alle procedure di nomina e revoca degli amministratori. D’altra parte, le imprese olandesi tendono invece ad affidarsi ai certificati di deposito, emessi senza diritto di voto dal 32% delle società. Inoltre, il 54% di esse ha istituito una fondazione di protezione che funge da difesa contro le acquisizioni.

Gli effetti sulla corporate governance dell’adozione di determinate politiche CEM piuttosto che altre sono profondamente diverse. In primo luogo, sottolineano gli autori, i meccanismi di rafforzamento di controllo adottati dalle imprese italiane separano in modo aggressivo il controllo dalla proprietà, seguendo una logica per cui la soglia per detenere il controllo e quella di voto sono molto distanti, e rafforzando così la posizione dell’azionista di controllo. In secondo luogo, l’ampio ricorso alle azioni di MVR da parte delle imprese italiane permette agli azionisti di controllo di aumentare la propria influenza su quasi tutte le decisioni prese dall’assemblea generale, mentre le clausole di supermaggioranza adottate altrove si applicano di solito solo a un numero limitato di questioni (ad esempio, la nomina o la revoca degli amministratori).

In terzo luogo, le azioni con diritti di voto multipli introdotte dalle imprese italiane seguono solitamente un meccanismo di fidelizzazione, fornendo così un grado di separazione controllo-proprietà che aumenta (a volte drasticamente) nel corso del tempo. Ciò consente non solo ai fondatori di controllare la maggioranza dei diritti di voto anche se hanno una quota di partecipazione di minoranza, ma implica anche che la quota di partecipazione necessaria per controllare le decisioni dell’assemblea generale diminuisce nel tempo. Inoltre, si sottolinea nello studio, è importante notare che i diritti di voto multipli acquisiti tramite un programma di fidelizzazione vengono annullati in caso di vendita delle azioni, comportando il rischio che gli azionisti di controllo (e in particolare i loro eredi) possano essere “bloccati”. Con questo i ricercatori si riferiscono ai casi in cui gli azionisti di controllo non sono disposti a vendere la loro quota di partecipazione anche se si presenta un potenziale acquirente con capacità di gestione superiori, poiché non sono in grado di monetizzare il valore del controllo. “I meccanismi di radicamento possono quindi ritorcersi contro gli stessi fondatori nel lungo periodo”, si legge nel paper. A livello europeo, invece, è molto più diffusa l’adozione di meccanismi che garantiscono la continuità manageriale e proteggono la stabilità del consiglio di amministrazione. 

In sintesi, secondo i ricercatori, il problema maggiore legato alle azioni con diritti di voto multipli (MVR), così diffuse in Italia, è che hanno ripercussioni durature sulle dinamiche di corporate governance, in quanto conferiscono agli azionisti di lungo termine un potere sproporzionato su qualsiasi decisione soggetta al voto degli azionisti. 

Questioni di corporate governance: conclusioni

In conclusione, il fenomeno del forum shopping gioca un ruolo cruciale nella decisione delle aziende italiane di delocalizzare all’estero, mentre i vantaggi fiscali e strategici hanno un’importanza secondaria. Ciò è particolarmente vero per le imprese che si trasferiscono in Olanda, in quanto il loro grado di separazione tra proprietà e controllo diventa molto più alto sia di quello prevalente prima della delocalizzazione sia di quello consentito dalla legislazione nazionale attraverso le azioni con diritto di voto multipli. Inoltre, il grado di separazione dopo il trasferimento in olanda è molto più pronunciato rispetto a quello delle imprese italiane che si trasferiscono altrove, delle altre società europee che si trasferiscono nei Paesi Bassi e delle aziende olandesi. 

Infine, l’Italia è il Paese europeo che presenta il maggior flusso di aziende in uscita, sia in generale che verso i Paesi Bassi, nonostante la regolamentazione CEM in altri Paesi sia talvolta altrettanto o addirittura più restrittiva di quella italiana. Forse, suggeriscono i ricercatori, ciò può essere legato al fatto che le politiche di rafforzamento del controllo messe in pratica dalle aziende italiane sono molto diverse da quelle delle loro colleghe europee. Le italiane, infatti, tutelano il potere di voto dell’azionista di controllo (tramite le azioni MVR), mentre le altre imprese europee tendono a introdurre disposizioni di supermaggioranza, conformandosi così alla prassi standard olandese di proteggere la stabilità del consiglio di amministrazione, non il potere degli azionisti.