Due diligence direttiva UE DLA Piper | ESGnews

Intervista DLA Piper

Due diligence: gli impatti della nuova direttiva UE, cosa cambia

Pochi giorni fa il testo definitivo dell’attesa CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), la direttiva sulla due diligence aziendale, che impegna le imprese a gestire i rischi legati al rispetto dei diritti umani e quelli ambientali lungo tutta la catena di fornitura, è stato finalmente approvato. In una versione, però, soft che riduce di molto il campo di applicazione, quindi le aziende interessate, e rimanda agli Stati Membri la scelta di se legittimare i sindacati a intraprendere azioni dirette contro le imprese inadempienti in sede civile.

Una decisione questa che, secondo Alice Villari, Counsel, EHS ESG, DLA Piper e Edoardo Maestri, Trainee Lawyer, EHS ESG, DLA Piper crea disparità di trattamento tra componente sociale e quella ambientale. “Le associazioni rappresentative di interessi diffusi nella tutela ambientale hanno conservato la legittimazione attiva. Viceversa, l’aver deferito agli stati membri la possibilità di autorizzare la legittimazione attiva dei sindacati, anziché statuire questa possibilità direttamente nella direttiva come obbligo, comporta, da un lato, un livello di tutela differenziata tra la violazione delle norme in materia di condizioni lavorative e quelle delle norme di tutela ambientale. Dall’altro lato, inoltre, può comportare livelli diversi di tutela in materia sociale da paese a paese” sottolineano Villari e Maestri che in questa intervista a ESGnews fanno il punto sulla nuova direttiva europea.

Cosa cambierà per le imprese?

Ci saranno nuovi obblighi, con conseguenti controlli e sanzioni, per le imprese (rimaste) assoggettate all’applicazione della proposta di CSDDD. I nuovi obblighi consistono in identificare, prevenire, mitigare e rendere conto degli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente e allineare le policy aziendali con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C, adottando e attuando piani di transizione, da aggiornare annualmente, per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Secondo il Centro di ricerca sulle società multinazionali (The Centre for Research on Multinational Corporations), saranno interessate dalla direttiva solo 5.421 aziende, il 67% in meno rispetto alle 16.389 previste dall’accordo di dicembre. Anche in Italia la riduzione è del 67%. Quali saranno le conseguenze?

La direttiva sulla due diligence si applicherà alle aziende con più di 1000 dipendenti e con un fatturato superiore ai 450 milioni di euro, diversamente dalla versione originaria che invece prevedeva l’applicabilità della norma alle imprese con più di 500 dipendenti e fatturato superiore dei 150 milioni. La riduzione della platea delle aziende impattate da questa direttiva è dunque dovuto innanzitutto dall’innalzamento di tali soglie e ha quale principale conseguenza dunque l’esclusione non solo delle PMI ma anche delle grandi imprese (per esempio quelle che hanno più di 250 occupati e un fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro).

Un’ulteriore conseguenza derivante dalla riduzione dei destinatari della CSDD è che non sono attenzionati alcuni settori particolarmente a rischio di violazione di diritti umani e/o depauperamento dell’ambiente quali per esempio il petrolifero, l’estrattivo, l’agricoltura, l’industria tessile e la pesca. Questo perchè nella nuova versione della direttiva non è più previsto che imprese operanti in settori ad alto rischio ricadano nel suo ambito di applicazione, a prescindere dal raggiungimento dei requisiti dimensionali.

Questo drastico restringimento delle imprese interessate comporta due effetti negativi, tra loro interdipendenti: da una parte una compromissione della concorrenza tra le imprese, sia all’interno che all’esterno del mercato unionale e dall’altra parte sarà molto limitato il controllo di effetti e impatti su ambiente e società civile.

Alice Villari, Counsel, EHS ESG, DLA Piper

Sono state rimosse anche le disposizioni sulla responsabilità civile che consentirebbero ai sindacati di citare in giudizio le aziende non conformi. Cosa pensa a riguardo?

Rispetto alla versione originaria della direttiva, che prevedeva che i sindacati fossero legittimati ad avviare azioni dirette contro le aziende per far valere la loro responsabilità in sede civile per un risarcimento del danno, le nuove disposizioni si limitano a rinviare alla scelta degli stati membri in sede di trasposizione della CSDDD nei loro ordinamenti la possibilità di autorizzare i sindacati ad azionare rimedi giuridici per tutelare i soggetti lesi dall’agire delle aziende in violazione degli obblighi di due diligence.

Tale limitazione nell’accessibilità alla tutela giurisdizionale rappresenta una disparità di trattamento tra componente sociale (Social) e quella ambientale (Environmental). Infatti, le associazioni rappresentative di interessi diffusi nella tutela ambientale hanno conservato la legittimazione attiva. Viceversa, l’aver deferito agli stati membri la possibilità di autorizzare la legittimazione attiva dei sindacati, anziché statuire questa possibilità direttamente nella direttiva come obbligo cui gli stati membri dovranno uniformarsi comporta, da un lato, un livello di tutela differenziata tra la violazione delle norme in materia di condizioni lavorative e quelle delle norme di tutela ambientale. Dall’altro lato, inoltre, può comportare livelli diversi di tutela in materia sociale da paese a paese, laddove uno stato membro autorizzi la legittimazione attiva dei sindacati e un altro no. Con ciò generando una serie di problematiche anche di cosiddetto forum shopping.

Quali sono gli ambiti su cui vedremo un effetto positivo dall’approvazione della norma?

Nelle (pochissime) aziende destinatarie della CSDDD vedremo sicuramente alcuni effetti positivi. Sicuramente vi sarà una maggiore awareness degli effettivi e potenziali impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente. Una maggiore consapevolezza porta con sé una migliore capacità di identificare in maniera più rapida ed efficace le misure da adottare per mitigare o riparare a un dato impatto e di saper monitorare l’adeguatezza e l’efficacia delle misure attuate.

Un secondo aspetto positivo derivante dall’applicazione della CSDDD riguarda senz’altro le modalità di coinvolgimento degli stakeholder: la direttiva, infatti, specifica quali informazioni devono essere fornite alle parti interessate e in quali fasi del processo di due diligence le parti interessate devono essere consultate.

L’adempimento agli obblighi della CSDDD comporta effetti virtuosi anche rispetto all’applicazione di altre normative. La due diligence di sostenibilità rappresenta, infatti, il corollario di una serie di recenti norme europee, quali la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), il Regolamento SFDR e la proposta di Direttiva Green Claims.

Certo, questi effetti positivi saranno possibili solo per quello 0,05% di aziende impattate dalla CSDDD ma siamo abituati a un mercato che va più veloce delle norme, per cui non possiamo escludere, come in effetti abbiamo già visto in questi anni con la stagione dei report di sostenibilità redatti anche da società che non sarebbero state obbligate a farlo ai sensi della DNF, che l’asticella si alzi anche per le aziende che non sono destinatarie della CSDDD.

Quali sono gli strumenti che hanno le aziende per potere imporre le proprie regole ai fornitori?

Tra i metodi maggiormente usati dalle società a capo di grandi catene di fornitura per “imporre” le proprie regole vi sono la predisposizione di codici di condotta di gruppo, la previsione di clausole di sospensione o risoluzione dei contratti in caso di esternalità negative, la condivisione di know-how e l’erogazione finanziamenti ed investimenti infragruppo sulla base di comportamenti e rendimenti giudicati rispettosi degli standard sociali e ambientali definiti dall’azienda di riferimento.

Un caso concreto che si può prendere a paradigma per vedere come si stanno organizzando le aziende è quello del controllo delle emissioni indirette Scope 3 lungo la supply chain. Varie sono le modalità messe in atto per ridurle: calcolo della corporate carbon footprint da parte e a carico dell’azienda che vuole “imporre” la sua policy, piani di monitoraggio periodici per migliorare le informazioni lungo la catena inerenti alle emissioni, selezione dei fornitori tramite appalti che tengano conto delle performance climatiche e delle certificazioni ambientali possedute, engagement di stakeholder localizzati in zone limitrofe agli impianti di produzione dei fornitori.

Cosa rischiano le imprese che non sapranno controllare la propria catena di fornitura?

La disciplina delle conseguenze per la violazione degli obblighi di due diligence della CSDDD è demandata all’implementazione da parte degli stati membri, ma la direttiva ne definisce l’ossatura principale su due piani. I paesi membri dovranno istituire autorità di vigilanza (che dovranno collaborare a livello europeo) con poteri di ispezione, indagine e di imposizione delle sanzioni. E dovranno inoltre prevedere sanzioni amministrative pecuniarie con un massimale non inferiore al 5% del fatturato netto mondiale dell’impresa (anche consolidato, se del caso).

What’s next? Il testo della CSDDD è stato approvato dal JURI il 19 marzo scorso. Ora dovrà essere ratificato dalla Plenaria del Parlamento UE entro aprile in vista delle elezioni europee di giugno. Trattandosi di una direttiva, gli Stati membri dovranno rispettare un periodo di recepimento di 2 anni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale UE e, pertanto, la CSDDD non sarà applicabile prima della metà del 2027.