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L'opinione di Mark Dowding di RBC BlueBay Asset Management

Stiamo passando da un non atterraggio ad un atterraggio duro?

Le aspettative sui tassi di interesse hanno continuato a salire nel corso della scorsa settimana, con l’Europa in testa. I mercati monetari ora scontano un aumento dei tassi della Banca Centrale Europea (BCE) di altri 150 pb nei prossimi mesi, fino a un livello appena inferiore al 4%.

I dati economici continuano a mostrare segnali di miglioramento, mentre la tendenza al ribasso dell’inflazione a febbraio si è fermata, con i dati dell’Indice dei Prezzi al Consumo (IPC) in tutto il continente che hanno sorpreso al rialzo rispetto alle aspettative degli analisti. È probabile che la Bce rimanga in modalità falco nella riunione di marzo e sembra improbabile che la Lagarde sia in grado di attuare un imminente rallentamento del ritmo dei rialzi dei tassi, ancora per un po’.

Mark Dowding, CIO di RBC BlueBay Asset Management

Dall’altra parte dell’Atlantico, riteniamo che la Federal Reserve potrebbe dare segnali di voler ridurre l’inflazione. Sia negli Stati Uniti sia in Europa, i tassi d’interesse saranno ben al di sopra del tasso neutrale ipotizzato, R*, e quindi non sorprende che ciò alimenti le speranze di essere vicini al massimo del ciclo dei tassi.

Tuttavia, sulla scia dei dati positivi, abbiamo riscontrato un crescente livello di preoccupazione in diversi ambienti per il fatto che la politica monetaria non sta avendo l’effetto di rallentare l’attività economica che normalmente ci si aspetterebbe.

Nel valutare queste tendenze con i policymaker, si è discusso se la persistenza di tassi di interesse reali negativi (con tassi nominali che rimangono al di sotto dei livelli prevalenti di inflazione) significhi che le condizioni monetarie rimangono più accomodanti di quanto alcuni modelli possano suggerire.

Nel frattempo, abbiamo già discusso come i mutuatari americani (e un buon numero di europei) si siano coperti dallo shock dei tassi per i prossimi 30 anni, quando i tassi erano ai minimi storici. Da questo punto di vista, se i mutui delle famiglie sono a tasso fisso, ma il reddito da risparmio aumenterà in linea con i tassi d’interesse, si può facilmente dedurre che alcune famiglie saranno effettivamente più avvantaggiate, man mano che i tassi d’interesse aumenteranno.

L’effetto di trasmissione di una politica monetaria più aggressiva potrebbe anche essere attenuato in un momento in cui gli asset owner (comprese le banche centrali e i mercati privati) non sono sotto pressione nel registrare le perdite sul mercato. Questi fattori potrebbero ritardare un inasprimento delle condizioni finanziarie.

Un altro aspetto che abbiamo esaminato nella scorsa settimana è se i tassi di interesse perdano la loro efficacia quando i tassi nominali sono a livelli nominali molto bassi. In passato abbiamo notato che quando le banche centrali tagliano i tassi d’interesse dal 2% allo 0% e oltre, in un periodo di rallentamento economico, la politica può apparire, come direbbero gli inglesi: “pushing on a string“. Secondo questa teoria, le politiche monetarie, le riserve federali o le risoluzioni delle banche centrali non sono sufficienti a stimolare un’economia, soprattutto nei casi in cui le istituzioni finanziarie sono riluttanti a concedere prestiti e il settore privato è riluttante a spendere.

A prescindere dal merito di questo dibattito, sembra che i policymaker concordino sul fatto che la politica sta operando con grande ritardo, più di quanto si potesse prevedere, e al momento è difficile immaginare un rischio di recessione nei prossimi tre-sei mesi.

Ciononostante, nell’ambiente politico sembra continuare a prevalere la tesi secondo cui le politiche monetarie faranno rallentare la crescita e l’inflazione, ma con un certo ritardo. Questo dovrebbe ancora far pensare a un picco dei tassi all’inizio dell’estate. Tuttavia, cresce il rischio che i tassi debbano aumentare sensibilmente se si vuole rallentare la domanda.

Da questo punto di vista, le misure delle condizioni finanziarie rimangono solo marginalmente restrittive e non lontane dal livello medio degli ultimi 30 anni. L’incertezza dei dati permane e la ripresa della domanda cinese potrebbe rappresentare un rischio al rialzo, sia per la crescita sia per l’inflazione, in tutta l’economia globale.

Tuttavia, continua a prevalere l’idea che l’aumento dei tassi abbia bisogno di un po’ più di tempo per funzionare. Dopo aver già dato prova di una notevole capacità di contenimento, alcuni temono che la politica monetaria possa diventare eccessivamente reattiva. Alcuni avranno notato anche che le recenti sorprese dei dati potrebbero essere state falsate dalle condizioni climatiche invernali storicamente miti.

Per questo motivo, riteniamo che il FOMC aumenterà solo con incrementi di 25 pb a partire da questo momento, a meno che dati sorprendenti non lo costringano a modificare questo percorso. In questo contesto, le proiezioni del mercato che prevedono un picco del 5,5% per i Fed Funds e che rimarranno superiori al 5% fino alla prossima primavera appaiono a nostro avviso ampiamente ragionevoli.

Detto questo, continuiamo a pensare che il “non atterraggio” non possa essere la destinazione finale di questo ciclo economico. Riteniamo che assisteremo a un atterraggio morbido, oppure che una politica più restrittiva porterà alla recessione e a un atterraggio duro a tempo debito.

Da questo punto di vista, vediamo i risk asset come potenzialmente vulnerabili a tassi più alti, inflazione più elevata o rallentamento della crescita economica. I multipli rimangono elevati, in parte sulla base della convinzione che gli utili possano continuare a crescere e che i rendimenti obbligazionari finiranno per scendere, con il ritorno dell’inflazione al suo target.

Tuttavia, per raggiungere questa meta è necessario percorrere un sentiero molto stretto di “disinflazione immacolata”, in cui la crescita dei prezzi rallenta fino a diventare normale, ma senza danni collaterali per il mercato del lavoro, e sembra facile che l’economia cada da una parte o dall’altra, il che significa che è giustificata una posizione difensiva.

Nel frattempo, a Tokyo, la Bank of Japan (BoJ) continua ad affermare la propria fedeltà alla politica di controllo della curva dei rendimenti (YCC). Nell’ultima settimana, la BoJ ha ridotto i PcT per rendere costoso il prestito delle obbligazioni acquistate e, quindi, per stanare coloro che cercano di speculare a sue spese.

Tuttavia, continuiamo a credere che un cambiamento di politica sarà dettato dall’evoluzione delle condizioni economiche, più che dalle azioni di soggetti esterni. La realtà è che l’inflazione di base è ora superiore al 4% in Giappone e il problema dell’inflazione è in aumento. A nostro avviso, ciò ha portato a forti aumenti nella tornata salariale di Shunto e vediamo che le imprese, inizialmente riluttanti ad aumentare i prezzi, sono ora sempre più felici di farlo.

La politica monetaria ultra-accomodante sta alimentando la pressione inflazionistica, ed è anche ironico che il fatto che la BoJ debba acquistare titoli e accrescere il proprio bilancio a un ritmo accelerato significa che la politica sta in realtà diventando più accomodante, anche se si profila un’uscita.

Nel frattempo, ci interessa che anche la RBA in Australia abbia compresso i repo sulle obbligazioni a 3 anni poco prima di abbandonare il YCC, e quindi ci chiediamo se le recenti misure possano essere un preludio alla stessa cosa. Per il momento, ci aspettiamo un aggiustamento del rendimento dello 0,75% alla riunione della BoJ di marzo.

La scorsa settimana i titoli azionari sono scesi, seguendo lo schema che avevamo previsto, secondo il quale la parte anteriore del mercato dei tassi cede per prima, seguita dalla parte lunga e dagli asset di rischio. Tuttavia, il credito continua a scambiare con una certa resistenza e sembra che le nubi di un eventuale rallentamento economico siano ancora abbastanza lontane da non aver intaccato l’appetito per le obbligazioni societarie e sovrane a livelli di rendimento assoluto, che appaiono interessanti per molti.

Altrove, nel settore FX, sembra che la recente forza del dollaro stia perdendo slancio. Di certo la Fed sembra avere meno da fare, in termini di rialzo dei tassi, rispetto ad altre banche centrali. Dopo essere stati leggermente lunghi sul dollaro a febbraio, negli ultimi giorni ci siamo mossi nella direzione opposta, aggiungendo esposizioni in India, Israele e yen.

Guardando al futuro

Il rapporto sui salari della prossima settimana sarà seguito con attenzione sulla scia di quello sorprendentemente solido di febbraio, che ha visto l’aggiunta di oltre mezzo milione di posti di lavoro. In seguito, l’attenzione si sposterà sul rapporto CPI, con questi due dati che sembrano essere di fondamentale importanza sia per gli operatori di mercato che per i policymaker.

Nel frattempo, come rara buona notizia, l’accordo di Sunak con Von der Leyen potrebbe dare il via a un crescente riavvicinamento tra l’UE e il Regno Unito nei mesi a venire. Riteniamo che l’UE stia cercando di agire in modo costruttivo, tanto che un referendum di “ri-adesione” potrebbe essere previsto nei prossimi cinque-sette anni, sotto un governo laburista.

Il quadro macro del Regno Unito rimane desolante. L’inflazione persistente comporta un aumento dei tassi, ma questo rischia di accelerare il crollo degli alloggi.

Da questo punto di vista, riteniamo che il Regno Unito rimarrà intrappolato tra l’incudine e il martello. Di conseguenza, manteniamo una posizione negativa sugli asset britannici e sulla sterlina. Almeno Rishi si sta facendo di nuovo qualche amico.