I rendimenti dei titoli di Stato core sono scesi in una settimana di turbolenza per i mercati. I risk asset sono rimasti relativamente stabili dopo la fiammata delle banche della scorsa settimana, mentre il dollaro USA ha dimostrato una maggiore solidità. Tuttavia, più che un senso di sicurezza, riteniamo che la situazione dei mercati esprima il grado di incertezza degli operatori alle prese con rischi su diversi fronti e con l’interpretazione dei dati economici di fine ciclo.
In generale, non saremmo sorpresi se la volatilità aumentasse nei prossimi mesi, quindi essere pazienti e attendere opportunità più chiare sembra essere l’atteggiamento più giustificato.
Sul fronte dei dati, il mercato del lavoro statunitense rimane sorprendentemente resiliente, con un tasso di disoccupazione sceso al 3,4%, un minimo da 50 anni, mentre le aggiunte mensili ai payroll non agricoli continuano ad andare a gonfie vele (oltre 200k). Per quanto riguarda l’inflazione, il rapporto CPI di aprile ha mostrato alcuni progressi, con i dati principali che sono scesi sotto il 5% per la prima volta in due anni.
Tuttavia, con le misure core ancora al di sopra del 5% e con un andamento laterale, in alcuni contesti permane il dubbio che la politica sia sufficientemente restrittiva per raggiungere il target del 2% nel medio termine.
I mercati dei tassi d’interesse statunitensi attualmente scontano circa 75 punti base di tagli cumulativi della Fed entro dicembre. Ciò può sembrare eccessivamente ottimistico, data la rigidità del mercato del lavoro e il conseguente trasferimento all’inflazione dei salari e dei servizi.
Inoltre, i timori di un’imminente recessione sono in contrasto con i recenti utili societari e la solidità dei consumi. La stagione degli utili del primo trimestre è stata forte rispetto agli standard storici, con un aggiornamento delle stime di guidance e bottom-up, mentre un recente documento della Fed suggerisce che l’eccesso di risparmio delle famiglie è ancora abbondante e in grado di sostenere la spesa fino alla fine dell’anno.
Detto questo, vi sono ora prove più diffuse che la politica monetaria restrittiva sta rallentando la crescita, come dimostra l’ultima Senior Loan Officer Survey della Fed, che ha evidenziato un ulteriore inasprimento degli standard di prestito nel primo trimestre.
Inoltre, le turbolenze in corso nelle banche regionali minacciano un inasprimento delle condizioni finanziarie, che rallenterà gradualmente l’attività economica nel corso dell’anno. Se si verificherà un improvviso e brusco rallentamento dell’attività, e se ci saranno segnali che l’inflazione si sta muovendo nella giusta direzione, la Fed avrà molto spazio per abbassare i tassi di interesse, se e quando sarà il momento.
Con i tassi di interesse al di sopra del 5%, ci troviamo su un livello ben superiore rispetto alle percezioni di un tasso neutrale. Di conseguenza, un eventuale allentamento monetario potrebbe progredire di 50 punti base alla volta, o anche più rapidamente, se le condizioni lo giustificassero.
Anche l’imminente dramma del tetto del debito sta ostacolando il sentiment. Questa settimana, lo speaker della Camera, McCarthy, si è incontrato con il presidente Biden per ulteriori colloqui, ma senza alcun risultato, con Biden che ha persino flirtato con l’idea di invocare il 14° emendamento (che sarebbe legalmente complicato). Sembra tristemente prevedibile che l’intransigenza si protrarrà fino all’ultimo momento, mentre repubblicani e democratici cercheranno di guadagnare punti l’uno nei confronti dell’altro.
Tuttavia, c’è il rischio concreto che la scadenza per l’esaurimento della liquidità del Tesoro venga effettivamente superata, in questa occasione. Se ciò dovesse accadere, forse già all’inizio di giugno, confidiamo che l’Amministrazione darà priorità ai pagamenti del debito per evitare un default e il conseguente caos sui mercati finanziari. Saremmo generalmente cauti sulle prospettive dei risk asset fino a quando la situazione non sarà risolta.
In Europa, i recenti dati sugli ordini di fabbrica e sulla produzione industriale in Germania sono risultati più modesti del previsto, visto che la Germania continua a modificare la struttura della sua economia per orientarla maggiormente verso i servizi. È un dato da tenere d’occhio, ma in generale l’economia europea rimane in una posizione relativamente sana.
Inoltre, con la crescita dei salari elevata e le aspettative di inflazione dei consumi in aumento, i vertici della BCE non danno l’impressione che una pausa sia imminente e continuiamo a prevedere un aumento dei tassi di deposito fino all’estate.
L’impatto della recente instabilità sociale in Francia è stato ampiamente ignorato dai mercati finanziari, ma la scorsa settimana l’agenzia di credito Fitch ha declassato il Paese di un gradino ad AA-, citando principalmente le preoccupazioni legate alla debolezza dei parametri fiscali rispetto ai Paesi omologhi, ma anche le deboli prospettive di crescita e i disordini politici che ostacolano le riforme strutturali.
L’attuale rapporto debito/PIL è pari al 112%, il più alto tra i paesi con rating “A”, e in base agli ultimi piani presentati all’UE, il consolidamento fiscale dipenderà in larga misura da una crescita superiore all’1,5% annuo nei prossimi anni, il che sembra molto ambizioso date le attuali prospettive di politica monetaria e la possibilità di una crescita globale più debole in futuro.
Questi obiettivi saranno molto più difficili da raggiungere se l’UE adotterà la regola del calo del rapporto debito/PIL di 1/20 all’anno una volta rivisto e ripristinato il Patto di Crescita e Stabilità.
Nel Regno Unito, la BoE ha aumentato i tassi di 25 punti base al 4,5%, come previsto, con revisioni delle previsioni di crescita che escludono una recessione nel breve termine. Tuttavia, con un’inflazione complessiva ancora superiore al 10%, i tassi reali sono ancora in territorio profondamente negativo.
Come abbiamo osservato in passato, la riluttanza della BoE ad essere più incisiva nelle sue politiche e la mancanza di desiderio di far scendere l’inflazione verso il target risiedono nel compromesso con la stabilità finanziaria e la crescita, in particolare attraverso l’impatto sul mercato immobiliare che deve ancora essere completamente digerito.
Inoltre, inquadrando il problema dell’inflazione come una “crisi del costo della vita”, i salari continuano a recuperare terreno, esacerbando la spirale di determinazione dei prezzi. I dati salariali ad alta frequenza forniti dalla società di consulenza Reed mostrano una crescita dei salari del 10% su base annua, superiore ad alcune cifre ufficiali, con alcuni luoghi come Blackpool e Milton Keynes che hanno registrato aumenti superiori al 20%.
Continuiamo a non capire come la BoE riuscirà a gestire efficacemente la stabilità dei prezzi, la crescita e la stabilità finanziaria nei prossimi mesi, con la probabile valvola di sfogo di una sterlina più debole.
Il dollaro è rimasto stabile vicino ai minimi dell’anno. Tuttavia, l’elemento di attenzione, questa settimana, è stata la continua compressione della volatilità in valuta estera, con l’incessante caccia al carry che non accenna a diminuire. Rimaniamo scettici al riguardo: i rendimenti prospettici del carry tendono a essere negativi quando la volatilità è così bassa, la maggior parte delle valute carry non ha una buona valutazione e non ha un premio per il rischio, mentre permangono le preoccupazioni per la recessione degli Stati Uniti, lo stress bancario, il tetto del debito e la crescita cinese che resta debole.
Nel settore dei mercati emergenti, il prossimo fine settimana si terranno le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia, in quello che sarà un momento decisivo per il Paese. L’esito è in gran parte considerato binario per i mercati del credito: una vittoria del presidente Erdogan potrebbe provocare un crollo degli asset turchi, mentre una vittoria dell’opposizione farebbe sperare in una ripresa, in quanto i mercati si aspettano l’attuazione di un quadro politico più ortodosso.
Gli spread societari sono rimasti sostanzialmente invariati nel corso della settimana, dopo essersi lentamente allargati nel corso del mese di maggio. Gli stessi fattori, tra cui i timori di recessione degli Stati Uniti, le tensioni bancarie regionali e i negoziati sul tetto del debito, stanno tutti dettando il sentiment del credito e lasciano i rendimenti a livelli prossimi ai massimi del decennio, data la dinamica di aumento dei rendimenti dei titoli di Stato e di ampliamento degli spread del credito.
All’interno del credito, il valore relativo del settore finanziario rispetto a quello non finanziario rimane elevato, viste le turbolenze all’interno del sistema bancario regionale statunitense, che continua a essere sotto pressione. Ribadiamo che, in generale, le banche si trovano in una posizione sana e sono sostenute da solidi margini di interesse e da un contesto relativamente favorevole per la qualità del credito.
Sebbene sia indubbio che le banche regionali statunitensi continueranno a essere sotto pressione, in particolare a causa del consolidamento e dell’aumento della regolamentazione nei prossimi trimestri e anni, non siamo d’accordo con l’idea che stiamo assistendo a sviluppi più sistemici.
Guardando al futuro
Avvertiamo un malessere nei mercati in cerca di un breakout in una direzione più decisa. Da un lato, una vera e propria contrazione del credito, favorita da una stretta sui prestiti bancari, rischia di provocare un rallentamento più rapido e prematuro dell’attività economica, anticipando così un possibile cambio di rotta della Fed.
Dall’altro lato, i recenti dati economici mostrano una certa solidità e la narrazione potrebbe facilmente spostarsi nella direzione che la Fed debba intervenire maggiormente sui tassi per tenere sotto controllo l’inflazione. Pertanto, abbiamo una scarsa convinzione sullo scenario macro, masiamo propensi ad aspettarci una maggiore volatilità e un periodo di risk-off sui mercati, man mano che i rischi potenziali vengono alla ribalta.
Questa settimana ha visto un’epica battaglia tattica tra le due migliori squadre di calcio del mondo, con entrambi i manager, Ancelotti e Guardiola, maestri della “transizione” nel gergo calcistico. Il termine si riferisce al momento in cui una squadra riconquista il pallone e, così facendo, avvia un’azione rapida e coordinata per approfittare del temporaneo stato di disorganizzazione dell’avversario.
Il detto potrebbe valere anche per l’attuale contesto di mercato, dove essere pazienti e scattare in una “transizione” una volta che i mercati sono in uno stato di maggiore volatilità potrebbe essere la migliore linea d’azione.