L’integrazione dei criteri ESG nel settore bancario è un elemento sempre più strategico. Da un lato la normativa europea e delle autorità bancarie sta definendo un quadro sempre più preciso: a partire dalle linee guida del 2021 dell’EBA (European Banking Association), che richiedono una valutazione complessiva dei criteri ESG per la concessione del credito, agli stress test climatici della BCE. Dall’altro è sempre più evidente che gli istituti in grado di incorporare le variabili ambientali, sociali e di governance nella loro attività si garantiscono un vantaggio competitivo e svolgono a pieno il loro ruolo di motore di avanzamento nell’economia. In questo contesto, Bper Banca si distingue come banca particolarmente attiva non solo per come ha integrato le variabili ESG nel proprio business, ma soprattutto per il ruolo di promozione culturale e di formazione nel tessuto delle piccole e medie imprese anche agendo di concerto con le diverse associazioni di categoria.
In questa intervista Giovanna Zacchi, Head of ESG Strategy di Bper Banca e vicepresidente del Forum per la Finanza Sostenibile approfondisce la policy di sostenibilità adottata dal gruppo e i target ESG raggiunti, nonché l’importanza di un contributo a ItaSIF come esponente del settore bancario.
Come Bper ritenete che l’incorporazione della sostenibilità nella strategia sia una fonte di valore per la banca. Potrebbe spiegare questo concetto?
Integrare i temi di sostenibilità nel business è strategico per una banca sia in un’ottica di gestione del rischio, sia per cogliere importanti opportunità.
In termini di gestione del rischio, è indispensabile perché, con l’aggiornamento normativo, bisogna gestire anche i rischi climatici, ambientali e di transizione, oltre a quelli tradizionali. I rischi climatici sono ritenuti anche rischi finanziari perché possono avere un impatto economico sia sulla banca che sui clienti. Tenere in considerazione più rischi, compreso quello di transizione, vuol dire gestire al meglio le criticità che possono interessare la banca. Per adeguarsi a quanto richiesto dalla normativa, però, la banca ha affrontato investimenti importanti, perché ha dovuto rivedere buona parte dei processi inserendo i fattori di sostenibilità.
Per quanto riguarda le opportunità legate all’integrazione dei temi ESG nelle attività della banca, si tratta di saper rispondere ai nuovi bisogni legati alla transizione che si creano nel mercato. Per gestire questi bisogni Bper crea strumenti, attività di consulenza o partnership ad hoc, in modo tale da supportare i clienti in questo percorso. La banca può fare da volano per la transizione, non solo ecologica, ma anche digitale.
Può farci qualche esempio di queste iniziative?
Recentemente abbiamo stipulato una partnership con una società leader nell’implementazione di impianti fotovoltaici. L’accordo prevede che loro forniscano il supporto tecnico e noi quello finanziario. Un altro caso riguarda un accordo con una società di consulenza specializzata nella verifica del grado di sicurezza interna delle aziende in termini di cyber security, collaborazione in cui è coinvolta anche Unipol, che è il partner che provvede alla copertura assicurativa.
Abbiamo anche lanciato uno strumento per aiutare le aziende a migliorare la propria efficienza energetica. Un tool con cui le società possono fare un assessment veloce e poco costoso per individuare le priorità di intervento. Se poi vogliono approfondire l’analisi, forniamo loro anche la consulenza di ingegneri energetici.
E sul fronte finanziamenti quali strumenti avete strutturato per incentivare le imprese a una svolta green?
In questo ambito, offriamo alle imprese forme di finanziamento “Sustainability-linked loan”, che prevedono una scontistica sui tassi di interesse del credito concesso a quelle aziende che rispettano determinati KPI (Key Performance Indicators), come la riduzione delle emissioni, il rafforzamento della sicurezza dei lavoratori o il numero di donne nei board e tra i dirigenti. Gli obiettivi e i target di sostenibilità sono fissati dalle imprese stesse, mentre noi ne valutiamo la coerenza, la materialità e l’efficacia. La difficoltà nell’applicare gli sconti sui loan risiede nel fatto che l’EBA non prevede una differenziazione dei meccanismi di calcolo del capitale prudenziale richiesto per gli istituti di credito che finanziano attività sostenibili. Il circolo virtuoso che l’UE vuole innescare, quindi, dipende ancora in larga misura dalla volontà delle banche interessate, che se ne assumono il costo.
Diverso è per il settore edilizio e per i green building.
Perché è diverso il caso dei mutui green?
Perché i mutui green, in una logica win-win, permettono sia alle banche sia ai clienti retail di trarre dei vantaggi. Per i clienti il beneficio consiste nel pagare meno il mutuo e, nel caso di una ristrutturazione per migliorare le prestazioni energetiche, di trovarsi un bene con un valore maggiore, perché appartenente ad una classe migliore (devono essere A, B o C per ottenere il finanziamento green). Per la banca, invece, è conveniente perché, migliorando la classe energetica, l’immobile acquisirà valore nel tempo, rendendo più sicuro il mutuo. Per le case, infatti, che saranno nelle classi peggiori (dalla D in avanti) le stime di mercato prevedono valutazioni anche del 30% inferiori rispetto alle migliori.
Tornando al vostro impegno come banca, su quali driver poggia, in termini di sostenibilità, il vostro percorso?
Abbiamo ad oggi realizzato importanti risultati: fornito alla clientela corporate e retail 7 miliardi di finanziamenti green, superato l’obiettivo del 25% di donne manager e del 33% di donne dirigenti, nell’ambito di un percorso ben strutturato di policy su diversity & inclusion. Anche in tema di formazione abbiamo raggiunto l’importante obiettivo del 50% dei colleghi formati sulle tematiche ESG, fattore abilitante per conquistare anche tutti gli altri target di sostenibilità.
In tema di impatto ambientale della banca abbiamo fissato target ambiziosi, basati su importanti iniziative internazionali come i Principle for Responsible Banking e la Net Zero Banking Alliance. L’altro aspetto importante su cui ci siamo focalizzati è stata la creazione di un’ampia offerta di prodotti legati alla transizione, come i Sustainability-linked loan, che prima non esistevano.
La vostra clientela è formata per il 90% da piccole e medie imprese, un mondo dove è meno facile reperire le informazioni sulle variabili ESG: quali strumenti avete messo a punto per valutare la sostenibilità delle imprese a cui concedete prestiti e nelle quali investite?
Ci siamo dotati di una policy ESG per il credito che prevede valutazioni che si differenziano a seconda del settore analizzato. Per esempio, per rispondere alla richiesta della Net Zero Banking Alliance di decarbonizzare il portafoglio, monitoriamo i settori ad alta intensità emissiva per supportare le aziende che, seppure ancora “brown”, si impegnano per diventare green.
Per ricevere il credito, però le imprese devono rispettare determinati obiettivi allineati al net zero e dotarsi di un piano di transizione. In assenza di piani di transizione si procede con un approfondimento di valutazione in cui si analizzano i cosiddetti “use of proceed”, chiedendo cioè al cliente verso quali attività vengono indirizzati i finanziamenti erogati. E’ un percorso, nel quale l’advisory gioca un ruolo importante.
Recentemente il Tavolo di lavoro interministeriale ha pubblicato un documento per favorire il dialogo tra PMI e banche sulle informazioni relative ai parametri ESG. Cosa ne pensa?
Il quadro di riferimento proposto è ancora molto complesso. Noi abbiamo provato a inviare un questionario simile ad alcuni nostri clienti, ma il tasso di risposta rimane basso. Bper ha cercato di migliorare il dialogo introducendo un questionario proprietario, che tuttavia resta ancora un po’ impegnativo per le aziende di dimensioni inferiori. Per aiutare le imprese a rispendere abbiamo messo a disposizione un numero verde e spesso coinvolgiamo anche il collega che detiene la relazione commerciale. Per le aziende più piccole diciamo sotto i 30 milioni di fatturato, i data point richiesti non dovrebbero superare i 20. Chiaramente il punto di riferimento sarà il modello dell’Efrag.
Per rispondere a questa criticità per le imprese, abbiamo lavorato molto in un’ottica di engagement con l’associazione dei commercialisti, con Confindustria, con le università, soprattutto per aumentare la consapevolezza delle PMI sul proprio livello di sostenibilità. Per le piccole e medie imprese, infatti, è ancora molto difficile rispondere alle domande del questionario, mentre per le aziende attualmente soggette all’obbligo di rendicontazione, ovvero quelle con oltre 250 dipendenti, è decisamente più facile.
Quali percorsi avete ideato per accompagnare le aziende nel miglioramento del proprio profilo di sostenibilità?
L’obiettivo di Bper è di aiutare le imprese, soprattutto le PMI, a diventare più sostenibili, senza però gravare troppo sul loro business. A tal fine, stiamo lavorando per costruire uno score ESG proprietario che supporti le aziende nella valutazione dei propri asset in termini di rispetto dei criteri di sostenibilità.
A mio avviso in futuro, anche se alcuni dicono che non sia una strada percorribile per ragioni di privacy, la soluzione potrebbe essere di istituire un centro di raccolta per i dati ESG sulla falsariga di quello della camera di commercio per i dati di bilancio. Nel 2027 potrebbe esserci una svolta, quando dovrebbe diventare operativo l’ESAP (European Single Access Point), la banca dati europea ma solo per le aziende di maggiori dimensioni.
Oltre alla parte della digitalizzazione, però, è urgente intervenire con più forza nell’ambito dell’efficienza energetica. Interventi che, tra l’altro, sono previsti e supportati dalle risorse del PNRR. Efficientare, infatti, significa essere più competitivi in futuro. Per contribuire al raggiungimento di questo obiettivo, abbiamo iniziato a lavorare con associazioni di categoria, tra cui Confindustria, con cui abbiamo collaborato, insieme all’associazione dei commercialisti, per agevolare la comprensione da parte delle imprese del questionario che viene loro somministrato dalla banca.
E all’interno della banca come avete organizzato la governance delle tematiche ESG e aiutato una diffusione della cultura della sostenibilità nelle diverse funzioni?
La governance di Bper è estremamente strutturata. C’è un comitato ESG endoconsiliare, quindi all’interno del Consiglio di amministrazione. Esiste poi un comitato manageriale ESG che si riunisce trimestralmente e che comprende tutto il top management della banca. Il servizio ESG Strategy, invece, funge da segreteria, riporta direttamente al CFO (Chief Financial Officer) e ha un ruolo trasversale. Ci occupiamo, infatti, di rendicontazione, di rating e di tutti i progetti principali a impatto sociale della banca. Collaboriamo anche con l’area di Energy Environmental Management, in particolare nell’ambito del piano energetico e di tutte le tematiche ambientali.
Il modello di governance di Bper è di tipo ibrido perché ci sono uffici ESG anche all’interno dei vari dipartimenti della banca. C’è, per esempio, un ufficio ESG ai crediti, un ufficio ESG ai rischi, ma anche un ufficio ESG all’audit. Ci sono nuclei di competenza ESG nell’area business, sia per il corporate investment banking sia per la parte retail. In azienda operano 35 ESG manager all’interno delle diverse strutture, professionisti che si coordinano e poi si attivano ognuno per la propria business unit.
Recentemente è stata nominata vicepresidente del Forum per la Finanza sostenibile. Quali iniziative intende portare avanti nel suo ruolo?
È stato per me un grande piacere ricevere questa nomina. Credo che sia importante per il Forum avere il punto di vista delle banche, oltre a quello di asset manager e investitori istituzionali. Le banche, infatti, hanno un punto di osservazione privilegiato sull’economia reale e sulle PMI, vero motore della transizione.
Le iniziative del Forum, realtà poliedrica, sono estremamente interessanti e importanti per restare aggiornati sulla normativa e sulla teoria finanziaria. ItaSIF si occupa anche di interventi concreti. È il caso, ad esempio, di attività di engagement con gli investitori istituzionali, anche su tematiche che vanno oltre il climate change e abbracciano altre questioni ambientali rilevanti come la biodiversità. La prossima sfida da affrontare per le banche è proprio quella di raccogliere più dati su altri temi ambientali oltre al climate change, che si tratti di gestione delle risorse idriche o dei rifiuti. Sono gli stessi enti normativi a richiederlo.