Federica-Saccani-JLL-immobiliare | ESG News

Intervista

Saccani (JLL Italia): il ruolo chiave degli advisor per convertire il settore immobiliare alla sostenibilità

Con il 40% del totale delle emissioni carboniche che proviene dal settore immobiliare, è sempre più importante che anche il real estate si converta alle pratiche di efficientamento energetico e di decarbonizzazione. Un processo che, grazie anche a una normativa sempre più stringente e agli incentivi dei diversi stati per gli investimenti di riqualifica del patrimonio immobiliare, sta prendendo sempre più piede. E che richiede competenze specifiche per affiancare alle tradizionali metriche di valutazione e analisi, quelle della sostenibilità. Gli impatti ambientali e sociali di un immobile debbono essere presi in considerazione sia da chi si accinge a un nuovo acquisto o ad avviare uno sviluppo, sia da chi deve gestire i propri asset nel mattone.

“Anche nel settore immobiliare, la sostenibilità, spinta dalle direttive europee, sta diventando un “must have” e gli investitori sono interessati a conoscere il profilo ESG dell’asset in cui allocano i propri capitali”, spiega Federica Saccani Head of Building Consultancy di JLL, società specializzata in servizi immobiliari e gestione degli investimenti, in questa intervista a ESGnews.

JLL, con 427 milioni di metri quadri di asset immobiliari gestiti e 19,4 miliardi di dollari di ricavi nel 2021, è uno dei colossi mondiali del real estate. Il claim del bilancio 2021 è stato “il nostro ruolo chiave nel plasmare un futuro sostenibile” e, insieme ai dati finanziari, JLL sottolinea di avere risparmiato nel 2021 451 mila tonnellate di CO2, che i suoi impiegati hanno passato oltre 66 mila ore a fare volontariato nelle comunità locali e che sono stati donati quasi 5 milioni di dollari in beneficenza.

Come si declina la sostenibilità in JLL?

In un contesto in cui investitori, clienti ed evoluzione normativa richiedono sempre più attenzione per l’ambiente e la qualità dell’abitare, JLL ha deciso di aderire alle logiche della sostenibilità sia per quanto riguarda il proprio modo di agire come azienda, definendo policy interne attente al clima e alle persone, ma anche nei confronti degli stakeholder esterni, quindi relative anche ai servizi offerti.

Come gruppo consideriamo la decarbonizzazione delle nostre attività un obiettivo importante e ci siamo dati l’impegno di raggiungere la carbon neutrality entro il 2040. JLL promuove in tutte le linee di business una cultura aziendale che abbraccia i criteri ESG a partire dai vertici fino a tutti i dipendenti, che sono coinvolti in diversi programmi a impatto sociale positivo e sensibilizzati al consumo responsabile nella quotidianità. Abbiamo definito, per esempio, una lista di fornitori e acquisti sostenibili e, nelle nostre sedi, usiamo caffè in grani e non in cialde, difficili da smaltire. Pratiche che hanno l’obiettivo di allineare tutti i lavoratori di JLL – circa 300 in Italia, oltre 100.000 nel mondo – verso un modo di fare business sostenibile e un approccio che possa essere adottato anche fuori dalle sedi lavorative.

Che tipo di servizi offrite ai vostri clienti e in che modo integrate i criteri ESG?

JLL offre agli investitori e ai clienti servizi che coprono diverse aree del settore immobiliare. Lavora su linee di business di tipo consulenziale per la gestione di portafogli immobiliari e nel segmento dell’intermediazione e degli investimenti. Per integrare le tematiche ESG nell’attività, abbiamo un gruppo di persone dedicato alla sostenibilità, formato da consulenti che hanno le competenze per definire un piano su come trasformare un patrimonio edilizio esistente al fine di incorporare le caratteristiche di efficienza energetica e impatto sociale positivo nelle aree di presenza. Il team lavora in concerto con il gruppo di intermediazione che si occupa di creare opportunità di investimento nel campo di energia e infrastrutture.

Qual è l’impatto della nuova normativa?

La direttiva europea sulla tassonomia, la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) sulla rendicontazione di sostenibilità, la SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) relativa all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari e le altre iniziative legislative EU stanno iniziando a dare effetti tangibili ed entrare nella quotidianità di come sono condotte le diverse attività. Tutti gli investitori ormai, quando valutano un’opportunità di investimento o sono in fase di acquisizione di un immobile, chiedono di affiancare la due diligence ESG a quella tecnica. Vogliono infatti capire qual è il profilo di sostenibilità dell’asset, che condiziona la loro decisione e il valore dell’immobile.

Cosa è cambiato nella due diligence di un immobile, con l’integrazione dei criteri ESG?

L’integrazione degli aspetti ESG durante la due diligence è oramai una prassi affermata. Negli anni, si è creato uno standard condiviso, sul quale i professionisti europei ora sono abbastanza allineati. Molti degli aspetti analizzati riguardano le caratteristiche energetiche dell’asset immobiliare e altri dati ambientali quali, per esempio, l’uso e il riuso delle risorse idriche. Vengono poi esaminati anche gli elementi che determinano l’impatto sociale dell’edificio.

Sicuramente la definizione di alcune certificazioni, come quella LEED o la BREEAM, ha reso più agevole effettuare un’analisi del comportamento ambientale di un immobile e rappresenta un importante passo per integrare le considerazioni di sostenibilità nelle valutazioni.

Nell’ambito dell’integrazione dei fattori ambientali, sociali e di governance (ESG), le procedure sono sicuramente più consolidate per quanto riguarda le prestazioni energetiche perché l’Unione Europea lavora da anni per creare standard per migliorare i consumi di energia degli edifici. Ha infatti istituito, a partire dal 2010, un quadro legislativo che comprende la direttiva EPBD (Energy Performance of Buildings Directive) sulla prestazione energetica nell’edilizia e la EED (Energy Efficiency Directive) sull’efficienza energetica.

Riviste nel 2018, le direttive promuovono standard che hanno l’obiettivo di contribuire a raggiungere, entro il 2050, un parco edifici altamente efficiente dal punto di vista energetico e decarbonizzato. Una condizione che permette di creare un contesto stabile per le decisioni di investimento e consentire ai consumatori e alle imprese di fare scelte più informate per risparmiare energia e risorse finanziarie.

Ritiene che le caratteristiche storiche e geografiche del patrimonio immobiliare italiano lo rendano idoneo a una trasformazione per rispettare i requisiti di efficienza e performance energetiche richieste dall’UE?

In Italia buona parte del patrimonio immobiliare non presenta caratteristiche di efficienza energetica adeguate e a volte non è facile intervenire per riadattarlo, anche per la presenza di vincoli storici. D’altro canto, l’adozione da parte dei diversi Stati membri delle norme sui requisiti energetici dell’Unione Europea sta procedendo in modo difforme. Alcuni Paesi hanno posto in essere già da tempo dei limiti all’uso degli immobili, legati alle prestazioni energetiche degli edifici. In Belgio, per esempio, da due anni non è possibile affittare abitazioni che non abbiano un livello di efficienza energetica equivalente alla classe C, con il tetto ristrutturato. In Italia, si sta ipotizzando di posticipare l’attuazione di queste normative. Ma, seppur con gradualità, dovranno essere implementate per adeguarsi ai target europei. Si tratta solo di capire quando è il momento opportuno per effettuare l’investimento, che poi potrà dare anche benefici in termini di minori costi delle bollette.

Il problema in Italia è che il grande sviluppo immobiliare degli anni Sessanta e Settanta è stato realizzato con un’edilizia relativamente povera. Per questo motivo alcuni strumenti, come il cappotto energetico – di cui si è molto discusso – rappresentano una soluzione ragionevole per migliorare l’efficienza energetica di un immobile, senza uno sforzo eccessivo. Per aumentare le prestazioni, gli elementi importanti sono due: una caldaia efficiente, alimentata da fonti rinnovabili, e un buon isolamento dell’edificio per non disperdere il calore. In questo senso lo strumento dei bonus appare coerente per favorire la realizzazione degli investimenti necessari ad adeguare il patrimonio edilizio italiano agli obiettivi UE.

Per quanto riguarda l’impatto sociale, invece, come gestite il rapporto con la comunità in cui è inserito l’immobile?

JLL ha sviluppato uno strumento di consulenza che si chiama Social Value che misura, attraverso alcuni indicatori, i benefici di un’operazione immobiliare. L’indicatore permette una traduzione in termini parametrici del “place making”, ossia della capacità dello sviluppatore di creare valore nuovo nell’area dov’è collocato. Pe gli investitori è infatti importante tenere in considerazione l’impatto complessivo di un immobile nel tessuto sociale di una comunità.  

Chiaramente la capacità di influenzare positivamente la relazione tra l’immobile e il contesto nel quale è inserito dipende anche dal ruolo del consulente durante le diverse fasi di gestione di un progetto. È maggiore quanto più l’approccio alla sostenibilità viene preso in considerazione sin dalla fase iniziale dello sviluppo, sia che riguardi il cambio d’uso o la ristrutturazione di un edificio esistente sia nel caso che si parta dal terreno edificabile.

A che punto è a suo avviso il mercato immobiliare nella ricezione delle istanze ESG? Quali sono le principali sfide?

La compliance ESG è ormai un requisito imprescindibile in ogni operazione di investimento immobiliare. Gli investitori, per rispettare le diverse normative, hanno bisogno che una parte quantificabile del proprio patrimonio immobiliare rispetti caratteristiche di sostenibilità, quali un basso impatto ambientale, misurato soprattutto in termini di emissioni di CO2. Per questo nel mercato immobiliare si tende sempre più a dividere gli asset tra quelli che possono essere considerati “green” e quelli che invece non lo sono. In questo caso gli investitori si chiedono in quanto tempo sarà possibile adeguare l’immobile non green al rispetto dei parametri di efficienza energetica o, al contrario, quando non sarà più possibile trasformarlo in sostenibile, poiché il processo diventerebbe troppo costoso. In questo caso si dice che l’immobile è diventato “brown”.

Le nuove acquisizioni, pertanto, sono ormai sempre più filtrate in base ai criteri ESG, e allo stesso modo, anche per quanto riguarda il resto del patrimonio, è necessario avere delle strategie su come adeguarlo alle nuove richieste, perché in prospettiva il valore di quegli immobili che non riescono a migliorare le proprie prestazioni andrà contraendosi, perché non più allineato con le direttive di decarbonizzazione.

Ci sono strumenti consolidati per effettuare queste valutazioni?

Grazie ad alcuni strumenti messi a disposizione dalla Commissione Europea – come il CRERM (Carbon Real Estate Risk Monitor), che prende in considerazione i consumi attuali, le caratteristiche degli impianti e quelli dell’involucro di un edificio – è possibile calcolare il momento in cui un immobile non ristrutturato sarà troppo lontano dalle caratteristiche di qualità ambientale degli immobili che invece hanno subìto modifiche di efficientamento, e non potrà essere recuperato in modo economico. Anche JLL ha sviluppato sistemi proprietari di valutazione della efficienza energetica quali Carbon PathFinder e Performa, sia in termini di consumo e emissioni CO2 sia in termini di ritorno economico.

Come si trasforma il ruolo dei gestori immobiliari nel contesto della creazione di città sostenibili?

Da questo punto di vista sono fiera di dire che Milano è stata una delle prime città in Europa a inserire il piano di forestazione urbana e gli indici climatici nel proprio piano regolatore. Sono state quindi integrate considerazioni climatiche nell’indice di valutazione del patrimonio edilizio esistente e in fase di progetto come, per esempio, la capacità di drenare al suolo le acque – che spinge alla scelta di soluzioni differenti rispetto all’asfalto – la capacità di gestire il verde sulle pareti e i tetti degli immobili e la capacità di isolare il calore degli edifici. È stata una decisione (Innovazione normativa) che mostra apertura da parte della città metropolitana nei confronti delle istanze comunitarie e che permette di poter immaginare, ora, e costruire, poi, una nuova classe di progettisti che prendono in considerazione una serie di aspetti necessari per migliorare la qualità dei progetti immobiliari e al contempo il benessere delle comunità.