Romano Greenomy | ESG News

Intervista

Romano (Greenomy): “È importante che le aziende si dotino di strutture ESG interne”

Le aziende italiane sono ancora agli inizi nella configurazione e istituzione di una struttura interna che si occupi di sostenibilità, sia da un punto di vista di raccolta dati sia di conoscenza normativa sia di implementazione di tecnologia di reporting. A porre l’attenzione sull’argomento è Alfredo Romano, Head of Italy di Greenomy in questa intervista a ESGnews in cui evidenzia la rilevanza del tema anche in ambito di innovazione. Secondo Romano, infatti, se da un lato è importante investire in innovazione per potere cogliere le opportunità della trasformazione sostenibile, dall’altro questo deveessere accompagnato da una struttura ben organizzata che “getti le basi di un progetto per il futuro, che includa tutti gli stakeholder e affronti la gestione del cambiamento”.

Greenomy è una RegTech belga che offre una suite di soluzioni normative SAAS per la finanza sostenibile per banche, aziende, PMI e investitori. “Supportiamo i nostri clienti nel semplificare la loro conformità normativa alla tassonomia dell’UE, alla CSRD e ai relativi quadri normativi grazie alle conoscenze normative, alla tecnologia e a una grande componente di intelligenza artificiale” spiega Romano.

Come aiutate le aziende nel loro percorso di sostenibilità e quali strumenti mettete loro a disposizione?

Supportiamo i nostri clienti nel semplificare la loro conformità normativa alla tassonomia dell’UE, alla CSRD e ai relativi quadri normativi grazie alle conoscenze normative, alla tecnologia e a una grande componente di intelligenza artificiale. Abbiamo codificato migliaia di pagine di normative in diverse soluzioni volte a facilitare la raccolta dei dati e la rendicontazione di diversi quadri normativi come Eu Taxonomy, GAR, BTAR Pillar 3 e CSRD, che interessano le società finanziarie e non finanziarie.

Dal vostro punto di vista quali sono le principali carenze e difficoltà delle aziende italiane nel recepire le novità normative sulla reportistica di sostenibilità?

C’è consapevolezza tra le aziende europee, non solo italiane, e soprattutto tra quelle di medie e piccole dimensioni, che le risorse interne dedicate al reporting non finanziario sono limitate e marginali, il che comporta una sfida significativa per l’azienda ad affrontare un così importante cambiamento. La maggior parte di queste aziende è ancora agli inizi in termini di struttura interna, raccolta dati, conoscenza delle normative e tecnologia di reporting.

E a che punto sono, anche in un raffronto internazionale, nel percorso di trasformazione del proprio business model e di riduzione delle emissioni?

Dipende in larga misura dal livello di maturità ESG dell’azienda, dalle sue dimensioni e dal settore in cui opera. Detto questo, alcune aziende più piccole con attività allineate alla tassonomia Eu sono più avanzate di aziende di altri settori. 

Avete una stima di quale sia la quota di attività eleggibili, secondo i criteri della tassonomia europea?

Il nostro team di consulenza, unitamente al nostro tool di reporting sulla tassonomia Eu, ci permettono di arrivare ad una stima altamente precisa della quota delle attività elegibili. Possiamo così aiutare le aziende a capire la loro idoneità, l’allineamento e a ottenere i KPI della tassonomia.

Aiutate le aziende anche a misurare il proprio impatto?

Abbiamo anche una piattaforma di valutazione dell’impatto con questionari codificati basati sulla CSRD e sugli SDG per consentire alle PMI di ottenere il loro punteggio di impatto ESG. Questo punteggio può poi essere condiviso con gli investitori come le società di Venture Capital o Private Equity nella piattaforma.

Dal vostro punto di vista, come fornitore di strumenti di analisi dei dati ESG per le banche, notate approcci molto variegati da parte dei diversi istituti nel considerare i KPI ESG?

Si, e il modo in cui superiamo questo problema è quello di offrire alle banche i nostri strumenti normativi per impegnarsi e ottenere i dati della tassonomia UE direttamente dalle loro controparti.

A che punto sono le banche nel calcolo del GAR e del BTAR e quali i primi risultati dal vostro osservatorio?

Per noi è una grande sfida per le banche, soprattutto a causa della mancanza di dati sulla tassonomia Eu. Se ci concentriamo su GAR, non tutte le società del NFRD hanno fornito i loro report sulla tassonomia nel formato standard e altre non li hanno nemmeno pubblicati.  Se passiamo al BTAR, la situazione è ancora più complicata, in quanto le PMI che devono essere calcolate non sono regolamentate e quindi è impossibile ottenere i dati della tassonomia europea da queste società, che rappresentano la grande maggioranza delle aziende europee.

Quanto è importante investire in innovazione per potere cogliere le opportunità della trasformazione sostenibile?

È uno degli aspetti più importanti da tenere in considerazione, ma deve essere accompagnato da una struttura ben organizzata che getti le basi di un progetto per il futuro, che includa tutti gli stakeholder e affronti la gestione del cambiamento.

Qual è il livello di investimenti in tecnologia a supporto della reportistica di sostenibilità che un’azienda dovrebbe mettere a budget?

Dipende molto da quale parte del processo si vuole snellire… calcolo delle emissioni di gas serra? Raccolta di dati ESG per centralizzare tutti i dati ESG in un unico repository di dati standardizzati? Automazione del reporting? Tutte queste cose?

I dati ESG sono sempre più importanti. Qual è l’attuale capacità da parte delle aziende italiane di fornire i dati necessari all’attività dei mercati finanziari?

È tutta una questione di dati. Innanzitutto, è necessario identificare le parti interessate, poi deve essere effettuata un’analisi delle lacune dei dati per ciascun quadro di reporting e infine un’architettura per raccogliere i dati rilevanti e abbinarli ai punti dati di ciascun quadro. Ancora una volta, i dati sono la pietra angolare del rispetto delle normative ESG e rappresentano la sfida più grande. Un buon esempio potrebbe essere conoscere il CAPEX relativo a una specifica attività della tassonomia dell’UE, che è qualcosa che normalmente non viene preso in considerazione dai dipartimenti finanziari e un punto dati molto necessario per la tassonomia.