Interviste

Dell’Orto e Amelio (Deloitte): i primi passi di un’azienda per diventare sostenibile

La sostenibilità sta diventando una dimensione sempre più importante per le imprese. Rispettare l’ambiente e le persone, seguendo regole di condotta corrette, è oramai il modo imprescindibile di condurre la propria attività, per creare valore duraturo nel tempo. Le aziende di maggiori dimensioni sono state le prime ad abbracciare questa trasformazione e ora sono più avanti nell’introduzione dei fattori ambientali, sociali e di governance nel proprio modello di business. Ma anche le piccole e medie imprese sono sempre più attente e impegnate nell’adozione di modelli di crescita responsabile. Vogliono capire come avviare il processo necessario a diventare sostenibili e quali siano i primi passi da intraprendere. ESGnews ha posto la domanda a due massimi esperti, Stefano Dell’Orto, Partner di Deloitte e Audit e Assurance Leader, e Franco Amelio, Partner Deloitte e Sustainabiity Leader, chiedendo loro di delineare i passaggi chiave che un’azienda deve compiere per introdurre i fattori ESG nella propria attività, anche alla luce del nuovo pacchetto normativo approvato dalla Commissione Europea lo scorso mese di aprile, che allarga notevolmente il numero di imprese chiamate a comunicare i propri dati sulla sostenibilità.

Sono sempre più le società che intendono avviare un percorso verso la sostenibilità. Alcune sono piccole aziende e la prima domanda che si pongono è da dove cominciare: quali sono i primissimi passi che deve fare un’azienda che vuole avviare un percorso verso la sostenibilità?

Dell’Orto: Il tema della sostenibilità è ampio e complesso. Non risolvibile nel breve termine, anche i risultati di una strategia improntati alla sostenibilità non sono immediati. Tuttavia un’azienda che intende avviare un percorso di questo genere deve porsi degli obiettivi raggiungibili esaminando tutti i processi e le attività che potrebbero richiedere cambiamenti più o meno rilevanti in un percorso di sostenibilità. In ultima analisi vuol dire articolare la propria strategia attorno agli obiettivi di sostenibilità e dotarsi di una governance dell’impresa che ne consenta la misurazione e nel medio periodo il raggiungimento.

Molte aziende hanno già alcune certificazioni ISO. Ritiene possano rappresentare un punto di partenza, quali occorrono?

Amelio: I sistemi di gestione e le relative certificazioni rappresentano un elemento importante per avviare un piano operativo di azione per rendere i processi aziendali sostenibili e in linea con i migliori standard a livello internazionale. Lo sviluppo delle certificazioni deve seguire il piano operativo di implementazione delle migliori pratiche ESG. In particolare possono essere segnalati come standard relativi alla parte Environmental: ISO 14001 (Ambiente); ISO 50001 (efficienza energetica); ISO 14064 (carbon footprint). Per quanto riguarda la parte Social: ISO 45001 (salute e sicurezza sui luoghi di lavoro) SA 8000 (gestione responsabile della catena di fornitura). Nell’ambito dei temi di Governance: ISO 37001 (anti corruzione).

La Dichiarazione Non Finanziaria è un altro passaggio. Ci sono a suo avviso degli step che un’impresa può fare per arrivare a essere in grado di produrre questo documento?

Stefano Dell’Orto, Partner Deloitte Audit e Assurance Leader

Dell’Orto: Il documento avrà standard di rendicontazione e criteri di predisposizione che verranno disciplinati in ambito europeo e poi recepiti nel sistema italiano, non dimenticando che assumerà a tutti gli effetti comunicazione societaria con tutte le implicazioni del caso. Dunque non può che essere il risultato di un processo che richiede il giusto tempo di valutazione dei gap rispetto agli obiettivi di sostenibilità e alla capacità di misurazione dei singoli indicatori rispetto alla definizione del percorso che le imprese si daranno. D’altra parte, sarà un documento attentamente valutato dai mercati finanziari (banche e investitori in primis) posto che, come si è ben visto nel corso dell’ultimo anno, la sensibilità di questi attori e dei mercati rispetto al percorso di sostenibilità è drammaticamente cambiata anche dal punto di vista dell’accesso al capitale nelle sue varie forme.

Ma prima della forma la sostanza: come fa una società a capire di essere sulla strada giusta, con cosa si confronta?

Dell’Orto: Clienti, fornitori, dipendenti, mercato finanziario, azionisti, tutti stanno misurando il percorso di sostenibilità delle imprese. La domanda è crescente. Ciò senza contare le direttive comunitarie in merito. Dunque la prima misurazione dovrebbe essere con questi portatori di interesse e con il posizionamento strategico. A ben vedere, se un’impresa articola in modo compiuto la propria strategia di sostenibilità deve fare i conti con le esigenze di tutti questi player e dunque essere in grado di misurare la propria performance rispetto alle esigenze che gli attori di mercato manifestano nel tempo. Crediamo che il modo migliore per dare sostanza e concretezza al percorso di sostenibilità sia proprio quello di misurarsi quotidianamente con i fattori che influenzano la vita di un’impresa. Esattamente come accade per qualsiasi percorso di cambiamento o il raggiungimento di obiettivi strategici. Un ultimo punto di riflessione: il percorso deve avere caratteristiche di genuinità, il livello di scetticismo rispetto a percorsi superficiali o di facciata è fortemente aumentato e non sarà più sufficiente una comunicazione glamour priva di contenuti reali. I portatori di interesse stanno diventando sempre più evoluti.

Quali sono le regole per procedere a un’analisi di materialità?

Franco Amelio, Partner Deloitte Sustainability Leader

Amelio: Il primo aspetto da considerare è quello di affidarsi ad uno standard riconosciuto di rendicontazione che oltre a supportare i vari passaggi consenta di collegare l’analisi di materialità con due dimensioni fondamentali: gli stakeholder e i temi ESG considerati rilevanti. A questo proposito Deloitte è training centre ufficiale del GRI in Italia e durante i corsi che svolgiamo da diversi anni a tantissime aziende in Italia l’aspetto che sottolineiamo è quanto l’analisi di materialità debba essere integrata con le strategie aziendali di medio periodo e che questo esercizio debba coinvolgere in prima linea il Consiglio di Amministrazione e tutti i vertici aziendali. Tecnicamente è importante durante la redazione della matrice di materialità impostare in via preliminare un benchmark di settore robusto per avere piena consapevolezza dei trend e delle indicazioni che arrivano dai competitors e dalle aziende comparabili che già operano sulle dinamiche ESG. Altro aspetto importante è riuscire a rendere il più possibile interattiva la definizione della matrice attraverso workshop e sistemi di voto simultanei per aumentare la consapevolezza interna e ottenere una matrice che sia il più possibile rappresentativa delle linee di indirizzo prospettiche in ambito ESG. Ultimo elemento da considerare per il futuro è il concetto di doppia materialità che verrà introdotto nei prossimi anni dalla nuova Direttiva. In pratica, oltre alla consueta analisi delle cosiddette esternalità ESG che l’azienda produce nei confronti dell’ambiente e della società dovranno essere analizzati anche gli effetti rilevanti che il cambiamento climatico e le altre interazioni sociali potrebbero avere sulla catena del valore aziendale e in particolare sul bilancio di esercizio e sul valore economico (financial materiality).

La nuova proposta di Direttiva UE sulle informazioni di carattere non finanziario dello scorso 21 aprile allarga a circa 50 mila le aziende che saranno tenute a fornire questo tipo di informazioni. Quante sono le aziende che saranno coinvolte in Italia?

Amelio: I nuovi requisiti di reporting dovranno essere applicati da tutte le imprese di grandi dimensioni (la soglia minima verrà abbassata da 500 a 250 dipendenti) e da tutte le società quotate sui mercati europei: in questo modo il perimetro si allargherà dalle attuali 11.000 a 49.000 imprese. Come illustrato dal nostro Osservatorio sulle dichiarazioni non finanziarie in Italia, le aziende che attualmente redigono un report secondo gli obblighi dell’attuale Direttiva sulle non financial information sono poco più 200. Al momento non è ancora stato definito un numero preciso di aziende che dovranno rendicontare in Italia secondo i nuovi schemi comunitari in quanto dovranno essere considerate le esenzioni per società appartenenti a Gruppi che già redigono un’informativa ESG secondo i criteri comunitari. Comunque i numeri della nuova Direttiva saranno sicuramente superiori agli attuali e ci attesteremo su dimensioni a 3 zeri. 

Sono pronte a questo passo?

Dell’Orto: Molte aziende si sono già mosse in autonomia. Ma in numero tendenzialmente ancora limitato.  Senza contare che in larga parte le imprese hanno intrapreso un percorso che non aveva come obiettivo principale la rendicontazione. Dunque c’è un percorso ancora molto importante da fare sia per numero di imprese coinvolte sia per contenuti da sviluppare. Basti dire che gli standard di rendicontazione sono ancora in formazione. Ci si può aspettare che ricalchino la struttura attuale, ma occorre attendere la conclusione del percorso normativo per darne certezza. Quello che possiamo suggerire è di attivarsi subito con una progettualità che consenta di arrivare alla rendicontazione con un sistema strutturato. Questo rappresenta un fattore di grande novità per tutte le imprese coinvolte e implica cambiamenti organizzativi, sistemi di rilevazione, governance e strategie chiare fin da subito. Il tempo necessario non è trascurabile e i cambiamenti culturali altrettanto.