Intervista

Aiaf, come gli asset manager integrano le variabili ESG nell’analisi e nell’organizzazione

Con la crescita dei portafogli gestiti incorporando metriche ESG, che secondo le ultime stime di Morningstar si avvicinano al 40% del mercato europeo, sono richieste nuove competenze da parte dei professionisti della finanza. Capacità di analizzare nuove metriche e di utilizzare nuovi modelli di valutazione. Sarà inoltre importante comprendere quali trasformazioni l’industria dell’asset management dovrà mettere in campo per offrire ai risparmiatori proposte di investimento che rispettino i criteri ESG (Environmental, Social e Governance) e non abbiano semplicemente una patina verde, che potrebbe essere interpretata come greenwashing. Per rispondere a queste esigenze Aiaf, l’Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria, ha svolto un’ampia mappatura dei trend del mercato, che ha coinvolto 25 società di asset management attive in Italia e 13 organizzazioni internazionali leader nell’ambito della sostenibilità per comprendere quali sono le maggiori sfide e le tendenze in atto. Lo studio è stato curato dall’AIAF ESG Expert Group, formato da esperti nel settore che collaborano con EFFAS, la federazione europea delle società di analisti finanziari, per i progetti di formazione sulla sostenibilità CESGA® e ESG Essentials® coordinato da Andrea Gasperini, Head of sustainability e ESG Observatory. Il risultato è stato raccolto nel Quaderno 188 dell’Aiaf che, in 196 pagine, approfondisce quali sono gli approcci adottati dalle società di gestione nell’integrazione delle tematiche ESG e nell’organizzazione interna, per meglio rispondere alle rinnovate esigenze e ambizioni. Il Quaderno affronta anche come i gestori si rapportano alle nuove necessità in termini di misurazione degli impatti e valutazione degli investimenti, non trascurando le problematiche del reperimento di dati affidabili e della loro interpretazione e comparazione. Il tutto alla luce della nuova normativa europea in fase di evoluzione che, a partire dalla informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR), integrata dalla Tassonomia e in vista della proposta per la comunicazione societaria sulla sostenibilità (CSRD), sta prendendo forma e comporta uno sforzo di adattamento da parte delle strutture delle società di asset management per stare al passo con le richieste. In questa intervista a ESGnews, l’AIAF ESG Expert Group fornisce una sintesi di alcuni degli spunti emersi dallo studio.

Qual è lo stato dell’arte dell’integrazione dei fattori ESG da parte dei principali asset manager presenti in Italia?

È oramai assodato che l’investimento responsabile non solo è un veicolo per reindirizzare i flussi di capitali verso uno sviluppo sostenibile, ma anche uno strumento importante per cogliere stabili opportunità d’investimento e gestire più efficacemente i rischi per gli investitori nel lungo termine. Questo perché sono soluzioni d’investimento che sostengono aziende che operano per il benessere della società, del pianeta e degli azionisti.  Si tratta di un passaggio storico destinato a cambiare le prospettive con cui si guarda ai temi del cambiamento climatico, alla tutela dell’ambiente e alla equità intergenerazionale. Alla luce di queste considerazioni, gli intermediari finanziari hanno la responsabilità di agevolare modelli di business sostenibili volti a standard virtuosi di inclusione sociale, tutela dell’ambiente, resilienza a shock esterni e interni. Le tre componenti ESG formano un unico pilastro, ognuna con le proprie specificità, con la governance che rappresenta per la sua centralità il cuore dell’intervento delle autorità di vigilanza. È consolidato che una sana e prudente gestione del business contribuisce in maniera sostanziale alla stabilità dell’intero sistema.

In questo contesto sempre più nutrito è l’utilizzo delle strategie di engagement e dell’azionariato attivo che indirizza le aziende verso tematiche ambientali e sociali. Attualmente, dunque, gli asset manager che operano sul mercato italiano hanno in larga parte ampliato la propria gamma d’offerta con strategie sostenibili, si sono dotati di una policy ESG ben strutturata che normalmente è applicata trasversalmente e in maniera trasparente sull’intera offerta. 

Meritare la fiducia degli investitori e rispondere al principio di dovere fiduciario verso i propri clienti. Quali sono le best practices per dimostrare la serietà del proprio approccio ed evitare sospetti di greenwashing?

L‘industria del risparmio gestito è in fermento e nonostante il recepimento in corso della direttiva relativa all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR), il rischio di green washing non è da considerarsi ancora totalmente fugato. 

Molto si è fatto, ma ancora molto sarà necessario mettere in atto per migliorare le best practice degli operatori e la consistenza delle metodologie e degli approcci utilizzati. 

Solo un importante lavoro sull’integrazione delle tre dimensioni ESG nel processo di investimento con l’obiettivo di aumentare la trasparenza del mercato favorirà la fiducia degli investitori. Probabilmente fino a quando non si arriverà ad una diffusa uniformità nei processi di valutazione, i rischi di erosione della fiducia potranno essere reali. Ma già con una chiara introduzione dei Principal Advers Impact nel corso del 2023 come richiesti dal regolamento SFDR e successivi RTS, si renderà più tangibile e concreto l’impatto ambientale e sociale che un prodotto finanziario può generare, affinché gli investitori possano effettuare scelte di investimento consapevoli.  

Come si stanno organizzando le società di gestione al loro interno per svolgere i nuovi compiti assegnati loro dalle normative e dalle richieste del mercato?

Le società di gestione dopo aver accolto in modo positivo il Regolamento SFDR che ha richiesto una revisione degli obblighi di trasparenza con impatti diretti sia sulla categorizzazione dei prodotti che sulla documentazione precontrattuale, si ritrovano a fronteggiare l’evoluzione e l’entrata in vigore degli RTS o regolamenti attuativi sia per il calcolo degli indicatori di impatto avverso che per la documentazione periodica. 

Ciò ha determinato la nascita o revisione dei presidi organizzativi esistenti e di figure atte a vigilare l’applicazione della policy di sostenibilità nell’ambito dell’area legale, di compliance e di gestione del rischio. Inoltre, visto l’enorme flusso di metriche e dati ESG, sono stati creati team o ridefinite competenze nell’ambito del processo dati, IT Management e più in generale dell’area organizzazione e controllo. Tuttavia, la trasformazione di prodotti storici esistenti o la nascita di nuove strategie tematiche e/o sostenibili ha comportato la necessità di trovare nuove competenze sulla sostenibilità e di integrare figure specializzate nel team di gestione o in team ESG dedicati.

Dal punto di vista dell’integrazione dei fattori ESG quali sono le maggiori difficoltà?

L’integrazione dei fattori ESG è parte del processo di investimento il quale merita una profonda revisione al fine tenere in considerazione aspetti ambientali (E), sociali (S) e di buona governance (G) e che impatta tutte le strutture aziendali a partire dal Board. Un approccio metodologico è fondamentale. Il PRI indica che alcune insidie sono rappresentate dalla mancanza di supporto e allineamento del Board, così come la mancanza di dettagli e di flessibilità o di creazione di una strategia condivisa. Alcune importanti sfide sono rappresentate da una integrazione completa tra analisi finanziaria e analisi di sostenibilità così come la considerazione dei fattori ESG nei modelli tradizionali di analisi finanziaria di valutazione del valore societario quali ad esempio il discounted cash flow (DCF).

Altre difficoltà sono emerse in modo più significativo a seguito dell’introduzione di un framework normativo complesso che riguarda non solo l’SFDR, ma tra le altre anche la Tassonomia e la MIFID II e riguardano la difficoltà nel reperimento dei dati e il rispetto delle metriche richieste dalle autorità di vigilanza.