Una piantina, metafora di Esg

Analisi e approfondimenti

La sfida ESG per le banche, un’opportunità di crescita e rafforzamento

Si aprirà domani 4 ottobre la 14esima edizione di Forum Banca, “New Inspiring Bank: Responsible, Resilient and Innovative”, l’evento organizzato da IKN Italy che fa il punto sullo sviluppo delle strategie e delle tecnologie del settore finanziario e a cui parteciperanno Massimo Doris, AD di Banca Mediolanum e Giuseppe Castagna, CEO Banco BPM.

E nella trasformazione dei modelli bancari anche il tema della sostenibilità è destinato a giocare un ruolo rilevante. Se ne parlerà il 5 ottobre alle ore 12 nella sezione intitolata “Integrazione ESG – la nuova e vera sfida del settore bancario” moderata da Alessandra Frangi, fondatore di ESGnews.

Per gli istituti di credito l’incorporazione delle variabili legate ad ambiente, impatti sociali e governance è una sfida significativa, con diverse criticità, ma che offre anche opportunità di sviluppo per chi saprà adattarsi in modo virtuoso.

Essere responsabili permette alle banche anche di diventare più resilienti e l’innovazione è un abilitatore e facilitatore delle nuove competenze necessarie. In questo senso la 14esima edizione di Forum Banca, organizzato da IKN, intitolata “New Inspiring Bank: Responsible, Resilient and Innovative” coglie a pieno la stretta interconnessione tra gli elementi destinati a caratterizzare la trasformazione dei prossimi anni del settore del credito. Le variabili ESG, legate ad ambiente, impatto sociale e governance, stanno ridisegnando in modo profondo l’attività delle banche e il loro modo di condurre e misurare la propria attività. Le sfide a cui vanno incontro gli istituti di credito sono particolarmente rilevanti dato il ruolo fondamentale che essi svolgono nell’allocare le risorse finanziarie verso le attività produttive più sostenibili e nel finanziare le iniziative più meritevoli per favorire la transizione verso un’economia verde. Una svolta non da poco sulla quale l’Europa ha impostato il proprio piano di rilancio per uscire dalle difficoltà create dalla pandemia, con l’obiettivo di diventare il primo continente a impatto zero entro il 2050. Sul piatto la Commissione europea ha messo i 1.800 miliardi del piano Next generation EU, di cui un terzo andranno a finanziare il Green Deal europeo. Per le banche la trasformazione rappresenta una grande opportunità, ma richiede l’acquisizione di nuove capacità interne e la definizione di nuovi parametri per dare consistenza ed efficacia alle strategie. Impossibile restare indietro, anche perché lo impongono le istituzioni e la nuova normativa. E dal prossimo anno le variabili ESG saranno anche incluse negli stress test della BCE.

Un concetto importante per capire il processo in atto e come le banche si trovino al centro di un radicale cambiamento è quello della doppia materialità. Se pensiamo alle variabili ambientali, è importante da una parte valutare l’impatto delle banche stesse sul mondo circostante e dall’altra considerare come i rischi climatici possano incrementare il livello di rischio complessivo a cui è esposto il portafoglio stesso della banca e di conseguenza la sua redditività.

I nuovi parametri per misurare i rischi ESG

Dal prossimo anno per valutare la solidità di un istituto di credito non basteranno i soliti parametri quali il CET1 (Common Equity Tier ratio), che misura il rapporto tra il capitale ordinario e le attività ponderate per il rischio, ma entrerà in vigore il GAR (Green Asset Ratio) che considera il rapporto tra i crediti e gli investimenti green e il totale dell’attivo. Un indicatore introdotto quest’anno dall’EBA (European Banking Authority) per dare una misura dell’impegno delle banche verso la trasformazione verde dell’economia e al contempo per capire quanto le attività risultino esposte ai rischi legati al cambiamento climatico. Per le banche il calcolo del nuovo parametro richiederà un notevole impegno. Si tratta di riuscire a mappare tutti i propri investimenti e crediti, inclusi per esempio i mutui sulla casa. Ma se per i finanziamenti nei confronti delle imprese di maggiori dimensioni, in grado di fornire dati più accurati, il calcolo potrebbe non essere complicato, il compito diventa più gravoso quando la controparte è una piccola e media impresa.

In Italia, secondo i dati forniti dalla Consob, nel 2020 sono state solo 151 le aziende che hanno presentato la Dichiarazione Non Finanziaria. Chiaramente l’entrata in vigore della Tassonomia che definisce le attività sostenibili rappresenta un importante passo in avanti e la proposta di una nuova Direttiva sulla disclosure da parte della Commissione europea dello scorso 21 aprile (Corporate Sustainability Reporting Directive CSRD), che allarga il numero di società tenute a fornire dati sulla sostenibilità in Europa ad almeno 50.000, aiuterà ulteriormente. Per il momento c’è però ancora molta strada da fare. Secondo il primo test effettuato dall’EBA sull’indice GAR, gli asset green delle banche europee sono pari al 7,9%. Quindi significa che meno del 10% dei finanziamenti delle banche del Vecchio Continente sono finalizzati al sostegno di un’economia verde.

Il ruolo delle banche per supportare il Recovery plan della EU

L’obiettivo della Commissione europea, a partire dall’Action Plan del 2018, è orientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili. Un disegno attuato attraverso numerosi provvedimenti normativi, quali il regolamento SFDR, che definisce i prodotti finanziari green, il framework sui Green Bond e la Direttiva NFDR, sulla disclosure dei dati relativi alla sostenibilità. Un set di regole pensato anche per evitare pratiche di greenwashing che possano minare la fiducia dei risparmiatori, proprio nel momento in cui le risorse dei privati rappresentano un importante pilastro per finanziare gli investimenti necessari alla realizzazione di un sistema produttivo de-carbonizzato. Spetta quindi agli istituti di credito, insieme agli altri attori del settore finanziario, concretizzare queste ambizioni. Si tratta di un’attività dalla quale potranno anche trarre nuove fonti di ricavo. Anche se le banche hanno mostrato una grande capacità di reazione durante la pandemia, il virus ha lasciato tracce sui bilanci, come assevera un report del luglio 2021 di Oliver Wyman, secondo il quale in media per le banche europee il margine di intermediazione è calato dell’11% e il Roe è al 4%. E i potenziali ricavi derivanti dal finanziamento alla trasformazione verde e dalla modernizzazione del proprio modello di business potranno valere nei prossimi anni, sempre secondo la società di consulenza, circa 160 miliardi, ossia il 25% dei ricavi attuali degli istituti di credito europei.

Come si posizionano le banche italiane

Le banche italiane passano la prova dell’impegno ESG, ma potrebbero fare di meglio. E’ questa la sintesi di uno studio globale, pubblicato lo scorso mese di maggio, da parte di EY su come si rapportano gli istituti di credito nei confronti delle variabili ambientali, sociali e di governance che assegna a quelli italiani un voto pari a 6,1 inferiore alla media del 6,5 degli altri paesi europei, ma meglio del 5,6 globale. Sul fronte ambientale le banche se la sono cavata abbastanza bene, anche se potrebbe essere migliorata e ampliata l’offerta di prodotti green. Meno soddisfacenti, invece, sul fronte della governance (punteggio 5,8 rispetto alla media globale di 6,1) dove non vengono forniti sufficienti riscontri sull’indipendenza del board e sulla capacità di valutarne l’efficacia. Sul fronte social, nel quale la ricerca fa rientrare tematiche differenti, le banche tricolori sono penalizzate per le capacità di protezione dati, per le informazioni relative al salary gap e anche per la capacità di sviluppo delle comunità in cui sono inserite. Quest’ultimo punto vale soprattutto per le banche di minore dimensione, mentre i quattro istituti principali hanno ricevuto un punteggio di 9,8.

Non solo clima ma anche impegno sociale e governance

Gli istituti di credito, inoltre, come realtà a sé stanti sono chiamati essi stessi a porsi obiettivi e misurarsi in termini ESG. Una consapevolezza che sin dal settembre 2019 ha portato un gruppo di 132 banche a lanciare in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite i “Principi per l’attività bancaria responsabile” (Principles for Responsible Banking (PRB)) che fissano sei impegni per l’integrazione nell’attività bancaria delle variabili socio-ambientali sottoscritti. La sottoscrizione di tali principi è necessaria per le banche che intendano aderire all’UNEPFI, ossia all’Iniziativa per la Finanza del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. E oggi a livello globale oltre 240 banche (che rappresentano circa 60 trilioni di dollari di asset) hanno aderito a questa iniziativa a cui nel tempo se ne sono aggiunte altre, come la “Collective Commitment to Climate Action (CCCA)”, un gruppo di 38 banche che rappresentano asset per 15 trilioni di dollari che si sono impegnate ad allineare i propri portafogli con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi di un riscaldamento massimo di 2°C con uno sforzo verso il limite più stringente di 1,5°C.

ESG, leva per la reputazione o per il business?

E’ innegabile che la pandemia abbia costretto gli istituti di credito a ripensare al loro modello di business a fronte di alcune evidenze emerse da ricerche e studi effettuati nella prima parte del 2021:

  1. Il lockdown ha accelerato l’evoluzione digitale dell’offerta dei servizi con conseguente riduzione dei costi associati all’erogazione di tali servizi. Difficile pensare a dei passi indietro.
  2. La raccolta dalla clientela ha visto un incremento straordinario e ciò indurrà, ad esempio, a potenziare le piattaforme per l’offerta di wealth management. Il significativo livello di liquidità sui depositi comporterà, inoltre, la valutazione delle strategie per gestire in maniera efficiente la tesoreria in uno scenario di tassi negativi.
  3. L’erogazione del Recovery fund potrà essere una leva di sviluppo importante per le banche con capacità evolute in termini di rete corporate, prodotti di finanziamento e copertura dei rischi nei settori su cui punta la strategia di rilancio nazionale, vale a dire l’area ESG nella sua più ampia accezione.
  4. Alcuni esempi di finanziamenti verdi (green lending) da parte delle banche vedono in prima linea i sustainibility linked loan o s-loan, gamma di finanziamenti innovativi che riconoscono agevolazioni sui tassi a fronte del raggiungimento di concordati e misurabili obiettivi di sostenibilità. Crescente attenzione anche ai finanziamenti rivolti alle filiere produttive a sostegno di diversi distretti produttivi. Per quanto riguarda, invece, l’offerta alle famiglie si può pensare ai mutui green con i quali i vantaggi offerti ai clienti più che in termini di tassi puntano alla riduzione dei costi accessori.

In conclusione, le pressioni per una crescente sostenibilità “reale”, sia da parte della clientela che degli enti regolatori, comportano l’inserimento dei rischi ESG nel più ampio quadro di valutazione delle tematiche di risk management (area chiave di questo settore) e anche nelle strategie di definizione dei prodotti (struttura, prezzo, aspetti commerciali…) da parte delle banche.

Naturalmente definire esattamente la portata di questo fenomeno su cui ancora incombe il rischio di greenwashing è un percorso ancora lungo, ma i primi passi per la traduzione della sostenibilità nell’operatività del business da parte di molte realtà finanziarie indicano che la direzione è presa.