Il Fondo sovrano norvegese ha adottato criteri ambientali più restrittivi per i propri investimenti, che hanno portato alla vendita di alcune partecipazioni nelle società più esposte al carbone e alla decisione di mettere sotto osservazione quelle in ritardo nei programmi di phase-out. Norges bank investment segue i principi ESG e si focalizza in particolare sulla decarbonizzazione e sugli effetti sul climate change.
Nel complesso la Norges bank investment management, che gestisce oltre 1,1 miliardi di asset, ha ceduto azioni per 3,3 miliardi, tra cui quelle delle società minerarie ed energetiche Glencore, Anglo American e Vale, dell’utiliity tedesca Rwe, della sudafricana Sasol e dell’australiana Agl Energy. Cartellino rosso anche per quattro società canadesi attive nelle sabbie bituminose, che presentano livelli di emissioni di CO2 considerati troppo elevati.
Nel mirino sono invece finite la tedesca Uniper, la britannica Bhp Group, l’americana Vistra Energy e anche l’italiana Enel, di cui il fondo norvegese possiede una quota del 2,1% che vale circa 1,8 miliardi.
Nonostante l’utility tricolore sia da tempo impegnata in una strategia di riconversione sostenibile, avendo sottoscritto gli Accordi di Parigi sul clima ed essendo impegnata al phase out totale del carbone, nel primo trimestre aveva ancora una capacità a carbone installata di 11,7 Gigawatt (pari ad appena il 13,6% del totale). Un livello, tuttavia, superiore ai nuovi paletti di 10 GW o della produzione di oltre 20 milioni di tonnellate/anno di carbone termico che sono stati aggiunti da Norges bank al precedente limite del 30% delle entrate o delle operazioni legate al combustibile fossile, in seguito alla normativa varata dal Parlamento norvegese.
Enel dovrebbe tuttavia riuscire a superare l’esame poiché il suo piano industriale prevede una discesa a 6,6 GW entro il 2022.
Ma tra le aziende bocciate da Oslo non vi sono solo quelle legate all’utilizzo del carbone. Norges bank è uscita dall’azionariato del colosso del ferro brasiliano Vale in seguito alle stragi e ai danni ambientali provocati dal crollo di dighe nel 2015 e nel 2019. Inoltre sono state azzerate le partecipazioni nella brasiliana Eletrobras e nell’egiziana ElSewedy Electric.