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A dicembre 2019 il volume totale dei rifiuti radioattivi presenti in Italia è pari a 31.027,30 m3

Ecco l’elenco aggiornato dall’Isin a fine 2019 dei siti dei rifiuti radioattivi in Italia

A oltre 30 anni dall’uscita dell’Italia dalla produzione di energia elettrica nucleare è ancora in corso lo smaltimento e il controllo delle scorie radioattive, anche se non è ancora stato individuato il centro unico di raccolta, come invece avviene in altri Stati. Pochi giorni fa l’Isin (Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione) ha pubblicato l’inventario dei rifiuti radioattivi per il 2019, che evidenzia negli scorsi 12 mesi un leggero incremento, pari a 608 metri cubi

Nel complesso la produzione di rifiuti radioattivi è stata stabile, con una crescita fisiologica delle quantità, attenuata nei volumi grazie all’attività di trattamento sia dei nuovi rifiuti radioattivi sia di quelli stoccati in passato. In totale, il volume dei rifiuti radioattivi presenti in Italia è pari a 31.027,30 metri cubi.

La gran parte dei rifiuti radioattivi presenti in Italia sono a vita molto breve (1405,74
m3), ad attività molto bassa (14.072,40 m3), a bassa attività (12.521,19 m3) e a media attività (3.027,96 m3).

Dal prossimo anno il settore vedrà un’importante evoluzione tecnico-normativa derivante dall’introduzione di un nuovo sistema informatico di acquisizione dei dati relativi a produzione a stoccaggio. Grazie a questo intervento, che diventerà operativo nel 2021, sarà possibile disporre di informazioni in tempo reale e sempre più precise sulla produzione e movimentazione dei rifiuti radioattivi. Tale strumento permetterà di impossessarsi dei dati dell’anno concluso nei primi mesi dell’anno nuovo.

Ma rimane all’ordine del giorno l’individuazione di un sito per lo stoccaggio unico e la sua costruzione, come previsto dal Decreto 31 del 2010 e sulla base della normativa europea. Processo che non avviene dall’oggi al domani ma per la cui realizzazione occorrono diversi anni. I siti delle ex centrali nucleari spente (Caorso, Latina, Trino Vercellese e Garigliano) sono costruiti per mantenere le scorie per circa trent’anni, mentre il sito unico dovrebbe essere realizzato per custodirle in sicurezza per almeno 300 anni.

Il 99% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse non si trova più in Italia perché è stato inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato sottoposto a riprocessamento. Ma bisogna tenere presente che i rifiuti radioattivi generati faranno rientro in Italia. 

Gran parte dello stock presente in Italia deriva dalla dismissione dei siti nucleari chiusi dopo l’uscita dalla produzione di energia elettrica nucleare, sancita dal referendum del 1987 e ribadita da quello del 2011. Mentre i nuovi materiali derivano da produzione industriale e medicale, come lo iodio usato per la tiroide, piuttosto che i ciclotroni utilizzati per la Pet (Tomografia a emissione di positroni) utilizzata nella diagnostica dei tumori.

Il 2019 ha registrato un aumento dei rifiuti radioattivi stoccati in Emilia Romagna, da 3000 m3 del 2018 a 3272 m3 del 2019, Basilicata, da 3215 m3 a 3362 m3, Piemonte, da 5506 m3 a 5605 m3, Lombardia, da 6060 m3 a 6147 m3, e Campania, da 2965 m3 a 2968 m3.  In calo, al contrario, i rifiuti radioattivi detenuti in Puglia (da 849 m3 a 390), perché spostati in depositi in altre regioni, e Lazio, da 9311 m3 a 9284 m3.

Quanto a volumi di scorie le regioni che vendono una maggiore concentrazione sono Lazio e Lombardia. Ma si tratta di materiali a bassa intensità che vengono gestiti dalla Sogin, la Società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, che ha competenza sulle smantellamento delle 4 centrali nucleari (con reattori di 3 differenti tecnologie) di 5 impianti legati al ciclo del combustibile e del reattore di ricerca di Ispra.

Fonte ISIN Inventario dei rifiuti radioattivi in Italia al Dicembre 2019 – Volume dei rifiuti radioattivi –

I grandi volumi del Lazio sono in gran parte collegati ai depositi e ai reattori del Centro ricerche Enea di Casaccia vicino a Roma, gestito da Nucleco, società controllata dalla stessa Sogin insieme a Enea, e che è l’operatore nazionale incaricato di gestire i rifiuti radioattivi a bassa e media attività provenienti dal settore medico-sanitario, dalla ricerca scientifica e tecnologica in Italia.

In Lombardia buona parte dei rifiuti sono legati al centro sperimentale di Ispra, vicino a Varese, ma anche in quanto caso si tratta di materiali a non alta intensità radioattiva. L’intensità maggiore delle scorie, misurata in termini di Becquerel, cioè l’unità di misura del Sistema internazionale dell’attività di un radionuclide, è decisamente in Piemonte.

Fonte ISIN Inventario dei rifiuti radioattivi in Italia al Dicembre 2019 – Distribuzione dei rifiuti per regione in GBq

Misurando l’intensità radioattiva, il 73,4% delle scorie è in Piemonte, seguito dalla Campania (12,4%) e dalla Basilicata (8,3%).

Nel dettaglio per quanto riguarda il Piemonte, che vede la presenza dell’ex centrale di Trino (Vercelli), dell’impianto FN di Bosco Marengo (Alessandria) e dell’impianto Eurex di Saluggia (Vercelli), la maggior parte delle scorie è relativa a quest’ultimo. L’impianto ha lavorato dal 1970 al 1983 nel ritrattamento di combustibili irraggiati provenienti da reattori di ricerca italiani e della Comunità Europea e da reattori di potenza. Per quanto riguarda la Campania le scorie riguardano essenzialmente la Centrale di Garigliano di Sessa Aurunca (Caserta) che ha operato dal 1964 al 1978 con una produzione, fino alla chiusura, di 12 miliardi di Kilowattora. Infine per quanto riguarda la Basilicata, i rifiuti sono concentrati nell’impianto Itrec di Rotondella (Matera) realizzato tra il 1965 e il 75 con l’obiettivo di dimostrare, su scala pilota, la fattibilità della chiusura del ciclo uranio-torio con il riprocessamento del combustibile esaurito.