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Innovazione

Upcycling: significato, esempi e vantaggi

Le sfide legate alla crisi climatica e alla tutela dell’ambiente richiedono frequentemente la ricerca e lo sviluppo di soluzioni tecnologiche altamente innovative, ma talvolta è sufficiente trarre ispirazione dalle abitudini dei nostri nonni e delle nostre nonne. La pratica dell’upcycling, anche se ha un nome che potrebbe far pensare a qualche complessa tecnologia futuristica, non è altro che una prassi che prende spunto dalle consuetudini del passato. A quanti di noi è capitato di rammendare dei vecchi jeans aggiungendo delle toppe che li hanno resi ancora più belli di prima, o di tagliarli perché diventassero degli shorts o una gonna?

Cos’è l’upcycling?

Nel 2019, “upcycling” è stata scelta come parola dell’anno dal dizionario inglese Cambridge, che ne fornisce la seguente definizione: “L’attività di creare nuovi mobili, oggetti, ecc. a partire da cose vecchie o usate o da materiali di scarto”. L’enciclopedia italiana Treccani, invece, definisce l’upcycling come “l’azione di rimettere in circolo un bene alzandone il valore”. L’obiettivo principale dell’upcycling è proprio quello di valorizzare dei prodotti ormai obsoleti, e destinati dunque a essere gettati via, “grazie a un design intelligente che li rende più interessanti a livello economico, estetico e anche emotivo”, per usare le parole del designer britannico Max McMurdo, che sull’arte “del recupero” ha redatto un intero manuale. Gli ambiti di applicazione di questa sorta di “evoluzione del vintage” sono davvero molteplici: si spazia dall’universo del design e dell’architettura ai settori della gioielleria, dell’abbigliamento e delle calzature, arrivando fino all’industria automobilistica o agroalimentare.

Differenze tra recycling e upcycling

Volendo fare nuovamente riferimento alla Treccani, si evince come la definizione di “riciclaggio” si differenzi nettamente da quella di “upcycling”. Il riciclaggio (o riciclo) è infatti definito semplicemente come “l’azione di reimmettere in circolazione, di riutilizzare, materie e prodotti”. Viene a mancare l’espressione “alzandone il valore”, che caratterizza invece l’upcycling. Il riciclo comporta infatti la trasformazione delle materie prime in materie prime seconde, aiutandoci a ridurre lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento ambientale. L’upcycling, invece, comporta un processo di trasformazione creativa che non si limita a prolungare la vita degli oggetti, ma li trasforma in qualcosa di nuovo e unico e di maggiore valore, contrastando parallelamente la cultura dell’usa e getta.

Come nasce il concetto di upcycling

Diverse fonti suggeriscono che il termine “upcycling” sia stato coniato da un ingegnere meccanico di nome Reiner Pilz. In un articolo pubblicato nel 1994 sulla rivista di architettura “Salvo”, Pilz scrisse: “Il riciclo io lo chiamo down-cycling. Quello che ci serve è l’up-cycling, grazie al quale ai vecchi prodotti viene dato un valore maggiore, e non minore”. La Seconda guerra mondiale, con il razionamento delle forniture di abbigliamento causato dall’impiego dei tessuti per la produzione di uniformi destinate ai militari, ebbe poi un impatto significativo sulla diffusione della pratica. Tra gli anni Ottanta e Novanta, l’upcycling divenne di moda soprattutto nei Paesi anglosassoni, arrivando successivamente a diffondersi anche nel resto del mondo come una soluzione sostenibile. Anche il lockdown causato dalla pandemia di Covid-19 nel 2020, e l’incredibile mole di abiti invenduti durante quel periodo, hanno contribuito a far conoscere l’upcycling a un pubblico più ampio, dato che marchi di moda del calibro di Stella McCartney hanno cominciato a riadattare tessuti e abiti delle collezioni passate per riproporli nelle nuove.

Vantaggi dell’upcycling

L’upcycling è in grado di garantire una serie di benefici sia all’ambiente, sia ai consumatori. Esaminiamo i principali.

Riduzione degli sprechi

Ogni anno nell’Unione europea vengono prodotti 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. Solo abbigliamento e calzature rappresentano 5,2 milioni di tonnellate di questi rifiuti, equivalenti a 12 chilogrammi di scarti pro capite all’anno. Si stima, inoltre, che meno dell’1 per cento dei tessuti in tutto il mondo venga riciclato per dare vita a nuovi prodotti. L’upcycling contribuisce a ridurre contemporaneamente la domanda di nuovi capi – molti dei quali restano invenduti – e la produzione di rifiuti tessili. Lo stesso vale, per esempio, nell’ambito dell’architettura o dell’industria agroalimentare: sappiamo quanto sia importante limitare i rifiuti edilizi e gli sprechi di cibo.

Riduzione delle emissioni di CO2

Nel 2020, stando agli ultimi dati dell’Agenzia europea dell’ambiente, i prodotti tessili consumati nell’UE hanno generato emissioni di gas serra pari a 121 milioni di tonnellate. Alcune stime indicano, inoltre, che per fabbricare una sola maglietta di cotone occorrano 2.700 litri di acqua dolce e che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20 per cento dell’inquinamento globale dell’acqua potabile. Utilizzare materiali esistenti anziché produrne di nuovi, nell’ambito della moda come dell’edilizia, consente di limitare lo sfruttamento delle risorse naturali e le emissioni generate dalle attività produttive.

Risparmio economico

La promozione di programmi di upcycling abbassa sensibilmente i costi di produzione a carico delle aziende, grazie all’impiego di materiali riciclati o di scarto, e riduce di conseguenza anche le spese a carico dei consumatori finali. Permette inoltre di abbattere i costi legati alle attività di smaltimento dei rifiuti.

Creazione di prodotti unici

Ipotizziamo di “salvare” un tavolo al mercatino dell’usato, e di ritinteggiarlo: non solo potremo scegliere il colore che preferiamo, personalizzandolo sulla base del nostro gusto, ma lo trasformeremo anche in un oggetto unico, la cui storia meriterà di sicuro di essere raccontata. Oppure, pensiamo a un orecchino che si è rotto e che abbiamo deciso di trasformare in una collana: questo nuovo modo di indossarlo ci consentirà di prolungarne la vita, ma ci porterà soprattutto a possedere un nuovo gioiello, dal carattere inimitabile.

Le due tipologie: pre-consumer vs. post-consumer

Esistono due tipologie di upcycling:

  1. l’upcycling “pre-consumer” (prima del consumatore) prevede l’impiego di scarti di tessuto che sarebbero dovuti servire per la realizzazione di capi d’abbigliamento, ma non sono stati utilizzati, come tessuti fallati o eccedenze;
  2. l’upcycling “post-consumer” (dopo il consumatore) prevede invece l’impiego di tessuti e altri materiali già usati, in condizioni più o meno buone, che vengono riadattati e trasformati in nuovi prodotti.

Esempi di upcycling

Visti i benefici che garantisce e la crescente domanda da parte dei consumatori, l’upcycling si sta diffondendo sempre di più fra le aziende di tutto il mondo, Italia compresa. Vediamo qualche esempio.

Samsung Electronics

L’iniziativa Galaxy Upcycling at Home ha dato nuova vita ai vecchi smartphone della casa sudcoreana, convertendoli in dispositivi IoT (Internet of Things) di vario genere grazie a un semplice aggiornamento software. Con un solo gesto, gli utenti hanno potuto trasformare i loro vecchi dispositivi Galaxy in apparecchiature intelligenti per la casa, come baby monitor, soluzioni per il monitoraggio degli animali domestici e simili.

Patagonia

L’enorme successo riscosso dalla collezione ReCrafted di Patagonia, fatta di capi d’abbigliamento realizzati a partire da ritagli di indumenti usati, ha dimostrato l’interesse da parte degli appassionati a entrare in possesso di articoli unici nel loro genere, oltre che sostenibili.

Rifò

Rifò è una startup fondata a Prato da Niccolò Cipriani che recupera abiti usati, ne rigenera il filato grazie alla sapienza degli artigiani locali e lo usa per confezionare capi nuovi.

Miu Miu

Upcycled by Miu Miu è una collezione esclusiva di pezzi vintage riciclati e rielaborati dalla nota casa di moda italiana. Ideata sulla base di capi d’epoca risalenti al periodo compreso fra gli anni Trenta e gli anni Ottanta, la selezione comprende ottanta abiti unici e numerati. 

Veja

VEJA è un marchio francese di sneaker che utilizza tessuti realizzati a partire da bottiglie di plastica riciclate e poliestere riciclato, che rappresentano anche un’alternativa cruelty-free alla pelle di origine animale.

Gucci (progetto Off the grid)

Gucci Off The Grid è una collezione di borse, zaini, sneaker e piccoli accessori realizzati con ECONYL, un materiale ottenuto dal nylon rigenerato (proveniente anche dalle vecchie reti da pesca), e altri materiali riciclati.

Peekaboo!

Peekaboo! è una collezione di gioielli realizzati a mano con alluminio riciclato lavorato a crochet, nata da un’idea dell’artigiana Silvia Lanfranco.

Evitare il greenwashing

Come tutte le pratiche sostenibili, anche l’upcycling è spesso menzionato dalle aziende fra le proprie strategie di riduzione dell’impatto ambientale anche quando non è realmente impiegato, ma unicamente come strategia di marketing. Le certificazioni sono sicuramente strumenti utili a distinguere le pratiche realmente efficaci da quelle menzionate in modo ingannevole per fare leva sui consumatori, così come i report di sostenibilità. Nel caso dell’upcycling, e in molti altri casi, è utile anche accertarsi della presenza di approfondimenti dedicati sui siti web dei singoli marchi: se le informazioni sono specifiche e dettagliate, possibilmente supportate da dati precisi, ci si può indubbiamente fidare di più rispetto al caso in cui siano riportati solo degli slogan generici.

È bello pensare all’upcycling come a un ponte fra il passato e il futuro. Forse abbiamo nell’armadio un eccentrico pezzo unico realizzato in una boutique vintage a Londra o Tokyo, o forse abbiamo un capo dal valore inestimabile che ci è stato tramandato da un parente e abbiamo fatto nostro grazie a forbici, ago, filo e tanta creatività. In ogni caso, stiamo contribuendo alla promozione di un modello virtuoso di economia circolare.