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Il ruolo dei fondi di investimento nel mercato azionario di Borsa Italiana

Negli ultimi 15 anni, le strategie di investimento dei fondi sul mercato italiano si sono rivelate eterogenee, mostrando una presenza sostanzialmente stabile nelle blue chips, mentre sono più attivi nei segmenti a minore capitalizzazione. Nel complesso, comunque, gli investitori istituzionali, in particolare quelli domestici, creando spessore e dando vitalità ed efficienza al mercato, svolgono un ruolo chiave per rendere più attrattivo e competitivo il listino italiano. Sono alcuni dei risultati principali della settima edizione dei “Quaderni di ricerca”, studi sul mercato azionario realizzati con cadenza annuale da Intermonte, investment bank italiana indipendente, in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano.

Quest’anno la ricerca propone un’analisi inedita sulla presenza nel corso degli ultimi 15 anni di investitori istituzionali, in particolare fondi di investimento italiani e internazionali, nel capitale delle imprese quotate in Italia, con focus sugli indici FTSE MIB (l’indice delle 40 principali blue chips), FTSE Italia Mid Cap (l’indice delle 60 imprese a maggiore liquidità e capitalizzazione, non comprese nel precedente listino) e sul FTSE Italia Small Cap.

Premessa: la debolezza del mercato domestico

Il listino azionario italiano, nonostante l’incremento complessivo del numero di società quotate grazie prevalentemente al contributo di Euronext Growth Milan, evidenzia oggi un rapporto capitalizzazione su PIL inferiore rispetto a quello precedente la crisi finanziaria del 2008-2009. Il numero di società quotate sul listino principale continua a scendere e negli ultimi 15 anni sono stati persi diversi miliardi di euro in termini di capitalizzazione a causa dei frequenti delisting (2,8 miliardi di euro solo nel 2023). Se si osserva il controvalore degli scambi, nel 2007 questo ammontava in media a 6,2 miliardi di euro al giorno, contro i 2,21 miliardi (quasi un terzo) del 2022 e i 2,27 miliardi del 2023. Inoltre, gran parte degli scambi continua a concentrarsi sulle blue chips, con un incremento della percentuale negli ultimi 6 anni (da 87,7% a 89,9% nel 2022), nonostante l’approdo a Piazza Affari di molte Small Cap.

Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte

“Il listino azionario italiano è purtroppo caratterizzato da alcuni limiti evidenti: la mancanza di una base consistente di investitori residenti, la storica dipendenza delle imprese dal sistema bancario che riduce la domanda di capitali da altre fonti di finanziamento come le IPO e una generale difficoltà nell’attrarre investitori. Proprio l’attrattività della nostra piazza finanziaria nei confronti degli investitori istituzionali, in particolare quelli domestici, è un tema, oggi più che mai, di grandissima attualità per il loro ruolo chiave nello stimolare il mercato, creando spessore, vitalità ed efficienza”, ha commentato Guglielmo Manetti, amministratore delegato di Intermonte, “questi infatti apportano liquidità, sono investitori ‘stabili’ e svolgono un ruolo di monitoraggio e di stewardship nei confronti delle imprese partecipate, spronandole a migliorare i propri risultati finanziari e non finanziari. La loro presenza poi è particolarmente importante per le imprese a media e bassa capitalizzazione, che più di altre, nonostante performance storiche brillanti, rischiano di non ottenere una copertura adeguata dal mercato e sono trascurate dai grandi asset manager. Sono questi i principali motivi che ci hanno spinto a realizzare un’analisi inedita sulla presenza dei fondi di investimento domestici e internazionali a Piazza Affari, sperando di fornire un utile spunto di riflessione su come poter rendere il nostro mercato più competitivo ed interessante. Un particolare ringraziamento va al Politecnico di Milano, con cui prosegue il proficuo rapporto di collaborazione iniziato nel 2016”.

Le principali evidenze in sintesi

Negli ultimi 15 anni, le strategie di investimento dei fondi sul mercato italiano si sono rivelate eterogenee. Nel caso delle blue chip gli investimenti totali sono cresciuti fino al 2018, per poi cominciare a calare. Negli altri due indici la loro presenza è abbastanza stabile. Gli ultimi due anni (2022 e 2023) si caratterizzano per una certa debolezza nella capacità del listino azionario italiano di attrarre investitori, con l’unica eccezione delle Mid Cap. I fondi nordamericani ricoprono un ruolo importante e paragonabile a quello dei fondi europei sul FTSE MIB, sebbene negli ultimi tempi i fondi USA a gestione passiva (ETF) abbiano parzialmente rimpiazzato quelli a gestione attiva. Sempre i fondi nordamericani sono più defilati sulle Mid Cap (dove prevalgono gli investitori europei), ma la loro presenza è invece rilevante sulle Small Cap, dove anche i fondi “attivi” USA hanno visto un incremento delle partecipazioni. È certamente cresciuto il ruolo di ETF e fondi passivi, che nel 2007 erano del tutto marginali a Piazza Affari. Sul FTSE MIB hanno raggiunto il 26% del totale, sulle Mid Cap e Small Cap rappresentano rispettivamente il 16% e il 10%.

Per quanto riguarda i fondi italiani, questi mostrano una presenza sostanzialmente stabile nelle blue chips, mentre sono più attivi nei segmenti a minore capitalizzazione. Sul FTSE MIB negli ultimi anni la loro quota è rimasta intorno al 10% (8% nel 2023) del totale degli investimenti degli istituzionali nel loro complesso. Se guardiamo ad altri paesi europei, come Francia e Germania, il peso degli investitori domestici è più alto (rispettivamente 25% e 26%), mentre la Spagna è simile all’Italia con un peso dei domestici dell’8%. Sulle Mid e Small Cap i fondi italiani incidono maggiormente, probabilmente anche grazie alla spinta dei PIR dal 2017 in avanti. Sulle Mid Cap questi sono arrivati stabilmente vicini al 20%, rispetto ad una media pre-PIR del 15%. Sulle Small Cap, hanno avuto un impulso forte nei primi anni di introduzione dei PIR, che li ha portati ad un massimo del 34%, per poi stabilizzarsi intorno al 30% del totale.

È interessante inoltre osservare il positivo rendimento realizzato dal mercato italiano negli anni e non sempre colto correttamente dal mondo degli investitori. Se guardiamo agli ultimi 6 anni (ossia dall’introduzione dei PIR) il FTSE Italia MIB storico ha segnato +37%, il FTSE MIB +39%, il FTSE Italia Mid Cap +5% e il FTSE Italia Small Cap +20%; negli ultimi 15 anni (orizzonte di analisi di questa ricerca) il FTSE Italia MIB storico ha segnato +84%, il FTSE MIB +56%, il FTSE Italia Mid Cap +159% e il FTSE Italia Small Cap +39%.

“Alla luce dei risultati ottenuti, la ricerca fornisce alcune interessanti evidenze. Innanzitutto, si rileva come la presenza dei fondi italiani è più evidente sugli indici delle società a media e piccola capitalizzazione, dove hanno beneficiato negli ultimi anni della spinta dei PIR. Nelle blue chips la presenza degli investitori domestici rimane comunque ridotta, non superando il mai il 10% del totale degli investimenti di tutti gli investitori istituzionali. Se osserviamo altri paesi europei, il peso degli investitori domestici è a volte più incisivo. Per rilanciare in generale il ruolo di questa tipologia di investitori, sarebbe quindi importante e necessario favorire la nascita di comparti specializzati sulle imprese più piccole, ma soprattutto stimolare quanto possibile gli investimenti del sistema produttivo attraverso riforme incisive sull’attrattività del ‘fare business’ in Italia. Con tale analisi, ci auguriamo davvero di poter contribuire ulteriormente al dibattito a supporto di una migliore competitività del mercato azionario italiano. Ringraziamo, infine, Intermonte per la rinnovata fiducia e per l’opportunità di indagare di anno in anno tematiche di grande interesse per l’intera comunità finanziaria”, ha dichiarato Giancarlo Giudici, professore ordinario della School of Management del Politecnico di Milano e referente scientifico della ricerca.

Conclusioni e auspici

Per far sì che le imprese italiane possano esprimere pienamente le loro potenzialità e creare valore in modo sostenibile nel tempo, oltre che per ridare vigore al mercato italiano dei capitali, Intermonte e il PoliMi forniscono alcune riflessioni:

  • L’introduzione dei PIR è stata un fattore positivo ma non del tutto sufficiente. Servono progetti di sistema e filiere dell’industria del risparmio gestito specializzate su imprese di piccola e media capitalizzazione. Si potrebbero creare dei canali preferenziali per le PMI già quotate che volessero raccogliere nuovo capitale di rischio sul mercato;
  • Serve ampliare il numero e la tipologia di investitori attivi domestici sul segmento delle Mid e Small Cap attraverso iniziative fiscali e legislative che stimolino anche il mondo dei fondi pensione o enti nazionali ad investire sul mercato quotato delle PMI, sulla scia di quanto avviene da tempo in altri paesi europei, con la Francia che sta giocando il ruolo più virtuoso;
  • Sarebbe auspicabile arrivare in tempi rapidi all’adozione del pacchetto di misure proposto un anno fa dalla Commissione Europea (“Listing Package”) che comprende anche un “Listing Act” pensato per semplificare gli adempimenti per le imprese quotande e quotate, soprattutto per Mid Cap e Small Cap. Una tra le misure potenzialmente più incisive è la semplificazione dell’informativa per le società già quotate che intendono raccogliere capitale; si tratta di un incentivo importante per stimolare la crescita e i nuovi investimenti da parte delle aziende presenti in Borsa, che spesso tendono ad essere trascurate dal mercato;
  • In generale, si ritengono molto condivisibili le indicazioni contenute nel Manifesto dei Capitali, pubblicato a novembre 2023 su iniziativa di Borsa Italiana, che Intermonte ha sottoscritto insieme a molti operatori di mercato.