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Environmental Report 2023

Ecco come Google affronta i problemi ambientali

Progressi sul fonte consumo energetico ed emissioni, ancora insufficienti i miglioramenti relativi al consumo idrico. È quanto emerge dall’Environmental Report 2023 di Google, in cui il principale motore di ricerca al mondo con un fatturato di quasi 257 miliardi di dollari nel 2021, equivalente a circa il PIL di un paese come la Repubblica Ceca, tiene traccia degli sviluppi verso gli obiettivi di sostenibilità, in particolare su emissioni di CO2, acqua, natura e biodiversità. 

Per quanto riguarda il carbonio, il colosso tecnologico ha confermato una riduzione del 10% delle emissioni di CO2 in tutti gli ambiti (1,2 e 3). Le emissioni Scope 3 continuano a rappresentare la maggior parte (75%) della sua impronta carbonica, mentre le Scope 1 rappresentano solo l’1% e il restante 24% è attribuibile alle Scope 2. 

Per ridurre ulteriormente le emissioni Scope 2 e aiutare altri utenti di energia coinvolti nella filiera dell’azienda a fare lo stesso, Google punta a utilizzare energia senza emissioni di carbonio 24 ore su 24, 7 giorni su 7 su ogni rete in cui opera entro il 2030. Ciò garantirà che le reti locali beneficino di capacità di energia rinnovabile aggiuntiva, superando al contempo i problemi di trasparenza e credibilità che possono derivare dall’acquisto di certificati di elettricità pulita. “Abbiamo fissato questo obiettivo ambizioso per aiutare a scalare nuove soluzioni globali”, si legge nel rapporto. 

Relativamente al consumo energetico, il rapporto rivela che nel 2022 Google ha soddisfatto mediamente per il 64% il suo fabbisogno energetico con energia rinnovabile in tutti i data center ed edifici della società. Tuttavia, vi sono differenze regionali notevoli. In alcune aree geografiche la percentuale è più alta, come in Finlandia dove raggiunge il 97% o in Iowa, Danimarca e Cile, dove la percentuale di consumo rinnovabile supera la soglia del 90%. Al contrario, si è rivelato più difficile procurarsi energia rinnovabile in Giappone, Taiwan e Singapore, dove la percentuale è al di sotto del 20%. Proporzioni inferiori al 30% sono state registrate anche in Nevada e South Carolina.

In generale, però, Google sta mettendo il turbo alla produzione di energia rinnovabile, con 20 accordi per le rinnovabili nel 2022, che sono saliti così a oltre 80 accordi per un totale di 10 GW di capacità di generazione di energia pulita, e una spesa futura stimata di oltre 4 miliardi di dollari.

Le criticità del consumo idrico 

Se sul fronte energetico e in particolare della produzione di rinnovabili Google è un leader da cui altri colossi globali possono prendere esempio, non si può dire lo stesso però in relazione ai suoi obiettivi idrici. Il gigante informatico, infetti, necessita di un grande quantitativo di acqua per raffreddare i data center. Nel 2021 la società ha aggiornato i propri obiettivi con ambizione di reintegrare l’equivalente del 120% dell’acqua dolce che consuma negli uffici e nei data center entro il 2030. Ma l’impronta idrica di Google resta rilevante.

Dal rapporto emerge che il gigante tecnologico ha ora sostenuto 38 progetti di approvvigionamento idrico a livello globale e rileva l’importanza di realizzare progetti in collaborazione con partner locali che hanno esperienza sui loro bacini idrografici. I 38 progetti avranno la capacità di reintegrare circa 1,3 miliardi di litri d’acqua all’anno una volta completamente attuati, secondo il rapporto. Ma l’anno scorso hanno rifornito 271 milioni di litri d’acqua, a fronte di un consumo totale di acqua dolce di Google pari a 7,5 miliardi di litri.

Essendo i data center i maggiori responsabili del consumo idrico di Google, l’aumento del ricorso all’intelligenza artificiale (IA), tra i principali driver della domanda di data center a livello globale, la situazione non sembra destinata a migliorare. Certo, allo stesso tempo, si sottolinea nel rapporto, Google si è impegnato ad applicare l’IA a problemi relativi alla sostenibilità, come l’adattamento ai cambiamenti climatici. Ad esempio, nel 2022 la società ha lanciato Flood Hub, che consente ai governi locali e alle organizzazioni umanitarie di identificare quando si verificherà un’alluvione fluviale fino a sette giorni prima.