L'opinione di Dario Mangilli, Head of Sustainability di Impact Sgr

Velleità o ambizione verde? L’Unione Europea al bivio

L’amministrazione Biden ha deciso di aumentare significativamente i dazi sulle importazioni cinesi, in particolare sui pannelli solari bifacciali e sui veicoli elettrici, segnando un cambiamento notevole nella politica commerciale degli Stati Uniti. Queste misure sono direttamente mirate a proteggere le industrie statunitensi dalle importazioni cinesi, accusate di minare la capacità manifatturiera americana in modo sleale, ma si inseriscono in una più ampia strategia americana di contrasto al dominio cinese, sul piano industriale, commerciale, tecnologico e quindi geopolitico, nel campo delle tecnologie pulite, anche in vista delle prossime elezioni. A conferma di questo, Il governo statunitense ha contestualmente aumentato la quota di importazione per le celle solari da 5GW a 12GW, con l’obiettivo di alleviare le preoccupazioni dei produttori americani che dipendono dalle celle solari importate, escludendo tuttavia in modo deliberato la Cina.

Queste misure protezionistiche hanno implicazioni più ampie per le dinamiche commerciali globali, specialmente per l’Unione Europea, in quanto inevitabilmente le esportazioni cinesi verranno reindirizzate verso l’Europa, intensificando ulteriormente la pressione competitiva sui produttori europei di tecnologie pulite, peggiorando ulteriormente lo squilibrio commerciale tra UE e Cina, che nel 2023 ha raggiunto i 290 miliardi di euro.

La capacità dell’Unione Europea di rispondere tramite barriere tariffarie è limitata dal rispetto del sistema di regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), le quali prevedono che l’imposizione di dazi sia legittima solo in risposta a comprovate pratiche commerciali sleali. Il processo per dimostrare che la Cina abbia adottato pratiche commerciali sleali sarebbe estremamente complesso e soprattutto molto lungo. Inoltre, il blocco europeo è anche diviso su come affrontare la questione, poiché alcuni stati membri, come la Germania e la Svezia, sono riluttanti a imporre dazi a causa dei loro significativi legami economici con la Cina.

Attraverso il Green Deal Industrial Plan, che include il Net Zero Industry Act, l’UE mira a raggiungere una capacità di produzione del 40% per le tecnologie a emissioni zero entro il 2030. Il Critical Raw Materials Act stabilisce obiettivi per la produzione, trasformazione e riciclo di minerali critici per la transizione energetica all’interno dell’UE entro il 2030, attività economiche oggi caratterizzate dal dominio cinese. Da queste iniziative legislative emerge con chiarezza la volontà strategica europea di adottare misure industriali e commerciali per ridurre il livello di dipendenza dalla Cina delle catene di approvvigionamento e di potenziare la competitività industriale nel campo delle tecnologie pulite.

È crescente quindi la probabilità che l’Unione Europea decida di perseguire gli obiettivi fissati anche attraverso l’imposizione di misure protezionistiche atte a difendere allo stesso tempo la transizione energetica e la competitività industriale nel campo delle tecnologie pulite. 

In considerazione della logica che sta guidando la forte spinta regolamentare europea nel campo della sostenibilità e della finanza sostenibile, che ha visto a gennaio 2024 l’entrata in vigore della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) ed a aprile 2024 della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), c’è da attendersi che le misure protezionistiche europee possano prendere la forma di barriere non tariffarie incentrate sul rispetto di standard sociali ed ambientali minimi. Questo tipo di barriere commerciali, derivante dai requisiti regolamentari imposti nel campo della sostenibilità, potrebbe trovare più facile consenso tra i paesi membri rispetto alle barriere tariffarie. L’Unione Europea potrebbe così avanzare una strategia capace di proteggere gli interessi industriali europei nel campo delle tecnologie pulite e gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2050, minimizzando contestualmente il rischio di trovarsi convolta direttamente in una guerra commerciale con la Cina.