I rendimenti e gli spread del reddito fisso hanno registrato una certa flessione nella prima settimana del nuovo anno, dopo un fine 2023 positivo. Nei mesi di novembre e dicembre, l’indice Obbligazionario Globale Aggregato ha segnato un rendimento di quasi il 10%, facendo registrare il miglior guadagno bimestrale dal 1990. Questa performance è stata ottenuta grazie al calo dei rendimenti, al rallentamento dell’inflazione e ai messaggi delle banche centrali che segnalavano la prospettiva di tagli dei tassi nel corso del 2024.
Di fronte a questi sviluppi gli investitori sono corsi a immettere liquidità sul mercato, in previsione di un prossimo ciclo di allentamento. Ciò ha prodotto valutazioni tirate verso la fine dell’anno, rendendo più sfidante per il nuovo anno riprendere dai valori dove si era fermato quello precedente.
Dal nostro punto di vista, se valutiamo le proiezioni di mercato relative a tagli dei tassi già a marzo di quest’anno, vediamo un ampio margine perché Fed, Bce e Banca d’Inghilterra deludano gli investitori. Negli Stati Uniti, l’economia continua a crescere a un ritmo sostenuto e, con l’attività del mercato immobiliare stimolata dal recente calo dei tassi dei mutui ipotecari, non crediamo che il Fomc avrà fretta di tagliare i tassi.
Nel frattempo, non saremmo sorpresi se l’inflazione del primo trimestre si rivelasse più ostinata del previsto. Gli operatori di mercato sono stati rapidi nel liquidare i rischi di inflazione, dato che CPI headline è sceso, ma l’inflazione core rimane ben al di sopra dei livelli compatibili con gli obiettivi della banca centrale.
Inoltre, con il mercato del lavoro in piena occupazione, il mercato azionario vicino ai massimi storici e le condizioni finanziarie sostanzialmente più favorevoli rispetto ai livelli visti all’inizio del quarto trimestre, sembra un contesto insolito per la Fed avviare un allentamento monetario, anche se i tassi si trovano su livelli considerati restrittivi.
Guardando al futuro, riteniamo che l’economia statunitense effettivamente rallenterà nella seconda metà dell’anno, in quanto la politica restrittiva passata continua a produrre i suoi effetti. Tuttavia, riteniamo che ciò sia coerente con due tagli dei tassi da parte della Fed nella seconda metà del 2024, il che è decisamente inferiore ai 125 punti base di allentamento attualmente scontati.
Da questo punto di vista, continuiamo ad essere propensi ad adottare un atteggiamento cauto sulla duration all’inizio del 2024. Detto questo, riteniamo che i rendimenti del Regno Unito abbiano probabilmente più spazio per salire rispetto alle controparti statunitensi. Sebbene l’economia britannica appaia sostanzialmente più debole rispetto a quella d’oltreoceano, l’inflazione continua a rimanere decisamente più elevata e riteniamo che il CPI core del Regno Unito rimarrà intorno al 5% nei prossimi mesi.
L’inflazione e le aspettative sui salari continuano a essere elevate nel Regno Unito e, dato che il governo ha già dichiarato di essere riuscito a riportare l’inflazione sotto controllo facendola scendere al 5%, dubitiamo che la vedremo scendere ulteriormente nel prossimo futuro.
Nel frattempo, i commenti che arrivano da Westminster ci spingono a ritenere che a marzo potrebbe esserci un sostanziale allentamento fiscale, con i conservatori che sperano di essere premiati per questo alle prossime elezioni pur riconoscendo che, nel caso della probabile sconfitta dei laburisti, l’allentamento fiscale di oggi non farà altro che mettere l’amministrazione entrante in una posizione più difficile.
In effetti, il 2024 è un anno piuttosto importante a livello politico e di elezioni su scala globale. Gli elettori si recheranno alle urne, tra gli altri, negli Stati Uniti, in Messico, India, Sudafrica, Russia e Turchia. Di fatto, l’anno prossimo si terranno le elezioni in sette dei dieci Paesi più popolosi del mondo, con il 40% della popolazione del pianeta con diritto al voto che andrà alle urne in 50 elezioni nazionali.
Non sorprende che gran parte dell’attenzione sarà concentrata su quanto accadrà a Washington, anche se notiamo che, in questo momento,sarebbe una sorpresa se Trump non tornasse alla Casa Bianca, dato il suo vantaggio a due cifre su Biden. Questo nonostante i tentativi di rimuovere Trump dalle schede elettorali in Colorado e Maine, che si prevede verranno annullati dalla Corte Suprema.
Ciononostante, le prospettive di un clima di tensione nella politica statunitense renderanno probabilmente più probabile lo scenario di un prolungato shutdown del governo degli Stati Uniti nei prossimi mesi. In effetti, questa eventualità potrebbe emergere nel corso del mese, quando le misure transitorie dell’anno scorso si esauriranno, anche se l’impatto economico che questo potrebbe avere resta discutibile.
Nel frattempo, il calendario politico è un po’ più tranquillo nell’Eurozona, anche se continuiamo a sottolineare le tendenze politiche che si stanno evidenziando nel Continente e che sono fonte di crescente preoccupazione nei corridoi di Bruxelles e non solo.
Nell’ultimo anno è stato interessante notare la continua ascesa dei partiti di destra e filo-nazionalisti in diversi Paesi. In Italia, le quotazioni di Georgia Meloni sono in forte ascesa, mentre nei Paesi Bassi l’establishment è rimasto scioccato dai risultati ottenuti dal partito di Gert Wilders con un programma anti-immigrazione e anti-ecologista.
Nel frattempo, gli elettori tedeschi si sono spostati verso l’AFD e in Francia, Marine Le Pen sarebbe nella posizione di ottenere risultati robusti nella corsa alla presidenza francese, se si tenessero le elezioni nei prossimi 12 mesi. Sebbene la stabilità dell’Eurozona non sia minacciata nell’immediato, non si può escludere volatilità politica, in particolare se l’attuale crisi economica del Continente dovesse sfociare in una recessione più prolungata, con un aumento significativo della disoccupazione nei trimestri a venire.
I rendimenti dell’Eurozona sono rimasti poco variati all’inizio di gennaio. L’inflazione a dicembre è salita, come previsto, e continuiamo a ritenere che il mercato stia prezzando prematuramente tagli dei tassi da parte della BCE già a marzo.
Il CPI core, che si aggira ancora intorno al 3,4%, rimane ben al di sopra dell’obiettivo e, sebbene l’economia dell’Eurozona si stata in difficoltà negli ultimi mesi, i recenti indicatori in aree come i prezzi delle case suggeriscono una certa stabilizzazione. Anche i dati sul mercato del lavoro continuano a reggere relativamente bene e, da questo punto di vista, non avvertiamo alcuna urgenza per Lagarde e i suoi colleghi di avviare un dibattito sul taglio dei tassi.
Altrove, in contrasto con altri mercati sviluppati, spicca la dinamica del Giappone. Le prospettive economiche giapponesi restano relativamente ottimistiche, l’inflazione core rimane vicina al 4% e si stanno accumulando evidenze di una ripresa della crescita salariale. I recenti commenti della BoJ suggeriscono che la normalizzazione della politica monetaria continuerà probabilmente nei prossimi mesi e continuiamo a pensare che ci sia spazio per la fine della politica dei tassi d’interesse negativi (NIRP), che sarà annunciata nella riunione politica della BoJ di fine gennaio.
Il recente terremoto di Noto ha creato qualche incertezza sulla tempistica ed è possibile che la BoJ decida di prendersi del tempo per valutarne l’impatto. Tuttavia, riteniamo che la probabile conseguenza economica sarà l’aumento della spesa fiscale per la ricostruzione delle infrastrutture, che finirà per risultare un elemento positivo nei dati del Pil.
Da questo punto di vista, rimaniamo fiduciosi sulla normalizzazione delle politiche in Giappone nel 2024 e ci aspettiamo che il governo dichiari il raggiungimento di “un’inflazione al 2% su base sostenibile” entro la primavera.
Successivamente, pensiamo che i tassi d’interesse giapponesi finiranno l’anno allo 0,5-0,75%, muovendosi verso l’alto proprio mentre si abbasseranno negli Stati Uniti e nell’Eurozona, dati i punti di partenza molto diversi di queste economie. In questo caso, ci aspettiamo che il recente rally dei rendimenti dei JGB si inverta nelle prossime settimane.
Riteniamo inoltre che lo yen farà meglio delle altre principali valute nel corso dell’anno, anche se nel mercato valutario il carry negativo associato alla posizione lunga sullo yen giapponese rende questa posizione piuttosto difficile da mantenere con grande convinzione.
Gli spread di credito si sono ridotti in modo significativo sia per le società sia per i titoli sovrani fino alla fine del 2023. Tuttavia, la ripresa dell’offerta, con una concessione alle emissioni sul mercato secondario, ha visto gli spread allargarsi all’inizio di gennaio. Dopo aver ridotto l’esposizione a fine anno in previsione di una ripresa delle emissioni, siamo stati felici di partecipare selettivamente alle nuove emissioni, anche se rimane importante rimanere concentrati su dove si trovi il fair value.
In effetti, negli ultimi giorni, molte nuove emissioni sono state scambiate con spread più ampi al re-offer, nonostante il forte bookbuilding. Con l’arrivo di molte altre nuove emissioni nelle prossime settimane, si ha la sensazione che gli investitori possano essere selettivi nell’aggiungere alle proprie posizioni, visto l’aumento degli spread negli ultimi tempi. Di conseguenza, laddove le nuove emissioni sono state prezzate in modo ampio rispetto alle operazioni esistenti, ciò ha portato a una sorta di ri-prezzamento più ampio, man mano che le operazioni sono state annunciate.
Guardando avanti
Sembra che ci sia molta incertezza per il futuro. Detto questo, è stato interessante notare che molte banche hanno anticipato quando prevedono che abbia inizio l’allentamento monetario, seguendo essenzialmente i recenti movimenti dei prezzi.
Tuttavia, siamo scettici sul fatto che la traiettoria sia semplice e regolare. Come abbiamo notato, anche il recente ammorbidimento delle condizioni finanziarie, associato alle speranze di allentamento monetario, è sufficiente per contribuire a risollevare i dati economici e quindi a smentire che sia necessario effettuare tagli dei tassi secondo le tempistiche auspicate dai mercati. Inoltre, con un atterraggio morbido apparentemente pienamente prezzato da alcune asset class, riteniamo che ci sia il rischio che i mercati rimangano delusi, se i dati macro non saranno coerenti con questa narrazione.
Dato che i mercati stanno già scontando circa 125 punti base di tagli dei tassi nel corso del prossimo anno, le buone notizie per i titoli di Stato sono sostanzialmente già incorporate nei prezzi. Con l’inversione delle curve dei rendimenti, dubitiamo che gli indici a reddito fisso possano offrire rendimenti molto superiori a quelli della liquidità nei prossimi 12 mesi.
Detto questo, riteniamo che i movimenti dei prezzi registrati nel 2023, anno in cui si sono alternati periodi di rendimenti più alti e poi periodi di rendimenti più bassi, potrebbero facilmente ripetersi nei prossimi mesi. Da questo punto di vista, vediamo l’opportunità di assumere sia posizioni di rischio direzionale sia posizioni di valore relativo sui mercati.
Vediamo ostacoli sulla strada da percorrere e, probabilmente, un VIX al di sotto di 14 non sta prezzando propriamente questo scenario. Essere troppo fiduciosi per il momento può sembrare saggio come fidarsi del recente trend di Tik-Tok in cui mangiare 12 chicchi d’uva allo scoccare della mezzanotte garantisce il successo nel nuovo anno. L’esperienza suggerisce che, dopo una festa di solito si fanno sentire un po’ i postumi della sbornia.