Mentre entriamo nell’ultimo mese del 2023, gli investitori possono riflettere su un novembre eccezionale, in cui il rendimento del 9% dell’indice S&P 500 ha rappresentato il settimo miglior mese di rendimenti degli ultimi 100 anni. Allo stesso modo, i rendimenti del benchmark del reddito fisso sono stati i più alti degli ultimi 15 anni, per cui vale la pena di riflettere se l’allegria festiva di quest’anno non sia arrivata un po’ troppo presto. Esaminando la recente direzione dei prezzi, ci sembra che non sia cambiato molto nei fondamentali sottostanti da giustificare movimenti così estremi. Sicuramente i mercati erano depressi alla fine di ottobre e all’epoca ritenevamo che il precedente sell-off dei rendimenti a lunga scadenza fosse a quel punto eccessivo. Il FOMC di ottobre ha avuto una nota “dovish”, con Powell che ha riflettuto sull’inasprimento delle condizioni finanziarie in quel momento. Tuttavia, il rally dei mercati da allora ha completamente invertito la tendenza all’inasprimento delle condizioni finanziarie e, in questo contesto, si potrebbe pensare che Powell si opporrà a una narrazione eccessivamente “dovish” nella prossima riunione di dicembre.
I dati economici del mese scorso hanno visto un’inflazione un po’ più contenuta, ma abbiamo notato che il CPI core rimane al 4%, un tasso doppio rispetto all’obiettivo della Fed. Di conseguenza, è probabile che ci vorrà del tempo prima che l’inflazione raggiunga un livello tale da giustificare un atteggiamento più dovish.
Inoltre, secondo la nostra interpretazione della funzione di reazione alla politica della Fed, il Comitato riterrebbe accettabile commettere un errore tenendo i tassi troppo alti per troppo tempo, rallentando così la crescita. Se questo dovesse accadere, ci sarebbero margini per correggere la rotta e abbassare i tassi da un punto di partenza ben superiore alla valutazione neutrale della Fed.
Viceversa, viene ritenuto inaccettabile diventare troppo dovish troppo presto, nel caso di un ritorno delle pressioni al rialzo sui prezzi. In questo caso, il riavvio di un ciclo di inasprimento della politica monetaria potrebbe avere conseguenze molto più dannose. Da questo punto di vista, Jerome Powell non vuole essere ricordato come il moderno Arthur Burns, il presidente della Fed che permise all’inflazione di sfuggire al controllo proprio durante il suo mandato.
Questa analisi ci porta a concludere che i tagli dei tassi della Fed sono probabili solo nella seconda metà del 2024. Per quanto riguarda l’aspetto della crescita, notiamo che il Nowcast della Fed di Atlanta si aggira intorno a una crescita tendenziale del 2% nel trimestre in corso. È chiaro che i dati potrebbero sorprendere al ribasso nelle prossime settimane e questo potrebbe portare a una revisione.
Tuttavia, se da un lato non riusciamo a vedere molta concreta debolezza in questo momento, dall’altro pensiamo che i rendimenti siano prezzati per una certa delusione in futuro. Nell’ultimo anno abbiamo già assistito a diverse occasioni in cui i mercati hanno cercato di scontare prematuramente i tagli dei tassi e gli investitori e i modelli hanno voluto sposare queste previsioni. Ma, dato che i sondaggi tra gli investitori indicano che il posizionamento del consensus è decisamente sulla duration lunga, vediamo la possibilità che i rendimenti ritraccino, se queste speranze vengono deluse.
Inoltre, con la liquidità in calo a mano a mano che procediamo nel mese, non è troppo difficile immaginare uno scenario in cui i rendimenti potrebbero tornare sui recenti massimi entro la fine di dicembre.
Alla luce di queste considerazioni, siamo passati a un orientamento tattico di duration breve, aspettandoci che i tassi decennali salgano oltre il 4,5% nelle prossime settimane. Ci colpisce il fatto che solo poche settimane fa avevamo adottato una posizione lunga al 4,85% con l’obiettivo di raggiungere lo stesso livello, prima di registrare i guadagni. Se il recente rally dovesse estendersi verso il 4,0%, potremmo essere propensi a incrementare ulteriormente questa posizione.
Tuttavia, se dovessimo vedere la conferma di una traiettoria economica più debole o di dati in discesa sull’inflazione, saremmo più propensi a diminuire il rischio e se dovessimo aggiungere duration, pensiamo che questa potrebbe essere più interessante verso la parte a breve della curva dei rendimenti, con l’idea che la curva si irripidisca una volta che si avvicina il momento dei tagli dei tassi.
I migliori dati sull’inflazione di novembre in Germania e Spagna hanno aiutato i rendimenti dell’euro a salire nell’ultima settimana. Questi rendimenti hanno ampiamente seguito i Treasury nel corso del mese, anche se con un beta leggermente inferiore, in linea con rendimenti assoluti più bassi. La BCE è scettica sul fatto che l’inflazione torni verso l’obiettivo troppo rapidamente e quindi i dati in arrivo saranno benvenuti.
Tuttavia, da questo momento in poi, gli effetti di base su base annua potrebbero diventare meno favorevoli di quanto non sia avvenuto di recente. In tal caso, la tendenza alla riduzione dei tassi d’inflazione potrebbe iniziare ad arrestarsi, dato che molti prezzi sono legati a variazioni regolamentate nell’Eurozona. Questa dinamica rende l’inflazione più ostinata qui di quanto non lo sia al di là dell’Atlantico.
Altrove nel blocco, gli spread dei BTP italiani hanno sovraperformato di recente, con i rendimenti in calo. Poiché le tendenze politiche sono per il momento benigne, i timori legati alla sostenibilità del debito potrebbero essere positivamente correlati ai livelli dei rendimenti assoluti.Detto questo, con i bund decennali al 2,4%, quando il cash è al 4%, è difficile entusiasmarsi troppo per le valutazioni dei bund in questo momento, e quindi è difficile prevedere che i rendimenti scendano di molto per il momento.
Anche i rendimenti dei Gilt sono saliti nel corso della settimana, così come quelli dei JGB. Sembra che gli investitori globali abbiano chiuso le posizioni di short duration in base a una visione più rialzista della duration globale, ma continuiamo a sottolineare che il Giappone si trova in una fase del ciclo economico profondamente diversa da quella degli Stati Uniti o dell’Eurozona.
Da questo punto di vista, continuiamo a nutrire una forte convinzione di lungo termine che i rendimenti dei JGB saliranno. Rimaniamo inoltre convinti che i rendimenti dei Gilt dovrebbero essere superiori a quelli dei Treasury a lungo termine, dato che siamo pienamente convinti che l’inflazione rimanga a un livello elevato nel Regno Unito, rispetto alla situazione negli Stati Uniti.
Poiché nell’ultimo mese i mercati si sono mossi in modalità “risk on”, nelle ultime settimane il dollaro è sceso rispetto a tutte le altre valute. Tuttavia, con il tasso di cambio dell’euro che ora si aggira intorno a 1,10, vediamo poco margine per spingere questo livello molto più in alto, considerando che l’economia statunitense continua a fare meglio di quelle di molti suoi omologhi globali.
In effetti, sembra che il sell-off del dollaro abbia perso un po’ di slancio negli ultimi giorni, anche se i rendimenti e le azioni hanno continuato a muoversi. Da questo punto di vista, nelle ultime due settimane abbiamo chiuso una serie di posizioni short sul dollaro legate ai mercati emergenti, in Cile, Indonesia e Cina. Tuttavia, siamo diventati più costruttivi sul dollaro canadese, ritenendo che questo sia rimasto indietro rispetto agli altri paesi nei recenti movimenti dei cambi.
Altrove, lo yen ha guadagnato con i rendimenti statunitensi che sono scesi. Tuttavia, continuiamo a pensare che un trend più forte della politica giapponese richiederà un adeguamento della politica monetaria della BoJ e continuiamo a considerare l’inflazione come un fattore scatenante di tutto questo. In questo contesto, terremo d’occhio i dati del CPI di Tokyo per il mese di novembre, quando saranno pubblicati all’inizio della prossima settimana.
Così come pensiamo che il recente movimento dei Treasury si sia spinto troppo in là, siamo anche a livelli in cui potremmo voler aumentare le coperture delle posizioni legate al credito. Gli spread sono saliti molto in poco tempo. Il CDX high yield, ad esempio, si attesta oggi a 400 pb rispetto ai 525 pb di inizio mese.
Anche correggendo per un difetto nel paniere, che è stato rimosso, ciò significa che gli spread sono saliti di 100 pb in sole quattro settimane. Ora ci troviamo a valutazioni che non si vedevano dalla primavera dell’anno scorso. Da questo punto di vista, i mercati si sono davvero mossi per escludere uno scenario di atterraggio duro e di recessione, ma probabilmente sarà difficile scontare completamente questa possibilità, in un contesto macro relativamente incerto.
A dire il vero, abbiamo visto come il nostro “outlook per l’anno prossimo” sia stato superato a soli due mesi dall’inizio del 2020, sulla scia di Covid, e allo stesso modo nel 2022 con la guerra in Ucraina. In modo simile, siamo colpiti dalla difficoltà che i previsori economici hanno trovato nell’anticipare con precisione la traiettoria della crescita e dell’inflazione negli ultimi due anni.
Pertanto, qualsiasi visione di medio periodo che sembri far suo uno scenario troppo ottimista dovrebbe essere certamente messa in discussione e contestata, a nostro avviso. Sebbene un atterraggio duro negli Stati Uniti appaia attualmente improbabile, chissà come sarà la situazione nella primavera del prossimo anno.
Di conseguenza, riteniamo che sia più sensato cercare di fare una valutazione di più breve periodo, cercando in un certo senso di valutare se questa probabilità di atterraggio duro sia destinata ad aumentare o a diminuire nei prossimi uno o due mesi, poiché, in un certo senso, è questo che guiderà i prossimi movimenti dei prezzi.
Guardando avanti
Con il conto alla rovescia dell’avvento ormai iniziato, riteniamo che ci sia ancora molto su cui riflettere nelle prossime due settimane. Con i mercati che cercano di scontare un punto di svolta nel ciclo delle politiche monetarie, ci troviamo in un momento in cui i dati economici saranno attentamente esaminati.
Allo stesso modo, i commenti delle banche centrali saranno analizzati all’infinito, alla ricerca di indizi che possano corroborare il proprio posizionamento. Detto questo, osserviamo che il mercato oggi sta scontando un primo taglio dei tassi della Fed a maggio/giugno e con la curva dei rendimenti sostanzialmente invertita, l’onere della prova spetta ora ai “tori” delle obbligazioni.
Da questo punto di vista, riteniamo che i mercati siano attualmente più vulnerabili alla delusione se i dati economici rimangono relativamente positivi o se i commenti della Fed non si discostano molto dalle precedenti riunioni della Fed.
In questo caso ci chiediamo se, proprio come i clienti restituiscono i prodotti indesiderati comprati durante l’abboffata di acquisti online durante Il Ringraziamento, i mercati potrebbero restituire parte degli impressionanti rendimenti di novembre prima della fine dell’anno. Di certo, ai nostri occhi sembra che il Natale sia arrivato un po’ troppo presto…. anche se, nel dirlo, non vorremmo sembrare troppo un Grinch natalizio.