Stefano Pareglio Deloitte | ESG News

B7 Energia, clima, ambiente

Deloitte: transizione energetica e climatica priorità assolute per i Paesi B7

Per centrare gli obiettivi della COP28 servono 2.500 miliardi di dollari di investimenti annui in rinnovabili

Accelerare la doppia transizione – energetica e climatica – senza perdere competitività: è questa la sfida per i Paesi che si incontreranno per discutere di “Clima, Energia e Ambiente” nella riunione del G7 a guida italiana in programma a Torino dal 28 al 30 aprile. A margine della riunione ministeriale dei sette grandi del Pianeta, c’è stata anche la “G7 Industry Stakeholders Conference” organizzata dal B7, l’Engagement Group riservato al mondo delle imprese guidato da Confindustria e di cui Deloitte è unico Knowledge Partner.

In occasione della ministeriale verrà discusso il report B7 Flash che analizza i fattori chiave per navigare nelle molteplici transizioni in corso dell’economia di oggi. Il report è stato elaborato da Confindustria e Deloitte grazie al contributo di Stefano Pareglio, Presidente di Deloitte Climate & Sustainability e Angelo Era, Partner Deloitte.
Per commentare i nodi cruciali della partita energetica nello scenario di oggi abbiamo intervistato Stefano Pareglio.

La COP28 ha rinnovato l’impegno internazionale nella lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, gli attori industriali sono preoccupati per la competitività delle economie del G7. Cosa emerge dal rapporto B7 Flash di Deloitte-Confindustria?

Gli obiettivi della COP28 sono stati largamente condivisi. Ma il ritmo del cambiamento prospettato rappresenta una sfida che non è eccessivo definire epocale. Andiamo dalla triplicazione della generazione elettrica da fonti rinnovabili, al raddoppio del tasso di incremento dell’efficienza energetica. Dal transitioning away dai combustibili fossili, citati per la prima volta nelle conclusioni di una COP, al riconoscimento del ruolo dell’innovazione tecnologica e dei combustibili zero- and low-carbon. Tutto ciò in un mondo nel quale il costo delle emissioni di carbonio è assai diseguale: in Europa, ad esempio, i diritti di emissione della CO2 sono 10 volte più costosi che in Cina. Questo rappresenta uno squilibrio insostenibile nella competizione internazionale e mina la possibilità concreta di conseguire gli obiettivi della COP28. Allo stesso modo, i prezzi dell’energia elettrica in Europa sono ancora più alti rispetto ai livelli pre-pandemici, e soprattutto sono più alti sia dei prezzi cinesi, sia di quelli statunitensi, con evidenti ripercussioni sulla competitività delle imprese.

La COP28 ha assunto come obiettivo, si diceva, la triplicazione della capacità globale di energia rinnovabile entro il 2030. Può quantificare il gap attuale e gli investimenti necessari per raggiungere questo obiettivo?

A oggi, la capacità globale di energia rinnovabile, ossia quella installata, è pari a 3.600 GW (IEA, 2023), con una traiettoria che si attesta sui 7.300 GW nel 2030. Per raggiungere l’obiettivo della COP28, ossia 11.000 GW installati entro il 2030, abbiamo bisogno di un ritmo ben superiore. È vero, però, che nel solo 2023 sono stati installati circa 540 GW, con un +85% per il fotovoltaico e +60% per l’eolico. Ciò grazie alla sostanziale riduzione del costo delle tecnologie e dei componenti associati, e alla crescente spinta dei governi, dei mercati e delle imprese. Lo scenario di Net Zero Emissions (NZE) dell’International Energy Agency (IEA, 2023) stima che sia necessario un incremento degli investimenti annuali in energia rinnovabile di 2.500 miliardi di USD per raggiungere questo obiettivo: un significativo salto in avanti rispetto agli attuali 1.800 miliardi.

Il B7 Flash menziona la necessità di ridurre del 75% le emissioni di metano, come prospettato dalla IEA. Nell’accordo di Dubai, pur richiamando questa esigenza, non è stato stabilito alcun target. Può evidenziare l’impatto che avrebbe invece tale riduzione nel conseguire l’obiettivo dell’Accordo di Parigi?

Secondo lo scenario Net Zero Emissions (NZE) dell’International Energy Agency (IEA, 2023), una riduzione del 75% delle emissioni di metano entro il 2030 potrebbe evitare un riscaldamento di 0,3°C entro il 2040. Questa riduzione è cruciale per consentire il conseguimento dell’obiettivo di 1,5°C (IEA, 2023). Si consideri, in proposito, che, secondo i dati Copernicus, il 2023 è stato 0,6°C più caldo della media 1991-2000, e più caldo di 1,48°C rispetto al livello preindustriale del 1850-1900. Ciò non è sufficiente per dire che abbiamo raggiunto uno stabile incremento di 1.5°C, ma di certo ci consente di affermare che i segnali dell’avvicinamento ai limiti sono oltre modo evidenti. Se è così, ogni leva disponibile va rapidamente utilizzata per impedire la crisi climatica.

Il vostro rapporto sottolinea il predominio della Cina nelle catene di approvvigionamento delle tecnologie necessarie alla transizione energetica. Può quantificare questo predominio e i potenziali rischi per i paesi del G7?

Secondo il più recente World Energy Outlook (IAE, 2023), la Cina domina il mercato delle tecnologie necessarie alla transizione energetica: il 75%-85% delle celle e dei moduli fotovoltaici, e il 96% dei relativi wafer è di produzione cinese, così come il 65% di celle, l’85% di anodi, quasi l’80% di catodi e il 65% di litio raffinato necessari a produrre le batterie elettriche impiegate nelle autovetture. Una simile dinamica si rileva per quanto riguarda i minerali critici impiegati da queste tecnologie. Secondo il Critical Minerals Market Review (sempre IEA, 2023), dal 2017 al 2020, spinta soprattutto dal settore energetico, la domanda globale di litio è triplicata, quella di cobalto aumentata del 70% e quella di nichel del 40%. Ebbene, per litio, cobalto e terre rare, le 3 principali nazioni produttrici controllano ben più di tre quarti  della produzione mondiale. In particolare, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Popolare Cinese hanno originato rispettivamente il 70% e il 60% della produzione globale di cobalto e terre rare. Il livello di concentrazione è ancora più elevato per le operazioni di lavorazione, dove la quota della Cina nella raffinazione è di circa il 35% per il nichel, del 50-70% per il litio e il cobalto, e quasi del 90% per le terre rare. Le aziende cinesi hanno anche effettuato sostanziali investimenti all’estero per assicurarsi continuità di approvvigionamento, specialmente in Australia, Cile, Congo e Indonesia. Sono numeri che spiegano da soli la dipendenza dei paesi del G7 dal mercato cinese. Ora si sta cercando di porre rimedio a questa situazione con politiche e investimenti, sia negli USA che in Europa, ma il ritardo accumulato è grave e richiede un’azione politica molto più forte e rapida.

Quale risulta essere oggi il livello degli investimenti per la transizione energetica? Quale dovrebbe essere per raggiungere gli obiettivi della COP28?

Attualmente, gli investimenti globali destinati alla transizione energetica sono stimati in circa 1.800 miliardi USD per anno (IEA, 2023). Gli obiettivi della COP28 e lo scenario NZE dell’IEA identificano la necessità di un aumento a 4.300 miliardi USD per anno entro il 2030. A ciò debbono provvedere le istituzioni, sia direttamente, sia – soprattutto – indirettamente, creando un ambiente favorevole per gli investimenti privati.

Come valuta l’impegno sull’aumento della capacità di energia rinnovabile e sull’efficienza energetica, delineato nella COP28?

Accrescere, in modo significativo, sia la capacità di energia rinnovabile installata, sia il grado di efficienza energetica presenta sfide e opportunità di assoluto rilievo.  L’International Energy Agency, nei suoi diversi rapporti, evidenzia che in base alle politiche e alle condizioni di mercato attuali, è previsto che la capacità globale delle energie rinnovabili raggiunga i 7.300 GW entro il 2028. Questa traiettoria di crescita, nonostante i risultati record del 2023 (+540 GW installati), porterebbe la capacità globale a moltiplicarsi per 2,5 volte rispetto al livello attuale entro il 2030, mancando l’obiettivo condiviso a Dubai. In sintesi, serve uno sforzo aggiuntivo.

Qual è la sua opinione sul ruolo dell’energia nucleare e di combustibili come il gas naturale nella transizione energetica prospettata alla COP28?

Sui combustibili di transizione e sulle tecnologie a basso o nullo impatto carbonico, si è espressa la COP28: sono necessari in questa fase di transizione. Ovviamente, va fatto un richiamo alle imprese affinché assumano, nelle loro scelte, una prospettiva di medio-lungo termine, per evitare in futuro difficoltà nell’accesso al mercato dei capitali, costi crescenti del denaro, ridotto interesse degli investitori o redditività decrescenti del proprio business. Per quanto riguarda l’energia nucleare, in particolare, le risposte più autorevoli sul piano scientifico si trovano nell’Assesment Report VI dell’IPCC. Nell’esaminare gli scenari elaborati dalla letteratura, si rileva – mi permetta una sintesi un po’ spiccia – che per mantenere la crescita della temperatura terrestre entro 1,5°C a fine secolo (con un ormai inevitabile overshoot), bisogna usare con rapidità tutti gli strumenti disponibili: dal nucleare ai sistemi di rimozione, dalla gestione dei suoli agricoli e forestali alla gestione dei rifiuti e del ciclo idrico, dal rinnovo del patrimonio edilizio alla mobilità sostenibile, oltre ovviamente alla crescita di rinnovabili ed efficienza energetica.  È dunque un tema di costo per unità di CO2eq rimossa e di tempi. Su questo piano, secondo l’IPCC, l’attuale tecnologia nucleare disponibile è assai costosa e non consentirebbe comunque riduzioni significative nei tempi che abbiamo a disposizione nella lotta contro la crisi climatica.

Come percepite il problema degli “stranded asset” dovuti all’obsolescenza precoce delle infrastrutture energetiche e quali misure proponete per affrontare questa sfida?

Nell’ambito della transizione energetica, il tema degli “stranded asset” è di assoluto rilievo. È facile comprendere come un’errata visione strategica possa condurre a scelte inadeguate in termini di tecnologie adottate e di allocazione del capitale, con l’ovvia conseguenza di influire negativamente sul valore economico di impianti e infrastrutture, e dunque sulla remunerazione degli investimenti e sulla solvibilità dei creditori. Senza contare una serie di ulteriori impatti correlati, come quelli che riguardano la continuità del business e la reputazione dell’impresa. Si tratta di scelte non semplici, che richiedono tempismo e anche un certo appetito al rischio, e che determinano conseguenze sul lungo termine. Del resto, questo è ciò che fanno gli imprenditori e i manager ogni giorno: ora hanno una variabile in più da gestire, per la quale sono però disponibili strumenti innovativi quali analisi di scenario, stress testinternal carbon pricingclimate VaR e così via.

Considerando la crescente consapevolezza dei rischi legati al cambiamento climatico, qual è il ruolo delle imprese nel promuovere la resilienza climatica e l’adattamento alle sfide ambientali?

Le imprese hanno un ruolo cruciale nel promuovere la mitigazione delle emissioni: per farlo, sono chiamate ad adattare il proprio modello di business e a evolvere verso un uso più efficiente e responsabile delle risorse ambientali ed energetiche. Nel primo caso, devono rileggere strategia e appetito al rischio in un orizzonte di medio periodo e conseguentemente modificare l’allocazione del capitale, stabilire relazioni più profonde con shareholder e stakeholder, aprirsi a mercati coerenti con l’evoluzione degli stili di vita, di produzione e di consumo. Nel secondo caso, devono innovare la cultura e i processi aziendali e stabilire una più efficace collaborazione con i fornitori e i clienti. C’è poi il tema dell’adattamento al cambiamento climatico, che in prima istanza è difesa degli asset produttivi e della continuità di business, ma è destinato a diventare, a sua volta, leva di riposizionamento strategico, quanto meno in alcuni settori industriali, come del resto è già avvenuto per la mitigazione delle emissioni. Per fare tutto questo, è necessario attivare una serie di abilitatori, richiamati nel Rapporto B7 Flash di Confindustria e Deloitte, primo tra i quali un sistema di policy e regole favorevole, semplice e stabile, e poi un assetto infrastrutturale che faccia da rete di connessione alle scelte imprenditoriali.