Lo sfruttamento delle risorse naturali non riguarda solo la superficie terrestre, ma anche i fondali marini. Almeno potenzialmente. Gli abissi degli oceani, infatti, anche a profondità oltre 4mila km sotto il livello del mare, sono ricchi di metalli come il cobalto, il rame e il nickel. Materiali preziosi per delle tecnologie che oggi rivestono sempre più importanza, come l’auto elettrica. Ciò ha catturato l’attenzione di quei paesi che sono meno dotati delle cosiddette “materie prime critiche” e che quindi dipendono dal predominio della Cina nelle filiere di questi materiali strategici per il percorso di decarbonizzazione. Tuttavia, la comunità scientifica ha individuato potenziali rischi e pericoli per l’ambiente e la sicurezza legati all’estrazione mineraria in acque profonde che, seppure ipotetici perché la conoscenza umana degli abissi è tutt’ora molto limitata, sarebbero enormi.
Una soluzione al problema potrebbe essere il raggiungimento di un accordo internazionale per cercare di regolare questo mercato emergente. È con questo spirito che nelle scorse settimane l’International Seabed Authority (ISA), organismo parte dell’Onu, ha avviato un vertice in Giamaica, conclusosi il 28 luglio, con l’obiettivo di portare avanti il suo mandato, ovvero quello di regolare le attività nei fondali marini che si trovano in acque extra-nazionali (il 60% del totale circa). Da diversi anni l’ISA cerca di fissare delle regole comuni per il “deep sea mining”, ottenendo fino ad oggi scarsi risultati. Ma ora che le tecnologie per svolgere l’attività mineraria negli abissi sono più concrete e disponibili, il suo intervento si fa realmente urgente.
Alcuni paesi, tra cui Francia e Germania, si stanno mobilitando per fare pressione per opporsi allo sfruttamento degli abissi, ma i meccanismi decisionali dell’ISA sono molto articolati e complicati e potrebbero vanificare questi sforzi. L’autorità, tra l’altro, ha rilasciato licenze esplorative a paesi come la Cina, che ne ha 5 sui 31 totali, alla Russia e alla Norvegia, che ha avviato recentemente estrazioni nell’artico.
In questo contesto, alcuni investitori, tra cui l’italiana Etica Sgr, si sono mossi per lanciare degli appelli ai governi per esortarli a intervenire per proteggere gli ecosistemi marini. In questa intervista a ESGnews, Aldo Bonati, Stewardship e ESG Networks Manager di Etica Sgr, spiega il punto di vista della società di gestione sul settore dell’estrazione di minerali dai fondali marini e perché si batte per arrestarla.
Venerdì si è concluso l’importante vertice dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (Isa), organismo collegato all’Onu il cui mandato è regolare le attività nei fondali marini, in Giamaica. Si è arrivati a un accordo?
Il Consiglio dell’Autorità internazionale dei fondali marini (ISA) ha escluso qualsiasi permesso immediato per l’inizio dell’attività mineraria, ma ha tenuto aperta una via legale che potrebbe consentirne nel 2024. Pertanto, l’attenzione di Etica Sgr sul tema resterà alta.
Quindi cosa succederà ora per le concessioni che sono state avanzate e stanno per partire in questa situazione di incertezza giuridica?
I delegati riuniti presso la sede dell’ISA in Giamaica hanno concordato, durante i colloqui che si sono conclusi la scorsa settimana, che le regole per l’industria non saranno finalizzate prima del 2025. Da parte sua, la Cina ha posto il veto alla proposta di alcuni Paesi, tra cui Francia e Cile, di discutere già quest’anno se sospendere del tutto l’attività estrattiva in acque profonde. Tuttavia, la Cina ha approvato che il dibattito sul tema sia rimandato al 2024.
Nel frattempo, quindi, l’attività di estrazione mineraria sottomarina in acque profonde rimane sospesa.
Quali sono i rischi del Deep Sea mining e perché questa attività potrebbe essere pericolosa per l’ambiente?
Le analisi indipendenti delle evidenze scientifiche disponibili, commissionate dai governi e condotte dalle organizzazioni della società civile, concordano sul fatto che l’estrazione mineraria in acque profonde causerà impatti negativi potenzialmente gravi sull’ambiente marino, sulla sua biodiversità e sui suoi ecosistemi.
I principali impatti riguardano: perdita di biodiversità, interruzione del funzionamento degli ecosistemi marini e delle reti alimentari, riduzione delle popolazioni ittiche e interruzione del ciclo oceanico del carbonio. Inoltre, ci sono ancora significative lacune nella conoscenza di questi ambienti che impediscono un processo decisionale pienamente informato.
In assenza di una solida base scientifica di riferimento, le valutazioni di impatto ambientale sono meno affidabili e rischiano di sottovalutare la portata e l’entità degli impatti ambientali. Permane quindi una notevole incertezza riguardo alla redditività economica e all’efficacia dell’estrazione in acque profonde.
Voi avete sottoscritto un appello ai governi per esortarli a intervenire con azioni di regolamentazione e protezione degli oceani. Quali sono i vostri obiettivi e qual è stata la risposta?
In coerenza con la sottoscrizione del Finance for Biodiversity Pledge, Etica Sgr è impegnata per garantire la protezione della biodiversità, anche nelle acque profonde. Per questo, gli obiettivi di lungo periodo sono l’arresto dell’attività di estrazione mineraria dai fondali marini profondi, l’aumento degli investimenti nella ricerca sugli ecosistemi delle acque profonde, per proteggere gli oceani e mitigare il cambiamento climatico, e la promozione di investimenti nello sviluppo di soluzioni di economia circolare.
Quali sono le aziende che operano in questo settore?
Secondo l’Environmental Justice Foundation, per il momento si tratta di un piccolo numero di compagnie minerarie private o pubbliche supportate da alcuni governi, la loro tesi è che l’attività mineraria sia necessaria per facilitare la transizione energetica verso un’economia a basse emissioni di carbonio.
Il nostro punto di vista è che sia necessario investire in soluzioni che concilino la riduzione delle emissioni con la preservazione della biodiversità.
L’azienda che nel 2021 ha presentato all’ISA la richiesta di iniziare l’attività mineraria di tipo commerciale nei fondali oceanici si chiama Nauru Ocean Resources ed è controllata da The Metals Company.
Quali saranno i prossimi passi?
La notizia della moratoria di un anno dell’attività di estrazione mineraria in acque profonde va nella giusta direzione. È comunque necessario mantenere alta l’attenzione su questo tema in quanto gli interessi in gioco sono enormi e la disputa su privatizzazione e sfruttamento delle risorse minerarie dei fondali marini è stato solo rimandata.