Gli ultimi dodici mesi hanno messo a dura prova i nervi degli investitori e la domanda con cui si apre il 2023 è quanto impiegheranno i mercati per riprendersi del tutto. Fornire una risposta non è semplice ma per avere un’idea più chiara di cosa aspettarsi dal nuovo anno occorre concentrarsi su tre fattori fondamentali: la crescita economica, l’inflazione e la politica monetaria.
Indice
Quando arriverà la recessione?
Per quanto riguarda la crescita economica, il 2022 è stato un anno peculiare in cui, soprattutto negli ultimi mesi, abbiamo assistito a un costante deterioramento degli indicatori del sentiment.
Lo scorso anno, nonostante la visione pessimista degli operatori, non abbiamo assistito a un diffuso peggioramento dell’economia, anzi i dati effettivi su consumi, mercato del lavoro, scorte, tasso di disoccupazione, immatricolazioni di automobili e affari immobiliari sono stati marginalmente positivi negli Stati Uniti e addirittura superiori alla media in Europa continentale.
Pensare ad un eccessivo pessimismo sui mercati sarebbe una semplificazione. Senz’altro l’aumento dell’inflazione ha creato una situazione imprevista, causando incertezza e panico nelle imprese. Non bisogna inoltre dimenticare che i dati di sentiment tendono ad anticipare le tendenze economiche e il fatto che, per il momento, l’economia mondiale abbia evitato una recessione non significa che non potrà verificarsene una nel corso del 2023. La buona notizia è che l’aspettativa di una contrazione dell’economia è già stata prezzata dai mercati, almeno in parte: prezzi e valutazioni azionarie sono infatti calati significativamente nel corso dell’anno, nonostante le società quotate siano riuscite a mantenere gli utili stabili. Ancora una volta, quindi, sembra esserci una discrepanza tra realtà e percezione. Lo scenario di una recessione non è mai stato tanto atteso come per il prossimo anno, con una probabilità stimata all’80% nell’Eurozona e al 65% negli Stati Uniti.
Questa potrebbe essere una buona notizia per gli investitori, dal momento che un rallentamento dell’attività economica (se lieve, come anche le proiezioni più pessimistiche sembrano suggerire) ridurrebbe la spinta al rialzo dei prezzi, allentando la pressione sulle banche centrali per inasprire la politica monetaria.
L’inflazione continuerà a rallentare?
L’aumento dei prezzi negli ultimi dodici mesi ha spinto le banche centrali ad alzare i tassi più rapidamente di quanto avrebbero voluto, dato l’attuale contesto economico, aumentando il costo del debito e del denaro e penalizzando sia le obbligazioni che le azioni. Inoltre, i problemi nelle catene di approvvigionamento e nella logistica e l’impennata dei prezzi energetici a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi sono particolarmente allarmanti alla luce della scarsa capacità della politica monetaria di controllare l’inflazione che ne deriva. Entrando nel 2023, l’aspettativa generale è che i prezzi tenderanno a normalizzarsi.
Come si può dedurre dal grafico sottostante che mostra la correlazione tra pressioni della catena di approvvigionamento, tempi di consegna delle merci e sorpresa inflazionistica, stiamo assistendo a una graduale riduzione dei colli di bottiglia dal lato dell’offerta.
Il rallentamento dell’attività economica inizierà probabilmente a influenzare il mercato del lavoro, che a sua volta avrà un impatto sui salari.
Infine, il rialzo dei tassi e la politica monetaria cominciano a manifestare i loro effetti. Il consenso è che l’inflazione abbia già raggiunto il picco negli Stati Uniti e sia vicina a raggiungerlo anche in Europa come si può notare dai grafici sotto.
Se è troppo presto per affermare che l’inflazione sia stata domata, è pur vero che la traiettoria dei prezzi sia diventata più prevedibile. Ecco rappresentate le tre traiettorie possibili:
Negli ultimi mesi i mercati temevano che la crescita dei prezzi potesse andare fuori controllo ma la normalizzazione dei problemi strutturali unita a politiche monetarie efficaci sta riducendo la sorpresa inflazionistica, aprendo uno scenario positivo per gli investitori.
Politica monetaria: diventerà un fattore positivo?
Il rallentamento dell’inflazione allenta la pressione sulle banche centrali. Il grafico sottostante illustra l’evolversi della previsione degli aumenti dei tassi della Fed per i prossimi dodici mesi: la stretta monetaria sta raggiungendo il suo apice sia nelle economie emergenti che in quelle sviluppate grazie alle buone notizie arrivate dal fronte dell’inflazione.
Più l’inflazione rientrerà sotto controllo, più il focus delle banche centrali si sposterà sulla crescita invece che sul controllo dei prezzi. Allo stesso modo, con il passare delle settimane, uno scenario recessivo con inflazione fuori controllo e banche centrali in difficoltà a causa di tassi troppo bassi diventa meno probabile.
Le banche centrali riusciranno a intervenire e sostenere il mercato in caso di recessione? Il consenso sembra indicare di sì, soprattutto negli Stati Uniti. Allo stato attuale delle cose, la traiettoria dell’economia potrebbe rendere realistico un atterraggio relativamente morbido, ma l’aereo non ha ancora toccato terra e molto potrebbe ancora andare storto.
Dove ci lascia tutto questo?
Una potenziale sopravvalutazione da parte dei mercati della capacità della Federal Reserve di calmare l’inflazione è certamente un rischio. Inoltre, esiste la possibilità di una recessione più forte del previsto che potrebbe creare una certa instabilità all’interno del sistema finanziario. Con il deterioramento della situazione economica, la pressione sugli utili aumenterà e le aziende potrebbero dimostrarsi meno resilienti che in passato. Il mercato immobiliare è sotto pressione in varie economie sviluppate, senza contare le sfide politiche e geopolitiche che caratterizzano l’attuale panorama internazionale.
Per tutti questi motivi, le prospettive per gli investitori rimangono complesse, ma sono comunque presenti opportunità per generare rendimenti a lungo termine. Le valutazioni di mercato sono allettanti e, in particolare per le obbligazioni, sono migliori rispetto a tutti gli altri anni in cui Moneyfarm ha svolto il suo processo asset allocation strategica (l’annuale revisione delle aspettative delle asset class nei suoi portafogli). Questa è sicuramente una buona notizia per gli investitori. Prima di aumentare l’esposizione al rischio dei portafogli, tuttavia, occorre che i mercati continuino sulla traiettoria promettente degli ultimi mesi. La sfida è bilanciare le prospettive di lungo termine con i rischi di breve, sia per quanto riguarda la duration che per quanto riguarda l’esposizione azionaria.