Nelle scorse settimane l’Agenzia spaziale europea (ESA) ha annunciato che il buco dell’ozono sull’Antartide si sta allargando e ha raggiunto la dimensione di 26 milioni di chilometri quadrati, quasi tre volte la superficie del Brasile. Si tratta di una delle estensioni più grandi mai registrate, la decima per grandezza raggiunta negli anni. Il record assoluto c’è stato nel 2000, con circa 30 milioni di chilometri quadrati. “Ed è allarme a oltre 40 anni dalla scoperta del buco dell’ozono che, come noto, è una delle cause principali del climate change perché l’ozono, gas presente in atmosfera, è in grado di bloccare i raggi ultravioletti più nocivi”, spiegano Andrea Marano e Raffaele Mellone, co-Ceo di Fiee Sgr, società italiana di private equity che gestisce fondi di investimento per investitori istituzionali dedicati ai settori dell’efficienza energetica, della transizione energetica e dell’utilizzo della produzione di fonti rinnovabili in Italia e all’estero.
A causare questo disastro ecologico sono stati in gran parte i gas refrigeranti usati dall’uomo, fino agli anni ‘80 i refrigeranti sintetici CFC (gas clorofluorocarburi). In questo approfondimento, i due analisti esplorano il mondo dei gas refrigeranti e dei loro effetti su ambiente e Pianeta.
Indice
- 1 Verso l’eliminazione graduale dei gas idrofluorocarburi: la normativa europea
- 2 Come si calcola l’impatto dell’effetto serra sul climate change: i refrigeranti naturali
- 3 La carica dei refrigeranti naturali per ridurre l’effetto serra
- 4 Investire nel futuro della refrigerazione: il fondo IEEF II di Fiee Sgr
Verso l’eliminazione graduale dei gas idrofluorocarburi: la normativa europea
Dagli anni ’80 in poi l’industria chimica ha cercato un sostituto dei refrigeranti sintetici CFC, trovandolo prima negli HCFC (idroclorofluorocarburi) e poi negli HFC (idrofluorocarburi). In seguito, però, si è scoperto l’effetto serra causato dalle molecole di HFC. “Insomma, i refrigeranti sintetici erano un errore, perché, sebbene semplici da usare e apparentemente più efficienti si sono rivelati, però, estremamente dannosi per l’ambiente”, affermano Marano e Mellone.
Non è un caso che fin dal 2014 l’UE si sia adoperata per limitare l’uso di questi gas con il regolamento F-Gas, che viene periodicamente rivisto e corretto in base ai nuovi obiettivi di decarbonizzazione e di transizione energetica. Ed è recentissimo, risale, infatti, allo scorso 5 ottobre 2023, l’accordo provvisorio raggiunto dai negoziatori del Consiglio e del Parlamento Europeo sulla diminuzione graduale delle sostanze che causano il riscaldamento globale e riducono lo strato di ozono, con l’obiettivo di arrivare, passo dopo passo, al bando totale. La legislazione vigente dell’UE limita già in modo significativo l’uso di gas fluorurati, ma le nuove norme ridurrebbero ulteriormente le loro emissioni nell’atmosfera e contribuirebbero a limitare l’aumento della temperatura a livello mondiale, in linea con l’accordo di Parigi.
In base a questa intesa provvisoria, l’eliminazione graduale del consumo di idrofluorocarburi (HFC) sarà completata entro il 2050 e la produzione di HFC, in termini di diritti di produzione assegnati dalla Commissione, verrà gradualmente diminuita, raggiungendo un livello minimo (15%) a partire dal 2036. Il testo introduce un divieto totale di immissione sul mercato di diverse categorie di prodotti e apparecchiature che contengono HFC, compresi alcuni frigoriferi domestici, refrigeratori, schiume e aerosol. Inoltre, anticipa alcune scadenze per il divieto ed estende quest’ultimo a prodotti che utilizzano gas fluorurati con un potenziale di riscaldamento globale (GWP) inferiore. È infine introdotto un divieto totale per pompe di calore e apparecchiature di condizionamento d’aria monoblocco di piccole dimensioni.
Come si calcola l’impatto dell’effetto serra sul climate change: i refrigeranti naturali
Una soluzione definitiva per sostituire l’HFC non si è ancora trovata, anche se la direzione è tracciata. La pressione normativa e quella ambientale sono inesorabili e spingono verso la ricerca di un nuovo elemento per refrigerare che non sia dannoso. La comunità scientifica utilizza un indice, il potenziale di riscaldamento globale (GWP dall’inglese Global Warming Potential), per calcolare il contributo all’effetto serra di un singolo gas, rispetto a quello provocato dalla CO2 in diversi intervalli di tempo (in genere 20, 100 o 500 anni).
Il GWP è calcolato a sua volta sulla base di due parametri: l’IF l’impact factor di ogni molecola presente in un gas e l’IS che è la sintesi di tutti gli IF. “Per semplificare: ogni emissione gassosa è costituita da una miscela di gas. Ciascun gas sarà caratterizzato da un IF calcolato in rapporto al potenziale effetto serra della CO2 (che quindi avrà IF=1). Considerando il GWP100, il metano ha IF=25, ovvero in un periodo di cento anni una molecola di metano ha un potenziale effetto serra in atmosfera uguale a venticinque molecole di anidride carbonica. Moltiplicando la concentrazione di metano presente nell’emissione per 25, si otterrà l’IS del metano, ovvero il singolo contributo del metano all’effetto serra”, spiegano i due esperti di Fiee Sgr.
I “refrigeranti naturali”, così detti perché sono sostanze che si trovano in natura, come l’ammoniaca (NH3), l’anidride carbonica (CO2) e gli idrocarburi (propano o isobutano), contribuiscono solo in minima parte al riscaldamento globale (il loro GWP varia da 0 a 5,5). Sono, inoltre, economici da produrre, disponibili ed efficienti.
La carica dei refrigeranti naturali per ridurre l’effetto serra
Da tempo il mondo della refrigerazione industriale e commerciale lavora a stretto contatto con le istituzioni per rendere sempre più rigorosi i limiti delle emissioni di gas clima-alteranti per ridurre l’impatto ambientale del settore della refrigerazione e proponendo di valorizzare le tecnologie innovative di cui il comparto dispone, con un ricorso sempre maggiore ai refrigeranti naturali. “È un ritorno al passato, perché fino agli anni ’30 del secolo scorso erano usati in prevalenza nell’industria allora nascente della refrigerazione”, puntualizzano Marano e Mellone. Secondo loro, è chiaro che il futuro delle tecnologie HVACR (Heating, Ventilation, Air Conditioning, Refrigeration) passerà da questa direzione, e dal punto di vista degli investitori posizionarsi sui pionieri della ricerca in questo settore può offrire rendimenti interessanti nel medio-lungo termine.
Investire nel futuro della refrigerazione: il fondo IEEF II di Fiee Sgr
Per contribuire alla diffusione di sistemi di refrigerazione innovativi e più sostenibili e di svolgere un ruolo chiave nello sviluppo di piattaforme per la transizione energetica, Fiee Sgr ha lanciato nel 2020 l’Italian Energy Efficiency Fund II – (IEEF II), il secondo fondo di investimento alternativo chiuso della Sgr.
Il fondo ha una dotazione di 201,4 milioni di euro, e ha in portafoglio 5 società. Tra queste, Cold Chain Capital, holding italiana fondata nel 2019 con l’obiettivo di costruire Enex Technologies, un operatore leader in Europa nelle tecnologie HVACR innovative e a basso impatto ambientale, tramite l’acquisizione, l’integrazione o lo sviluppo di medio piccoli operatori del settore. Oggi l’azienda fattura 200 milioni di euro, ha 1.000 dipendenti in 12 siti produttivi (Italia, Francia, Spagna e Slovacchia), ed è l’unico player che dispone di sistemi alimentati da tutti e 4 i refrigeranti naturali (ammoniaca, CO2, propano e H20), che andranno nel prossimo futuro a sostituire i refrigeranti chimici.
“Le prime due acquisizioni effettuate da Cold Chain Capital sono state completate in Italia”, spiegano i due. In particolare, ad inizio 2020 sono state acquisite Roen Est ed Enex. Enex è una realtà basata nel trevigiano, che nel 2004 ha aperto la strada alla tecnologia di refrigerazione a CO₂ in tutto il mondo, rivoluzionando il settore e affermandosi come leader in fatto di eccellenza tecnologica. Più di 3.000 impianti Enex di refrigerazione e condizionamento industriali e commerciali a CO₂ transcritica operano in tutta Europa in qualsiasi condizione climatica. Le 10 aziende acquisite da Enex Technologies negli ultimi 3 anni combinano 400 anni di storia, partendo dal 1934 con la produzione delle prime apparecchiature di refrigerazione naturale ad ammoniaca, aggiungendo in seguito CO2, propano e acqua come refrigeranti naturali con un basso potenziale di riscaldamento globale. Le soluzioni Enex Technologies sono installate in complessi direzionali, hotel, ospedali, supermercati, centri distributivi e di stoccaggio refrigerati, data-center e molte altre applicazioni commerciali ed industriali. “Si tratta di un risultato importante, in quanto secondo la Commissione europea gli edifici dell’UE sono responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di gas a effetto serra. Alimentarli con refrigeranti meno impattanti degli idrofluorocarburi può cambiare le cose in maniera radicale”, concludono gli esperti della Sgr.