Rapporto ONU

Il buco dell’ozono si chiuderà entro il 2040

Il buco dell’ozono terrestre, il pericolo ambientale più temuto dall’umanità negli ultimi decenni, è destinato a risanarsi completamente entro vent’anni a seguito di un’azione decisa da parte dei governi per eliminare gradualmente le sostanze che riducono lo strato di ozono (i cosiddetti Cfc, clorofluorocarburi). È quanto emerge dall’ultimo report dell’ONU che ogni quattro anni monitora i progressi del Protocollo di Montreal, lo strumento operativo dell’UNEP (Programma Ambientale delle Nazioni Unite) entrato in vigore nel 1989 per l’attuazione della Convenzione di Vienna “a favore della protezione dell’ozono stratosferico”.

Secondo il rapporto, la perdita dello strato di ozono, che rischiava di esporre le persone ai dannosi raggi ultravioletti del sole, sarà completamente ripristinata entro il 2040 in tutto il mondo, ad eccezione delle regioni polari. Per i poli, infatti, ci vorrà un po’ più di tempo: lo strato di ozono si riprenderà completamente entro il 2045 nell’Artico e entro il 2066 nell’Antartico.

Nell’immagine di seguito resa disponibile dalla NASA si osservano le aree di ozono sopra l’Antartide nel 2000 a sinistra e nel 2018 a destra: i colori viola e blu sono quelli in cui c’è meno ozono, mentre i gialli e i rossi sono quelli in cui c’è più ozono. Osservando l’immagine salta agli occhi che i progressi in quest’area della Terra sono piuttosto lenti.

Fonte: NASA.

Dopo l’allarme per la perdita di ozono lanciato a metà anni ’80, lo strato di questo gas è migliorato costantemente sulla scia del Protocollo di Montreal, l’accordo internazionale che ha contribuito a eliminare il 99% delle sostanze chimiche che riducono lo strato di ozono, come i clorofluorocarburi utilizzati come solventi e refrigeranti.

L’ONU ha dichiarato che l’azione intrapresa per lo strato di ozono ha anche rafforzato la risposta alla crisi climatica: i Cfc, infatti, sono anche gas a effetto serra e il loro uso continuato e incontrollato avrebbe aumentato le temperature globali di ben 1°C entro la metà del secolo, peggiorando una situazione già disastrosa in cui i gas che riscaldano il pianeta non sono ancora diminuiti.

“L’azione a favore dell’ozono costituisce un precedente per l’azione a favore del clima”, ha dichiarato Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, che ha presentato il rapporto dell’ONU sui progressi compiuti. “Il nostro successo nell’eliminare gradualmente le sostanze chimiche che danneggiano l’ozono ci mostra cosa si può e si deve fare con urgenza per abbandonare i combustibili fossili, ridurre i gas serra e quindi limitare l’aumento della temperatura”.

Secondo David Fahey, scienziato della National Oceanic and Atmospheric Administration e autore principale della nuova valutazione, l’accordo di Montreal dovrebbe essere considerato “il trattato ambientale di maggior successo della storia e incoraggia i Paesi del mondo a riunirsi, decidere un risultato e agire di conseguenza”.

Nonostante i progressi raggiunti, vi sono alcune criticità che solo il tempo può risolvere: sebbene i Cfc siano stati via via eliminati dal sistema di produzione mondiale, le sostanze chimiche permangono nell’atmosfera per circa un secolo. “È un po’ come aspettare che la vernice si asciughi, bisogna solo aspettare che la natura faccia il suo dovere ed elimini queste sostanze chimiche”, ha spiegato Fahey.

La sfida è ancora più grande quando si tratta di gas serra come l’anidride carbonica, che rimangono nell’atmosfera molto più a lungo e, a differenza dei Cfc che erano prodotti da poche aziende, le emissioni provenienti dai combustibili fossili sono molto più diffuse e incorporate in quasi tutte le attività delle società odierna. “La CO2 è di un altro ordine di grandezza per quanto riguarda la sua longevità, il che è preoccupante”, ha aggiunto Fahey, “far sì che ogni persona sul pianeta smetta di bruciare combustibili fossili è una sfida molto diversa”.

Un altro elemento interessante dell’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui progressi compiuti è che è il primo a esaminare il potenziale impatto sullo strato di ozono della geoingegneria solare, una proposta di intervento sul clima in cui particelle riflettenti, come lo zolfo, vengono spruzzate in massa nell’atmosfera per deviare la luce solare e quindi ridurre il riscaldamento globale. La controversa pratica, conosciuta come iniezione di aerosol stratosferici, ha il potenziale per ridurre le temperature globali ma potrebbe avere “conseguenze indesiderate, tra cui effetti sull’ozono”, si legge nel rapporto, che tuttavia riconosce “molte lacune e incertezze nella conoscenza che impediscono al momento una valutazione più solida“.

Si tratta di interventi sul clima delicati che coinvolgono l’etica e la governance dei Paesi e, dunque, non facili da attuare.