Analisi e approfondimenti

Emissioni di carbonio: l’ABC per investitori

Net zero e decarbonizzazione. Due termini entrati oramai nel linguaggio comune degli investitori quanto quelli più strettamente finanziari. Comprendere quali sono le principali variabili che influiscono il possibile valore degli asset e i rischi relativi ai fattori ambientali, in particolare derivanti dagli effetti dei gas serra sull’atmosfera, sono elementi indispensabili per valutare le proprie scelte di investimento. Seguendo l’input fornito da Blair Reid, Partner, Senior Portfolio Manager, Multi-Asset Credit & Income di BlueBay, asset manager attivo e specializzato nel reddito fisso che integra il meglio della gestione tradizionale e di quella alternativa, proponiamo di seguito un glossario dei concetti, associati al carbonio, più importanti e utili agli investitori obbligazionari che intendono finanziare e promuovere un’economia a basse emissioni e comprendere la direzione da prendere per gli investimenti futuri.

Gas a effetto serra

C’è un motivo se nel corso del tempo il Pianeta Terra ha raggiunto la temperatura media attuale che ha permesso lo sviluppo della vita come la conosciamo oggi. Questa motivazione è la presenza in atmosfera dei cosiddetti gas a effetto serra.

Tali gas (tra cui i principali sono il biossido di carbonio – CO2, il metano – CH4, il protossido di azoto N2O e il vapore acqueo – H2O), infatti, invisibili ai raggi ultravioletti, lasciano passare le radiazioni solari che raggiungono la superficie terrestre, la quale riemette l’energia ricevuta sotto forma di raggi infrarossi, mentre una parte è trattenuta in atmosfera dai gas a effetto serra. Questo fenomeno permette di mantenere la temperatura media di superficie, oggi pari a circa 15 gradi, e contribuisce a determinare il bilancio energetico terrestre (la differenza tra l’energia che la Terra riceve dal Sole e l’energia che la Terra irradia nello spazio).

CO2 equivalente: emissioni globali e nazionali

La situazione ha cominciato a complicarsi quando, a partire dalla prima rivoluzione industriale, le emissioni di gas serra causate dalle attività antropiche hanno iniziato ad aumentare con molta velocità.

In maniera convenzionale si parla di CO2 equivalente (CO2e) per indicare l’impatto sul riscaldamento globale di una certa quantità di gas serra rispetto alla stessa quantità di anidride carbonica. Per esempio, il metano ha un fattore di conversione pari a 25. Questo significa che 1kg di metano = 25kg di CO2e e quindi che emettere un kg di metano contribuisce al riscaldamento globale al pari dell’emissione di 25 kg di CO2. Ogni anno l’uso di combustibili fossili per la produzione di energia e di cemento determina l’emissione di 36 miliardi di tonnellate di CO2.

Nella figura è mostrato il contributo per nazione. Se a questo dato si aggiungessero le emissioni derivanti anche da altri settori, come ad esempio l’agricoltura, l’allevamento e le altre attività antropiche che producono metano, ossidi di azoto e GHG (Greenhouse Gases), si constaterebbe come ogni anno sono emesse 50 miliardi di tonnellate di CO2e a causa delle azioni umane.

Carbon footprint: production based vs consumption based

L’impronta di carbonio (carbon footprint) è un indicatore che permette di stimare le emissioni in atmosfera di gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente. Ci sono due metodologie per attribuire la responsabilità delle emissioni: la prima è basata sulle produzioni (production-based approach), la seconda sui consumi (consumption-based approach).

Nel primo caso, dunque, si calcolano le emissioni derivanti dalla produzione di beni e si assegnano al paese in cui tali beni sono prodotti, indipendentemente dal luogo in cui questi saranno poi esportati (e quindi consumati); nel secondo invece le emissioni sono attribuite al paese che consuma i beni, indipendentemente da dove sono stati prodotti. Per effettuare questo tipo di analisi è necessario tracciare lo scambio di beni che avviene tra le nazioni, conoscere quindi il valore delle importazioni e delle esportazioni, e attribuire a questi le emissioni di CO2e.

I risultati di questi approcci possono essere molto differenti e raccontarci storie diverse. Ad esempio, dal grafico precedente si nota come la Cina sia, dal punto di vista della produzione, il maggiore responsabile (28%) delle emissioni globali totali, seguito dagli Stati Uniti (14%). In Cina però parte dell’energia viene utilizzata per la produzione di beni che non sono poi consumati nel paese, bensì esportati. Se si guardassero dunque le stime precedenti dal punto di vista dei consumi, alla Cina sarebbe attribuito il 14% in meno delle emissioni, mentre agli USA l’8% in più.

Investimenti: approccio risk based versus financed emission

Gli investitori fanno sempre più attenzione alla carbon footprint dei loro investimenti e all’osservazione di quel valore nel tempo. Per gli investimenti in azioni è facile determinare la frazione di emissione per cui un azionista è responsabile perché è chiara la propria quota di proprietà di una società. Al contrario, la questione si complica quando si parla di obbligazioni, perché la frazione di cui un investitore è proprietario è più difficile da identificare e può cambiare nel tempo.

Ad ogni modo, esistono due metodi per attribuire le emissioni a un portafoglio obbligazionario. Il primo (approccio risk based) si determina calcolando l’intensità di carbonio e dunque la quantità di emissioni prodotte da una società per unità di misura, per esempio 1 milione di dollari di vendite. Questo permette di comparare le società di uno stesso settore, e di calcolare l’intensità di carbonio di un portafoglio, intesa come media pesata o, in inglese, WACI (Weighted Avarage Carbon Intensity) e si ottiene moltiplicando il peso di ciascun bond in un portafoglio per l’intensità di carbonio associata a 1 milione di dollari di vendite, come mostrato di seguito.

 PesoIntensità di carbonio per 1mn $ di venditeWACI
Bond 110%15015
Bond 225%5413.5
Bond 315%60.9
Bond 420%173.4
Bond 530%123.6
Portafoglio100% 36.4

Nell’esempio in tabella, il WACI del portafoglio per 1 milione di dollari in vendite è pari a 36.4 tonnellate di CO2. Osservando le intensità di carbonio un investitore può diminuire il peso di una determinata obbligazione (bond) nel portafoglio, ridurre l’esposizione agli emittenti a forte consumo di carbonio e monitorare i progressi nel tempo.

La seconda metodologia, invece, è legata al calcolo delle cosiddette emissioni finanziate (approccio financed emissions) e dunque alla frazione di emissioni che l’investitore ha finanziato. Questo richiede di misurare il valore totale (EVIC) di un emittente di obbligazioni, considerando anche il capitale proprio e il valore in contanti, come mostrato nell’immagine seguente.

Intensità del carbonio e compagnie petrolifere

Un punto importante da sottolineare è che l’intensità di carbonio non dà sempre informazioni reali circa il miglioramento di una società in termini di riduzione delle emissioni.

Se si prende in considerazione, ad esempio, una compagnia petrolifera nel caso in cui il prezzo del petrolio raddoppi, a parità di tutte le altre condizioni (e quindi emissioni prodotte per litro di petrolio), l’intensità del carbonio dimezza. Un investitore può pensare che ci sia stato un miglioramento in termini di efficienza e/o di quantità di gas serra prodotti, quando in realtà tutto ciò che è accaduto è che il prezzo del petrolio è aumentato e quindi a un milione di dollari di prodotto venduto corrisponde la metà dei litri di petrolio.

Come calcolare la carbon footprint delle attività produttive

Un numero sempre maggiore di società calcola la propria carbon footprint (o sta iniziando a farlo). Un investitore, auspicabilmente, è interessato in primo luogo alle emissioni correnti e in secondo luogo all’andamento di queste previsto nel tempo e, dunque, alle azioni che un’impresa intende introdurre per ridurle. Calcolare il proprio impatto in termini di emissioni di CO2e può non essere così facile, perché molto dipende dal livello di inclusione che si attua.

Esistono tre schemi principali di riferimento (in figura):

Scope 1: si considerano le emissioni dirette, ossia quelle che sono possedute o controllate dalla società che sta effettuando il calcolo

Scope 2: si considerano le emissioni indirette, ossia quelle derivanti dallaproduzione di elettricità, acquistata dall’azienda in questione e utilizzata a diversi fini (riscaldamento, condizionamento, produzione).

Scope 3: si considerano le emissioni indirette che non sono già state incluse, e che si verificano lungo la catena del valore, sia a monte che a valle, come ad esempio derivanti dal pendolarismo dei dipendenti, o dall’utilizzo dei prodotti venduti.

Fonte: GHG Protocol

Ad oggi, l’intensità di carbonio include solo le emissioni scope 1 e 2; non vi è ancora concordanza nelle modalità per calcolare le emissioni scope 3, motivo per cui nella maggior parte delle regolamentazioni il calcolo è ancora volontario, ma c’è uno sforzo di omologazione in questa direzione considerando l’impatto che questa ha sul valore della footprint. Si pensi ad esempio alle compagnie petrolifere: assegnare le emissioni associate all’uso del prodotto venduto aumenta in maniera esponenziale il risultato finale.

Emissioni e valutazioni ESG

‘L’ambiente’ è solo uno degli elementi (la E di Environmental) che compone le considerazioni sui fattori ESG (Environmental – Social – Governance) e l’impatto in termini di emissioni di gas serra è solo uno degli aspetti con cui un investitore può valutare i risultati ambientali complessivi di un emittente obbligazionario. La domanda naturale che segue è quanto sono influenti le emissioni nella E di ESG e quale ponderazione ha E in un punteggio complessivo ESG?

La risposta è che la ponderazione complessiva data alle emissioni in un punteggio ESG varia da azienda in azienda. Quando BlueBay riferisce ai clienti sulle caratteristiche ESG dei loro investimenti, lo fa tramite due obiettivi: il punto di vista proprietario e quello esterno. BlueBay ha una serie di fornitori di dati esterni per l’ESG e l’immagine seguente illustra, per un fornitore di dati leader del settore, l’importanza data alle emissioni nei loro calcoli ESG generali, confrontando le differenze tra una società energetica e una banca. In ogni caso questo è un esempio illustrativo perché la ponderazione, dunque il peso specifico attribuito ad E ed alle emissioni all’interno della E, dipende molto da caso a caso anche all’interno di uno stesso settore.

Come calcolare la carbon footprint delle nazioni

Per gli investimenti in titoli di Stato, l’approccio più usato nel calcolo della carbon footprint è quello risk based. Come per le obbligazioni societarie, si normalizzano i risultati a livello nazionale esprimendo le emissioni in funzione di un parametro, ad esempio emissioni per PIL o emissioni pro capite. Pertanto, riprendendo il concetto di intensità di carbonio, le misure comuni sono:

  • Intensità di emissioni per PIL (tonnellate di CO2e per 1 milione di dollari di PIL)
  • Intensità di emissioni per persona (tonnellate di CO2e per persona)
Portafogli che combinano obbligazioni societarie e governative

Dal momento che le metriche sono differenti, non è possibile confrontare i valori di intensità del carbonio di una società e quelle di una nazione. Un investitore che intende migliorare l’impronta di carbonio complessiva di un portafoglio che investe sia in obbligazioni societarie che in titoli di Stato non può sapere facilmente se la negoziazione di un corporate bond per un titolo sovrano, o viceversa, in realtà aiuti nel mondo reale in termini di impronta di carbonio. Tuttavia, la maggior parte dei portafogli obbligazionari ha un benchmark a cui si può fare riferimento, sebbene anche in questo caso con dei limiti di interpretazione sull’impatto reale. Da questo punto di vista l’applicazione della nuova normativa europea SFDR avrà grande rilevanza.

Transizione energetica: cos’è e come finanziarla

Il sistema economico in cui viviamo e la maggior parte delle attività che effettuiamo quotidianamente richiedono l’utilizzo di un’elevata quantità di energia che ad oggi viene prodotta tramite i combustibili fossili. Passare all’uso di fonti rinnovabili nella produzione energetica richiede alti investimenti.

Bloomberg ha stimato che la transizione globale potrebbe richiedere fino a 73mila miliardi di dollari (circa sei volte il debito nazionale americano attuale) per l’approvvigionamento energetico e gli investimenti infrastrutturali nei prossimi 30 anni. Questa potrebbe essere una buona opportunità per gli investitori obbligazionari visto che la transizione sarà finanziata attraverso i mercati del debito. Inoltre, un aspetto importante è quello di considerare le materie prime e l’attività industriale necessarie per produrre un certo quantitativo di energia per fonte utilizzata (vento, sole, batterie, etc.). Questo è importante per differenziare il tipo di emissioni associate a un portafoglio.

Ad esempio, per generare 1 gigawatt di energia solare sono necessarie 10.252 tonnellate di alluminio, 18,5 tonnellate di ferro e 3.380 tonnellate di polisilicio. La produzione e l’estrazione di questi materiali determina a propria volta emissioni di gas serra. La tendenza, dunque, a ridurre l’intensità di carbonio di un portafoglio a prescindere dalle attività finanziate potrebbe inviare segnali distorti sul mercato. Le emissioni generate per l’estrazione di alluminio utilizzato per produrre energia rinnovabile non dovrebbero avere lo stesso peso di quelle legate all’estrazione di sabbia bituminosa. BlueBay cerca di inglobare tale riflessione favorendo proposte di investimento di emittenti che contribuiscono alla transizione energetica e riducendo l’esposizione degli investimenti in attività ad alta emissione di carbonio non coinvolte in questo tipo di azioni.

Zero emissioni nette

Con l’espressione Zero emissioni nette (net-zero emissions) si intende il raggiungimento dell’equilibrio tra la quantità di gas serra prodotta e la quantità rimossa dall’atmosfera. Questo si ottiene riducendo le emissioni al minimo possibile e compensando le emissioni residue generate sottraendole dall’atmosfera.

Compensare le emissioni

Non esiste ancora una regolamentazione chiara riguardante la compensazione delle emissioni. Le metodologie più utilizzate sono la piantumazione di alberi e il finanziamento di progetti di energia rinnovabile in paesi in via di sviluppo. Per quanto riguarda la riforestazione sono da considerare due aspetti fondamentali: il primo è che dal momento della semina un albero impiega circa 10 anni per iniziare ad assorbire CO2 quindi c’è una discrepanza temporale tra il momento in cui si finanzia la compensazione e quando effettivamente questa avrà luogo. Il secondo è che la quantità di emissioni assorbite da un albero, una volta raggiunta la maturità, attraverso il processo di fotosintesi è permanente.

Carbon Capture and Storage

La tecnologia CCS(Carbon Capture and Storage) permette di catturare la CO2 dall’atmosfera e immagazzinarla sottoterra. Attualmente ci sono molti progetti in questa direzione, ad esempio quello Orca vicino a Reykjavik che rappresenta il più grande impianto al mondo e ha iniziato a operare a settembre 2021. In realtà la tecnologia di base esiste da molto tempo; al momento però ha una capacità di 4000 tonnellate di CO2 all’anno. La sfida è aumentarne la prestazione e rendere tale strumento finanziariamente redditizio. Inoltre, la sicurezza dello stoccaggio sotterraneo deve essere ben valutata.

Greenwashing

Vi è un forte accento su questo aspetto da molte fonti, in particolare da parte delle autorità di regolamentazione. Nel prossimo decennio, l’emissione di obbligazioni per finanziare la transizione energetica rappresenterà una quota significativa dell’emissione totale. Garantire l’affidabilità degli emittenti obbligazionari è un aspetto fondamentale.

Reporting

Uno strumento fondamentale per far sì che gli investitori siano in grado di prendere decisioni sulla base delle analisi riguardanti l’impronta di carbonio è tenere traccia dei dati, sebbene, come si è visto, i calcoli e le informazioni disponibili possono essere complesse. La sfida dei gestori patrimoniali è di rendere le analisi e la reportistica quanto più comprensibili possibile.Mentre sempre più paesi e aziende concordano le date di raggiungimento degli obiettivi net-zero e i piani per la riduzione delle emissioni, c’è una grande spinta per produrre reportistica sugli emittenti rispetto al loro allineamento agli obiettivi climatici. Questo approccio fornisce un valido strumento di previsione.