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Impatti finanziari

Cerved: quanto costa non investire nella transizione climatica

Non investire nella transizione climatica costa e il prezzo da pagare per l’inazione aumenta tanto più si rimandano gli investimenti. Come hanno dimostrato i danni in Emilia Romagna, gli eventi fisici estremi, dalle alluvioni alle frane rappresentano una seria minaccia a livello sociale e finanziario. Le imprese che non adotteranno rapidamente provvedimenti per gestire la transizione climatica avranno nel 2050 il 25% in più di probabilità di default rispetto a oggi e il 44% in più di chi invece investe fin da ora.

Inoltre, per le aziende ad alto rischio fisico (di cui oltre l’8% è concentrato soprattutto in Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Valle d’Aosta e lungo tutto l’Appennino) si prospetta al 2050 una crescita dei costi annui per la ricostruzione di impianti e strutture pari all’1,6% dell’attivo e dei premi assicurativi fino al 3% del fatturato. È quanto emerge da uno studio sulle PMI italiane realizzato da Cerved, tech company italiana, che, prendendo a esempio il Climate Stress Test promosso dalla BCE per valutare la resilienza delle aziende e delle banche ai rischi climatic, ha integrato gli input forniti dalla banca centrale europea e proiettato al 2050 i bilanci individuali delle imprese, estrapolando variabili chiave come emissioni, consumi energetici, esposizione al rischio fisico.

Tre sono stati gli scenari a confronto: transizione “ordinata” (orderly), che procede in modo regolare e concentra i maggiori investimenti nel primo decennio, “disordinata” (disorderly), in cui gli interventi vengono posticipati nel 2030-40, con costi più elevati nel medio termine, e scenario “serra” (hot house), in cui si interviene scarsamente, con un conseguente aumento della frequenza e della severità degli eventi fisici.

Fonte: Cerved

“Secondo le nostre stime, l’investimento che le PMI italiane dovrebbero sostenere per finanziare fin da ora il processo di transizione è di circa 203 miliardi di euro entro il 2050, di cui ben 137, cioè il 67%, nei prossimi 8 anni” ha commentato Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, “La fetta più consistente riguarda il Nord (73,7 miliardi nel Nord Ovest e 54,8 nel Nord-Est), dove si concentra la gran parte delle attività produttive, ma è al Sud che si deve intervenire subito anche con un adeguato sostegno, per non incidere sui bilanci e aggravare le situazioni finanziarie più fragili.  Una transizione ‘ordinata’” ha continuato Mignanelli, “nonostante l’alto impatto nel breve termine, rappresenta la scelta migliore considerando gli andamenti economici e le prospettive di rischio, ma richiede la partecipazione attiva di tutti gli attori, dal sistema politico a quello produttivo e bancario”.

Fonte: Cerved

Nello scenario disordinato si parte con dieci anni di ritardo, e la quota preponderante di investimenti (134,5 miliardi di euro) si concentra tra il 2030 e il 2040. Nello scenario “serra”, o hot house, si sceglie invece di fare molto poco, investendo appena 121,4 miliardi entro il 2050. Ma non si tratta di un risparmio, infatti l’inadempienza aumenta in modo esponenziale il rischio fisico, a partire dal 2040, con conseguente maggiore probabilità di rischio di default e costi molto più alti per le relative ricostruzioni e i premi assicurativi. Non a caso, le emissioni di CO2, che nei primi due scenari finiscono per equivalersi al 2050 tendendo a zero, nello scenario “serra” subiscono una variazione ben poco significativa rispetto ad oggi.

Fonte: Cerved

È il rischio fisico, infatti, a fare la differenza tra i tre scenari, considerando che anche a causa della conformazione naturale della nostra penisola le PMI si collocano per oltre l’8% nella fascia di rischio fisico alto o molto alto (Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Valle d’Aosta e la dorsale Appenninica) e per il 13,2% in quella di rischio medio.

Gli investimenti portano nel lungo periodo a una riduzione della probabilità di default negli scenari con transizione “ordinata” e “disordinata”, che è invece decisamente in crescita nello scenario “serra”. In quest’ultimo scenario vi è un aumento del 25% di rischiosità al 2050 rispetto a oggi e un incremento del 44% rispetto allo scenario ordinato, in particolare nel Mezzogiorno (dove si passa dall’attuale 3% di rischio di default al 3,8%) e nel Centro (dal 2,9% al 3,7%).

Fonte: Cerved

Inoltre sono stati considerati, da un lato, i maggiori investimenti necessari alla ricostruzione di impianti e strutture colpiti da frane o da alluvioni, strettamente legate all’innalzamento della temperatura, e dall’altro la crescita dei premi assicurativi richiesti per coprire, almeno in parte, i danni. Nei primi due scenari la frequenza degli eventi negativi al 2050 aumenta solo marginalmente e il costo della ricostruzione raggiunge al massimo lo 0,1% dell’attivo per le PMI ad alto rischio, mentre le polizze non incidono oltre l’1,1% del fatturato. Al contrario, nello scenario “serra”, per le imprese ad alto rischio fisico queste percentuali salgono rispettivamente all’1,6% e al 3%.

Fonte: Cerved