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Ricerca di SRM-Intesa SP

Bioeconomia: il valore aggiunto in Italia è di circa 100 mld di euro

Il valore aggiunto della bioeconomia italiana è di circa 100 miliardi di euro ed impiega oltre due milioni di addetti. Questo è quanto emerge da una ricerca sulla filiera bioeconomica italiana elaborata da SRM, centro studi legato al gruppo Intesa Sanpaolo.

Con il 6,4% in termini di valore aggiunto e quasi l’8% per l’occupazione, l’Italia è fra i paesi in Europa a più alta incidenza della bioeconomia all’interno del sistema economico. Dall’analisi territoriale, il Nord Est è la prima area del Paese per valore aggiunto realizzato dalla filiera bioeconomica (29,6 miliardi di euro). Segue il Nord Ovest (28,3 miliardi di euro), il Mezzogiorno (24,4 miliardi di euro) ed infine il Centro (19,3 miliardi di euro). Osservando invece il numero di addetti, la prima area è quella meridionale con circa 732mila occupati, ossia il 36,5% del totale degli impiegati in questo settore a livello nazionale.

La filiera agro-alimentare rappresenta l’attività più rilevante della bioeconomia in tutte le aree geografiche e soprattutto al Sud dove il peso del valore aggiunto della filiera arriva quasi al 79% (rispetto al valore italiano pari a 62%) mentre quello degli addetti all’85,7% (valore italiano 70%).

L’analisi elabora una classifica delle regioni italiane basata sull’impronta bioeconomica, ossia sull’importanza sul Pil regionale dei settori completamente bio (come l’agroalimentare, il legno, la carta e l’idrico), insieme a quella dei settori parzialmente bio, dove l’output finale deriva solo in parte da prodotti di origine organica (come la chimica, i mobili, la farmaceutica, l’abbigliamento, la moda, gomma e plastica, l’elettricità e i rifiuti). L’impronta bioeconomica, dunque, insieme al livello di transizione bioeconomica, cioè Il passaggio, attraverso l’innovazione tecnologica, da produzione parzialmente bio a totalmente bio, stabiliscono la graduatoria delle regioni bio elaborata da SRM.

Lo studio rivela che la Toscana, le Marche e il Friuli Venezia-Giulia sono regioni più bio d’Italia, seguite da Veneto, Umbria ed Emilia-Romagna. Segue poi un secondo gruppo di regioni composto da Abruzzo, Puglia, Basilicata, Trentino Alto-Adige, Molise, Sardegna e Calabria, che si distingue per un’impronta bio elevata, al pari delle precedenti, ma con un più basso livello di transizione bioeconomica. Su quest’ultimo incide anche la dimensione innovativa del sistema produttivo che risulta maggiore nel primo gruppo; il punteggio in media, infatti, del Regional Innovation Scoreboard è pari a 116,6 per il primo gruppo di regioni e 95 per il secondo.

Seguono poi, con un’ancora più bassa impronta bio dell’economia e con livelli di transizione tecnologica variabili, la Campania, la Lombardia, il Piemonte e la Sicilia, mentre agli ultimi posti si piazzano Lazio, Liguria e Valle d’Aosta. La Lombardia, la Campania ed il Lazio, però, si caratterizzano per una maggiore diversificazione produttiva (rispetto alle regioni delle rispettive macroaree) ed una più articolata e variegata specializzazione industriale, che possono penalizzarle nella valutazione del reale ruolo nella bioeconomia.

“La Bioeconomia è una filiera che si alimenta negli ambienti innovativi. La sua crescita è strettamente connessa alla continua “contaminazione” con la componente tecnologica. Questo richiede una maggiore apertura alla collaborazione. Strategico diventa il rapporto tra imprese, università, finanza e istituzioni, tutti attori chiamati ad accompagnare l’effettiva transizione ecologica ed energetica del Paese”. ha dichiarato Salvio Capasso, responsabile servizio imprese e territorio di SRM.

Il PNRR offre una grande occasione per la bioeconomia perchè destina il 31% delle risorse totali del piano nazionale alla transizione ecologica. Nello specifico, si tratta di 59,47 miliardi di euro a cui vanno aggiunti ulteriori 9,16 miliardi del piano complementare e 1,31 miliardi di React EU. Al contempo, un’altra fetta importante delle risorse del PNRR è destinata alla transizione digitale. Dei circa 49,3 miliardi di euro della transizione digitale, ben 23,9 miliardi sono destinati alla digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo e a questi vanno aggiunti altri 5,88 miliardi di euro a valere sul piano complementare. Tali fondi hanno la potenzialità di permettere un ulteriore avanzamento e miglioramento dell’impronta bioeconomica del Paese.