Quando è nato e come funziona il Fashion Pact, la coalizione per ridurre l’impatto ambientale della moda che vede riuniti i Ceo dei grandi marchi.
L’impatto della moda sul clima e sulle risorse del Pianeta è gigantesco. Per ridurlo una presa di coscienza da parte dei consumatori è indispensabile, ma non basta: le aziende devono essere in prima linea nel ripensamento dei propri processi produttivi e dei propri prodotti. E devono agire in modo unitario e coeso, perché nessuna, da sola, può pensare di innovare un sistema così vasto e complesso. Questo è lo spirito da cui nasce il Fashion Pact.
Indice
Cos’è?
Il Fashion Pact è un’organizzazione no profit che si auto-definisce CEO-led, cioè guidata dagli amministratori delegati delle imprese firmatarie. Al vertice infatti c’è un comitato direttivo composto da quindici CEO, eletti con l’incarico di impostare la visione strategica e guidare l’azione collettiva. A mettere in pratica le iniziative proposte, coordinando i singoli gruppi di lavoro, è un comitato operativo composto da 24 Chief Sustainability Officer. Nelle intenzioni della campagna, questo coinvolgimento così stretto della dirigenza è indispensabile per spronare un cambiamento reale da parte dell’industria. In più, qualsiasi altro CEO può candidarsi volontariamente a fare da ambassador per i progetti del Fashion Pact (chiamati Joint Actions, azioni condivise).
Com’è nato e chi lo ha creato?
È il mese di aprile 2019 quando il presidente francese Emmanuel Macron convoca François-Henri Pinault, presidente e CEO del gruppo internazionale del lusso Kering, e gli affida un compito: riunire i principali attori del comparto tessile e della moda, per definire insieme a loro obiettivi concreti di riduzione dell’impatto ambientale del settore. Dopo qualche mese di lavoro dietro le quinte, il risultato è il Fashion Pact, a cui aderiscono inizialmente 32 aziende. Il progetto viene presentato ufficialmente ai capi di Stato riuniti tra il 24 e il 26 agosto a Biarritz per il vertice del G7.
Che obiettivi ha?
“Il nostro obiettivo è contribuire a un future net zero e nature positive per l’industria della moda”, si legge nel sito del Fashion Pact. Una missione che viene declinata in tre aree di intervento; per ciascuna di esse l’iniziativa fissa target specifici.
Lotta al cambiamento climatico
Aderendo al Fashion Pact i brand si impegnano a stabilire target scientificamente validi volti ad azzerare le emissioni nette entro il 2050. Target che riguardano sia le operazioni che gestiscono direttamente (Scope 1), sia l’energia elettrica acquistata (Scope 2) sia tutte le attività che avvengono lungo la loro catena di fornitura (Scope 3). in questo senso, promettendo inoltre di alimentare il 100% delle proprie operazioni solo con energie rinnovabili entro il 2030 e di far sì che, entro il 2025, il 25% delle materie prime chiave abbia un impatto inferiore sul clima.
Tutela della biodiversità
Stando al Living Planet Report del WWF, a partire dal 1970 si è assistito a un declino delle popolazioni di animali vertebrati pari al 69%. Gli scienziati parlano di “sesta estinzione di massa”. La moda, che fa affidamento sulle risorse della natura per le materie prime e per i processi produttivi, non può più solo provare a ridurre il proprio impatto. Le aziende aderenti al Fashion Pact promettono di ripristinare la biodiversità, attraverso strategie allineate ai Science-Based Targets for Nature. In questo quadro si inserisce l’obiettivo di supportare la deforestazione zero e la gestione sostenibile delle foreste entro il 2025.
Protezione degli oceani
Per salvaguardare gli oceani, le aziende firmatarie del Fashion Pact intendono agire sull’inquinamento che si genera sia a monte sia a valle della filiera. Due gli obiettivi specifici prefissati per il decennio in corso. Il primo è quello di eliminare la plastica “problematica e non necessaria” dal packaging B2C entro il 2025 e da quello B2B entro il 2030. Il secondo obiettivo è quello di assicurare che almeno la metà del packaging di plastica sia costituito da materiali al 100% riciclati; anche in questo caso, l’orizzonte temporale è fissato al 2025 per il B2C e al 2030 per il B2B.
Chi sono i membri?
Dal primo nucleo iniziale di 32 aziende, il Fashion Pact si è progressivamente allargato. Di seguito, l’elenco dei firmatari a livello mondiale:
- Adidas
- Aldo Group
- Armani Group
- Asics
- Bally
- Bestseller
- Burberry
- Calzedonia Group
- Capri Holdings Limited
- Carrefour
- Celio
- Chanel
- Chloé
- Desigual
- El Corte Ingles
- Ellassay Group
- Ermenegildo Zegna Group
- Etam Group
- Farfetch
- Ferragamo
- Fusalp
- Gap Inc.
- Geox
- GOLDWIN
- Groupe Galeries Lafayette
- Groupe IDKIDS
- Groupe Rossignol
- H&M Group
- Herno
- Hirdaramani
- House of Baukjen
- Ikks
- Inditex
- J. Crew Group
- Karl Lagerfeld
- Kering
- Mango
- Mf Brands
- Moncler
- Monoprix
- Nike, Inc.
- NOABrands
- Nordstrom
- OTB Group
- Prada S.P.A
- Puma SE.
- Ralph Lauren
- Ratti
- Safilo Group
- Shahi Exports
- Tapestry
- Tendam
- Texport
- Umdasch
- Valuence
- Veste
- Zadig & Voltaire
- Zimmermann
Le aziende italiane del Fashion Pact
Per il suo ruolo da protagonista nel mondo della moda e nel lusso, l’Italia non poteva mancare da questo elenco. Tra i gruppi italiani (o made in Italy a controllo straniero) che aderiscono al Fashion Pact possiamo citare Armani, Calzedonia, Ermenegildo Zegna, Ferragamo, Geox, Moncler, Prada, Ratti, Safilo.
Il fatto che il Fashion Pact si sia ampliato così tanto e così velocemente è senza dubbio un segnale positivo. Se fino a qualche anno fa il tema della sostenibilità era un nice to have, un segno di responsabilità da parte di pochi soggetti particolarmente sensibili, oggi entra a buon diritto nelle priorità strategiche dei grandi marchi e dei loro leader. L’esistenza di target specifici permetterà poi di valutare gli effettivi risultati dell’iniziativa nel medio e lungo periodo.