L’engagement è diventata l’ultima frontiera dell’impegno ESG da parte delle società di asset management. E’ infatti attraverso il dialogo con le aziende, che gli investitori istituzionali intendono influenzare positivamente i comportamenti delle imprese per allinearli a modelli economici sostenibili.
Le pratiche di engagement prevedono poi la partecipazione alle assemblee societarie per arrivare attraverso il voto a spingere le aziende verso le scelte ritenute più opportune. In alcuni casi i fondi riescono, come nel caso della statunitense Exxon a fare eleggere propri rappresentanti per arrivare a influenzare direttamente la governance del gruppo. In altri, se le aziende non seguono le proprie raccomandazioni arrivano a vendere i titoli.
Ci sono alcune situazioni, tuttavia, che lasciano aperti margini di valutazione. Spesso una decisione può avere un impatto positivo su una variabile ESG e magari influenzare negativamente un’altra. Oppure alcune società di asset management hanno una sensibilità più spiccata su alcuni valori rispetto ad altri. Di fronte a queste problematiche ci sono casi di attori nell’ambito delle valutazioni ESG che cercano di colmare questo divario portando un giudizio oggettivo, nel senso che non è influenzato da una visione a priori di valori, ma confrontano il posizionamento delle aziende rispetto a parametri basati sulle raccomandazioni delle principali organizzazioni internazionali. Una scelta che può partire dallo stesso modello di business adottato.
E’ questo l’approccio seguito da Standard Ethics, con sede a Londra. SE è la prima Self-Regulated Sustainability Rating Agency che emette rating non finanziari: si è autoregolata sul modello delle agenzie di merito creditizio, quindi non fornisce dati o scoring ESG agli investitori ma i suoi clienti sono le società stesse che chiedono un rating di sostenibilità. Inoltre, lo Standard Ethics Rating è una valutazione del livello di conformità delle aziende e delle nazioni ai principi di sostenibilità e governance provenienti dall’Unione Europea, dall’Ocse e dalle Nazioni Unite. Applicando questa metodologia, l’approccio di Standard Ethics è ‘ethically neutral’.
ESGnews ha chiesto a Jacopo Schettini Gherardini, Direttore di Ricerca e CEO di Standard Ethics, di spiegare qual è l’approccio operativo dell’agenzia e come questo ha portato ad alcuni giudizi e azioni su casi concreti quali, ad esempio, il ruolo di JP Morgan nel finanziare la nascita della Superlega di calcio.
Gli investitori istituzionali, attraverso le politiche di engagement hanno un ruolo sempre più attivo nei confronti delle società quotate. Quali sono le policy che dovrebbero seguire?
In questi anni ci siamo abituati al ruolo che possono avere gli investitori ESG verso le società quotate, quelle in cui hanno partecipazioni, perché possono influenzare le aziende ad adottare una scelta piuttosto che un’altra.
Possono, ad esempio, votare in assemblea in modo da spingere in una direzione piuttosto che un’altra. Questo tipo di azioni, a dire il vero, esistono da quando esistono gli investitori solo che in questi due decenni esse hanno travalicato gli argomenti classici, come il dividendo o le remunerazioni, per trattare anche scelte socio ambientali.
Questo ruolo, apparentemente positivo, ha però una caratteristica: il punto di vista proposto (o imposto) all’azienda è, inevitabilmente, quello di un investitore e dei suoi obiettivi. Il che significa che una società potrebbe essere indotta a comportamenti che possono compiacere un fondo di investimento, ma non un altro. Che possono avere un carattere etico, soggettivo e non essere necessariamente allineate alle strategie che provengono dalle grandi organizzazioni internazionali in tema di sostenibilità. Può essere, ad esempio, il caso di quegli investitori che non vogliono che si investa in alcuni settori (quello bancario oppure dell’idrogeno) o in alcuni prodotti che contrastano con il loro sistema di valori (come gli strumenti di contraccezione), ma che in un caso o nell’altro non sarebbero scelte indicate o chieste dall’Ocse, dalla Ue, o dalle Nazioni Unite.
Mentre alcuni obiettivi, come quelli sul clima, sono dettati da dati basati sulla scienza, su altre tematiche di engagement qual è l’approccio per dei parametri oggettivi?
Se, come in questo caso, vengono indicati degli obbiettivi comuni, allora è necessario perseguirli. In questo contesto, Standard Ethics sta sperimentando una strada diversa che sembra avere un peso nelle scelte aziendali. Come noto ci siamo auto regolati volontariamente sul modello delle agenzie di merito creditizio. Per questa ragione i nostri clienti non sono gli investitori ma sono le società che richiedono un rating per loro stesse. C’è quindi un rapporto diretto tra noi e la società sotto valutazione per cui i dati vengono condivisi e controllati, ma soprattutto, le indicazioni che dovessero provenire dall’agenzia di rating non sono in nessun caso legate ad interessi di portafoglio o a obbiettivi di investimento. Questo lascia all’azienda la libertà di coprire, come crede, il gap che la divide (tema per tema) dalle indicazioni internazionali. Senza che il valutatore proponga un proprio modello ESG originale o sponsorizzi delle preferenze come invece potrebbe un gestore.
La questione JP Morgan può essere un esempio?
La banca americana è stata declassata da Standard Ethics, il 21 aprile scorso, perché, in sostanza, ha disatteso alcuni principi di sostenibilità come il rapporto con gli stakeholder. La vicenda è quella nota della Super Lega di Calcio che la banca americana si apprestava a finanziare.
Un caso che ha fatto molto discutere ma sul quale pochi investitori hanno messo sotto la lente.
Sì, in effetti si osserva come il tema non sia stato affrontato, almeno in questo modo, da altri che offrono opinioni o scoring ESG. Che lavorano dal lato degli investitori. Come notò allora il Guardian, riportando la notizia del declassamento, quella di Standard Ethics. era dopo tutto una osservazione ovvia perché lo stesso Ad della banca, Jamie Dimon, aveva parlato nella sua lettera annuale agli investitori di quanto fosse importante l’interazione con le comunità. Apprezziamo come sia stata pochi giorni dopo la stessa JP Morgan ad ammettere la delicatezza del punto rilevato da Standard Ethics. Questa interazione è resa possibile da due ragioni di fondo. Da un lato non operiamo per fondi o asset manager. Ciò rende la nostra azione indipendente rispetto al mercato. Secondariamente, la nostra analisi ha sempre un unico punto di vista uniforme: le indicazioni internazionali.
Questo permette un approccio differente da chi lavora per conto degli investitori e fornisce loro valutazioni o scoring ESG?
Per fare un esempio che possa spiegare la differenza di uno scoring (fornito da un ESG data provider) e i rating (che dovrebbero essere forniti da società come Standard Ethics), possiamo immaginare una flotta di navi. Lo scoring viene elaborato su singoli temi, ad esempio la capacità di carico di una nave, piuttosto che la sua velocità. Il dato poi viene confrontato con le altre navi ed avremo delle classifiche sui singoli temi (o KPI), come la velocità o la capienza. Dati utili a chi deve investire e scegliere in base alle proprie preferenze. Il rating è invece un dato olistico, e misura la distanza tra le navi ed un porto, nonché la loro rotta. Che siano le più veloci o le più capienti, poco importa se queste navi vanno nella direzione sbagliata. È lo stesso principio che vale per i rating di merito creditizio che misurano il rischio default.
E il tipo di valutazioni riguarda anche temi di governance? Cattolica Assicurazioni, ad esempio, ha pubblicato alcune settimane fa un comunicato parlando di un vostro upgrade. Quello dell’assicurazione di Verona è stato un caso di governance che ha attirato l’attenzione di molti.
Non entro e non posso entrare nei dettegli. Comunque è di dominio pubblico e confermo che nel febbraio scorso Cattolica Assicurazioni ha comunicato che Standard Ethics alzava il suo rating a EE- dal precedente E+. Ci ha fatto molto piacere. Hanno fatto un bel percorso.
Cattolica scrive in un comunicato: “L’agenzia rileva che sono stati registrati impegni e trasformazioni positivi per i diritti degli azionisti, per la composizione qualitativa e quantitativa del Consiglio di Amministrazione e per la selezione degli Amministratori”. Evidentemente, la società di assicurazione era da tempo sotto rating da parte di Standard Ethics, ma ha atteso un miglioramento per comunicarlo. È corretto?
Sì. Cosa sia accaduto in quel periodo a Cattolica è noto: essa ha vissuto (tra il 2019 ed il 2020) un momento in cui alcuni media hanno espresso dubbi sulla sua governance ed ha subito anche dei bruschi cambi al vertice con la rimozione improvvisa di Alberto Minali. Sono momenti che toccano la vita delle aziende. Tutto sta a comprendere cosa fare e come farlo per trovare la giusta rotta. Nel loro caso, mi sembra che abbiano trovato la loro strada ed in modo convincente. Avere chiesto un rating ESG è già di per sé una chiara espressione di trasparenza e desiderio di avere ulteriori dati su cui decidere. Lo fanno solo le imprese molto avanzate.
E qual è stato in questo processo di miglioramento della governance il ruolo del dialogo con un’agenzia come Standard Ethics?
L’eventuale piccolo ruolo che può aver avuto una agenzia come Standard Ethics in quella importante fase di passaggio non spetta a me dirlo e rimarrà riservato, come tutti i rapporti tra agenzia di rating (seppure di sostenibilità) e cliente.
In punto è però evidente. Il ruolo autonomo di Standard Ethics e la fiducia che essa crea con un cliente anche se non dovesse emergere (almeno inizialmente) un rating positivo, non ci sarebbe se Standard Ethics agisse per conto degli investitori. L’indipendenza, anche nel mondo ESG, come un chiaro legame a strategie internazionali condivise (anche sulla governance) sono elementi determinanti. D’altronde nelle definizioni che proponiamo, si dice chiaramente una cosa: la sostenibilità è un tema legato al pianeta ed alle future generazioni, non spetta ad una banca, ad un fondo, ad un consulente, a noi, dire cosa sia sostenibile per il mondo. Sono solo le organizzazioni internazionali ad avere ricevuto questa delega dalle nazioni e dai cittadini.
Agli attori economici spetta allinearsi per raggiungere obbiettivi comuni. Ad una agenzia di rating ESG, spetta solo traguardare e trasmettere al cliente la sua esatta posizione in quel contesto. Se vuole, la comunicherà esso stesso. Se vuole, stabilirà nuove rotte per nuovi obbiettivi.