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I breakfast del Manifesto dell'Abitare

Oceani: come proteggerli, gli impatti di edilizia e design

L’oceano è una risorsa fondamentale per l’essere umano: ricopre il 70% della superficie terrestre, ospita l’80% della biodiversità globale e produce il 52% dell’ossigeno di cui l’uomo necessita per respirare.  Al contempo, regola il clima assorbendo la CO2 presente in atmosfera (a partire dalla rivoluzione industriale a oggi, l’oceano ha immagazzinato tra il 30% e il 40% del biossido di carbonio in eccesso prodotto dalle attività antropiche) ed è fonte di sostentamento ed energia per oltre 3 miliardi di persone. Eppure, sono ancora poche le aziende, quotate in borsa e non, che considerano il proprio impatto sugli oceani. Un dato che dovrà necessariamente cambiare dal momento che i nuovi standard di rendicontazione europei pubblicati in concomitanza della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) chiedono alle industrie di rendere noti i propri impatti sul mare e sugli oceani. D’altro canto, ad oggi “l’80% delle problematiche che abbiamo nell’oceano derivano dalla pressione antropica e dalle attività dell’uomo” dichiara Jan Pachner, General Secretary di One Ocean Foundation, iniziativa italiana che si occupa di tutela ambientale nata con l’obiettivo di accelerare le soluzioni ai problemi degli oceani. Pachner è stato ospite del secondo breakfast del Manifesto dell’Abitare presso la sede di ESGnews, assieme a Francesco Perrini, Associate Dean for Sustainability di SDA Bocconi e tra i fondatori di One Ocean Foundation. I due, moderati da Alessandra Frangi, hanno colto l’occasione per presentare una ricerca sull’impatto diretto e indiretto dei settori dell’edilizia e del furniture sull’oceano. L’analisi è parte del progetto Ocean Disclosure Initiative, promosso da One Ocean Foundation in collaborazione con SDA Bocconi School of Management Sustainability Lab, McKinsey & Company e CSIC (Consejo Superior de Investigaciones Cientificas) e finalizzato a promuovere l’attivazione sulla sostenibilità degli oceani da parte delle aziende di tutti i settori economici, suggerendo risposte di prevenzione e/o mitigazione e favorendo la divulgazione e la rendicontazione.

Il settore delle costruzioni e dell’edilizia è infatti responsabile di circa il 37% delle emissioni di CO2 legate all’energia e rappresenta il 34% della domanda energetica a livello globale. Inoltre, le emissioni di CO2 derivanti dalle attività immobiliari hanno raggiunto nel 2023 il massimo storico di circa 10 GtCO2 (+5% rispetto al 2020).

Oltre all’impatto emissivo del settore, la pressione delle industrie del design e del real estate su mari e oceani deriva dalla produzione di inquinanti chimici e rifiuti che finiscono nelle acque, dal prelievo e dal consumo di acqua, dal contributo all’eutrofizzazione (processo degenerativo delle acque indotto da eccessivi apporti di azoto, fosforo ed altre sostanze fitostimolanti) per la produzione di cemento e dall’uso della sabbia marina. Questo si traduce in perdita o riduzione della biodiversità, contaminazione delle acque marine, aumento dei rifiuti marini e delle microplastiche (anche ingerite dai pesci con effetti diretti sulla salute dell’uomo) e introduzione di energia in termini di luce, rumore e vibrazioni.

Cosa possono fare le aziende del settore dell’arredamento e immobiliare

In tutti i settori, e quindi anche in quello dell’arredamento e immobiliare, la soluzione deve coinvolgere tutto il processo produttivo e indirizzarsi verso un’ottica più circolare. Questo permette non solo di ridurre e/o eliminare i rifiuti e gli scarti di produzione, ma anche diminuire la pressione in termini di emissioni dal momento che a ciascun materiale da costruzione è associato un diverso livello di emissioni di CO2: “la letteratura scientifica ha mostrato che la produzione di cemento, acciaio e calcestruzzo comporta il più grave onere ambientale in termini di emissioni industriali di CO2. Le industrie dell’acciaio e del cemento hanno registrato progressi significativi nella riduzione delle emissioni, ma il percorso verso la sostenibilità resta lungo e complesso” afferma Perrini, raccontando del Forniture Pact, progetto di ricerca del Sustainability Lab di SDA Bocconi School of Management volto a supportare le aziende della filiera del legno-arredo verso l’adozione di modelli gestionali più sostenibili e sostenuto da note imprese della filiera.

Da una recente analisi del Lab sui processi di creazione del valore basata su sette categorie di analisi articolate in più di trenta aspetti rilevanti è emerso che il principale ambito di intervento per poter aumentare la sostenibilità del settore è quello dell’ecodesign e dell’innovazione, relativo proprio all’importanza della transizione verso un modello di produzione circolare per ridurre rifiuti e scarti. Trasformazione che comporta un tempo tecnico di adeguamento, richiedendo un cambio di mentalità da parte della filiera e una ricerca delle possibili sinergie industriali.

Altra variabile dove c’è poi margine di miglioramento, spiega Perrini, è quella relativa a “Etica, certificazione e compliance”. Le aziende del design e del real estate, infatti, spesso attuano azioni sostenibili ma non si certificano. Non dichiarare al mercato le scelte virtuose significa anche perdere la possibilità di intercettare una certa categoria di investitori e/o beneficiare di condizioni agevolate per i finanziamenti. Spesso c’è infatti il timore di dichiarare o per paura della nuova regolamentazione sul greenwashing o per non essere giudicati. Ma la sostenibilità è un processo, l’importante è iniziare identificando il proprio punto di partenza, rendicontarlo e stabilire degli obiettivi di miglioramento annuali e nel lungo periodo. Approccio che permette di monitorare anche i benefici: “l’ecoefficienza non è solo una spesa ma è un investimento. Dall’analisi del Sustainability Lab emerge che l’ecodesign permette di risparmiare tra il 6% e il 30% dei costi perché l’ottica di circolarità riduce le spese upstream” conclude Francesco Perrini.

D’altro canto, con l’entrata in vigore della CSRD, dall’anno prossimo sarà obbligatorio redigere il bilancio di sostenibilità secondo gli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards). In particolare, lo standard “E3 – water and marine resources” (e nel dettaglio l’indicatore numero 5 dell’E3) chiede di rendere conto e misurare se e come si inquinano mari e oceani. “Questa richiesta obbligatoria è una rivoluzione” commenta Pachner evidenziando come proprio per questo stanno accelerando con l’iniziativa Ocean Disclosure Initiative al fine di poter supportare le aziende nella rendicontazione e contribuire positivamente a questa trasformazione del sistema non solo del settore immobiliare ma di tutte le industrie.

SDG14, a che punto sono le aziende oggi

La nuova richiesta della CSRD rappresenterà una vera sfida per le aziende considerando che attualmente l’SDG 14 – conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine, è il meno seguito dalle aziende quotate in Borsa. E se da un lato la finanza sta iniziando a premiare gli investimenti in natura, dall’altro non si investe ancora abbastanza considerando i rischi in termini di scarsità e impatto economico che già siamo chiamati ad affrontare.

Il recente aggiornamento del documento dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), Now or never, ha reso noto che la temperatura media globale del 2023 è stata pari a 1,4°C confermando che quello appena concluso è stato l’anno più caldo di sempre e il più fresco dei prossimi anni. Questo significa che la soglia limite di aumento delle temperature, stabilita dall’Accordo di Parigi e pari a 1,5°C, è ormai impossibile da mantenere.

Come previsto nel report del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico del 2015, l’area in cui risiede l’Italia è tra le più impattate. E se da un lato il cambiamento climatico è una problematica globale è anche vero che le soluzioni non possono che partire da locale. Le aziende possono dare un contributo, lasciando ogni anno i luoghi in cui operano “un po’ meglio” rispetto all’anno precedente.

Pianificare nel lungo periodo

Quindi, “non fa nulla se si è a zero in sostenibilità, l’importante è iniziare un percorso di monitoraggio e miglioramento” sottolineano i due esperti al breakfast. “Per rendicontare questi temi bisogna prepararsi e passare da una logica di rendicontazione ex post a una ex ante”.

Il problema in Italia è che, moltissime aziende, soprattutto PMI, non pianificano. E la questione si complica considerando che in ambito di sostenibilità non basta una pianificazione a 3 o 5 anni, ma bisogna guardare a un arco di tempo fino a 30 anni.

Il tema, ancora, è far comprendere i motivi alla base della rivoluzione, cui siamo chiamati a prendere parte, e capire che la sostenibilità è l’unica scelta che abbiamo.

E il contributo alla vittoria che il settore del design e delle costruzioni può dare è molto rilevante considerando che può raggiungere un impatto netto positivo per il Pianeta, per esempio costruendo palazzi che assorbono CO2 usando vernici innovative e ampliando gli spazi verdi. È chiaro che tutti i cambiamenti portano con sé nuove visioni e alcune sfide da affrontare, non ultima quella sociale. Ma la transizione sostenibile è un’opportunità se la si affronta in maniera proattiva e con una visione di lungo periodo. Così facendo è possibile guardarla con l’ottica “giusta”. Non mera compliance che è un costo, bensì rendicontazione, pianificazione e trasformazione che sono invece un investimento. Non posti di lavoro persi, ma guadagnati. Non mancanza di persone qualificate, ma rinascita attraverso l’aggiornamento delle (nuove) competenze.