Manifesto dell'Abitare

Ecogiardino, per Peretto la sostenibilità parte dal verde e deve osservare la natura

Tornare ad osservare la natura e beneficiare della magia dei suoi ecosistemi e delle sue dinamiche evolutive nella progettazione e nella realizzazione degli spazi verdi urbani e condominiali. Da questa sfida è nata l’idea dell’Ecogiardino di Vittorio Peretto. Agrotecnico, paesaggista, artista e socio fondatore dello studio meneghino Hortensia, Vittorio Peretto è anche appassionato di sostenibilità. E non solo ambientale, ma anche sociale, in quanto nella natura e nelle relazioni all’interno del mondo vegetale, sa leggere la metafora di quelle umane.

Peretto è il primo ospite dei i breakfast del Manifesto dell’Abitare in partnership con ESGnews. L’architetto ha raccontato degli esiti di quella che definisce “fotosintesi cerebrale”, ossia la capacità dell’uomo di potersi riappropriare degli strumenti emotivi e intellettuali necessari per tornare a pensare come la natura – o quanto meno in coesione con essa. Una formula che lo ha portato, durante i giorni sospesi e dilatati del lockdown, a immaginare una revisione del concetto di giardino così come lo intendiamo oggi.

Negli ultimi 50 anni, infatti, si è assistito a una graduale ma decisa trasformazione del modo di progettare gli spazi verdi urbani, sia cittadini che condominiali, a favore di un approccio antropico, distante dai reali ritmi della natura e basato sul vivaismo in contenitore e sugli impianti di irrigazione automatici. Un approccio che racconta della lontananza che l’uomo ha posto tra sé e la natura in una logica di controllo che si rivela però spesso controproducente e fallace.

L’Ecogiardino, invece, guarda al giardino come uno spazio da condividere con la natura e in cui il progettista fa un passo indietro per far si che gli esseri viventi vegetali e animali, che ne fanno parte, possano esprimersi liberamente nella loro intrinseca intelligenza.

Un’ingegnosità intuitiva di cui i processi e le relazioni organiche e botaniche ne sono dimostrazione. Come la capacità delle piante di avere cognizione della salute del terreno e di riequilibrarlo con i ceppi di batteri necessari attraverso il rilascio nel terreno di zuccheri derivanti dalla fotosintesi, oppure l’abilità degli ecosistemi di creare equilibri di convivenza tra specie, basati su criteri di alleanza, tolleranza e competitività, come quella tra afidi, formiche e coccinelle che oggi abitano il primo degli ecogiardini progettati da Peretto in via Gallarate a Milano.

Dalla natura poi, ha ricordato l’agrotecnico, c’è sempre da imparare. Per esempio che l’evoluzione si basa su tante piccole cose, come i tanti piccoli semi prodotti dalle piante pioniere, o che la diversità è garanzia di forza e resilienza, come ha dimostrato la parte di bosco biodiverso triveneto che ha resistito alla tempesta Vaia – al contrario delle aree in cui l’uomo era intervenuto piantando mono specie in file.

D’altro canto così come in natura la diversità è un concetto premiante, altrettanto può dirsi per le organizzazioni aziendali e per le comunità urbane, le quali dimostrano di essere più solide e responsive ai fenomeni e ai rischi esterni quando caratterizzate dalla presenza di individui di genere ed età differenti, evidenzia Peretto.

E dunque proprio dalla commistione di riflessioni poetiche e competenze tecniche che è sorto il suo progetto-manifesto dell’Ecogiardino che si basa su due fondamenti principali ossia coltivare il suolo prima delle piante per favorire la fertilità del terreno e la sua ricchezza nutritiva (in un cucchiaio di suolo sano ci sono 8000 nutrienti, specifica l’agrotecnico) ingredienti che garantiscono le sue funzionalità organiche, minerali e biologiche, e coltivare le associazioni botaniche prima delle singole specie per sfruttare a pieno il potere della biodiversità e le doti di resistenza e resilienza che ne derivano.

Tra i principi dell’Ecogiardino ci sono poi anche favorire il basso consumo idrico e l’autodeterminazione delle piante, oltre a riciclare in loco e avere una visione di lungo periodo.

L’Ecogiardino di Via Gallarate 311

La prima applicazione dei principi fondamentali dell’ecogiardino è avvenuta in un condominio in Via Gallarate a Milano.

In uno stato di abbandono per 8 anni, Peretto ha raccontato come l’area era stata spontaneamente ricolonizzata da piante autoctone che avevano creato un ecosistema a basso consumo idrico e resistente. Dopo un censimento dello stato iniziale, quindi delle specie presenti, l’idea è stata quella di aiutare la natura a fare il proprio decorso supportandola nell’attuazione delle sue leggi fondamentali.

Oggi il giardino di Via Gallarate è quindi un vero e proprio “Forest garden” lontano dall’indole del controllo del senso estetico dei giardini moderni e abitato da condòmini a cui è stata mostrata la bellezza di saper osservare e sostenere i processi naturali e dare spazio e possibilità alle cose di accadere. Un giardino che ha poca necessità di manutenzione e irrigazione perché si prende autonomamente cura di se stesso e si autodetermina da sé, con un suolo protetto per garantire la termoregolazione e permettere di avere più vita, richiamare insetti e creare un’area dedicata a farfalle e api, specie in estinzione tra le più importanti al mondo.

Una storia, quindi, che parla di saper accogliere e non distruggere, di saper ascoltare e non dominare. Un progetto che dimostra che modalità di progettazione con tecniche di mitigazione e di adattamento al cambiamento climatico e alla conseguente crisi idrica possono esistere.