Made in Italy e sostenibilità. Due concetti che vanno a braccetto e sono uno dei punti di forza delle aziende italiane. Il Made in Italy è, infatti, un valore aggiunto unico nel suo genere, da cui sia le piccole aziende emergenti sia le grandi imprese consolidate nel settore della moda e del lusso possono trarre grande vantaggio. E che si trova davanti ad alcune importanti sfide. Oggi, da una parte il Made in Italy si imbatte nella necessità di brevettare, proteggere e supportare la creatività italiana nel mondo con più attenzione, dall’altra deve abbracciare e fare proprie le sempre più importanti questioni ambientali e sociali. Che si tratti di una filiera di produzione più controllata o di valorizzare la manodopera locale, gli imprenditori italiani della moda sono consapevoli dell’importanza delle questioni ESG sia per un’azienda sostenibile e competitiva a lungo termine, sia per uno storytelling di brand contemporaneo e genuino.
Questo è quanto emerge da Sviluppo Sostenibile, Made in Italy e Consumi Globali, la quarta edizione della Fashion & Luxury Talk di RCS Academy, business school di RCS Media Group.
Il settore della moda deve considerare diversi aspetti di sostenibilità per crescere in maniera equilibrata, sana e a lungo termine, secondo Brunello Cucinelli, founder e creative director di Brunello Cucinelli. “Un tipo di sostenibilità concerne quello che l’azienda fa per la crescita culturale del suo territorio e della sua gente. C’è poi la sostenibilità spirituale”, spiega l’imprenditore, “cioè quale ambiente di lavoro un’impresa offre ai suoi lavoratori, con che riguardo li tratta e quale rispetto ha delle loro idee, sia nei tempi buoni che in quelli cattivi. I capi senior devono avere il coraggio di ascoltare i giovani, perché portano creatività e contemporaneità. Infine, c’è la sostenibilità morale, per cui se un’azienda vuole crescere allora vuole anche la crescita del suo Paese, e si impegna a pagare le tasse e rispettare le regole del gioco. Spesso c’è paura quando si guarda al futuro e alle richieste della sostenibilità, ma se si sostituisce la paura con la speranza allora tutto cambia”.
Indice
PMI e Made in Italy
Il Made in Italy è un grande valore aggiunto per le PMI italiane, che già dalla loro creazione possono trarre vantaggio dall’impatto culturale ed economico di questa etichetta nel mondo. Specialmente quando le PMI si rivolgono al mercato internazionale, il Made in Italy diventa uno strumento senza equivalenti estere, in grado di donare fin da subito valore e interesse all’impresa, secondo Diego Della Valle, presidente e amministratore delegato di Tods. Considerando che il panorama industriale italiano è composto principalmente da PMI (il 99,9% delle imprese nel 2020 secondo ISTAT), è vitale proteggere il Made in Italy per supportare l’imprenditorialità.
La creatività è un valore italiano di cui si parla molto, e gli imprenditori esteri hanno una predisposizione a comprare progetti italiani, ma in Italia manca un’economia culturale, secondo Mario Moretti Polegato, presidente di Geox. Infatti, per quanto sia importante proteggere e promuovere la proprietà intellettuale, specialmente per le PMI, l’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa per numero di brevetti. E se le idee non vengono brevettate, allora possono essere prese e riutilizzate dagli altri. Secondo Polegato, c’è bisogno di rinfrescare la competitività delle idee a partire dall’educazione, valorizzando la creatività, per poi arrivare a consorziare queste idee.
Le banche giocano un ruolo fondamentale, in quanto sta a loro supportare realtà con budget limitati e potenziali di crescita veloce, specialmente quando si affacciano alle sfide improvvise dei processi di internazionalizzazione. Aldo De Girolamo, managing director corporate coverage di Deutsche Bank, ha sottolineato che una PMI può facilmente passare da avere il 10% di fatturato estero al 90%, perché il Made in Italy è un valore molto ambito e ricercato, e le banche possono guidare i piccoli imprenditori in questa crescita grazie alle loro competenze e conoscenze.
Ci sono molti modi di supportare le PMI che puntano sul Made in Italy. Uno di questi consiste nell’avvicinarle al mondo dei retailer e aiutarle a narrarsi a livello di storytelling. A tal proposito è intervenuta Brenda Bellei Bizzi, Ceo di White, società che organizza un salone-fiera innovativo dove tra 500 e 600 PMI possono esporre la loro realtà, in concomitanza con le settimane della moda di Milano, per facilitare il contatto con i retailer. Infine, è importante aiutare le piccole imprese che puntano sul Made in Italy a valorizzare il proprio brand in tutti i canali disponibili, perché secondo Luca Vergani, Ceo di Wavemaker Italy, oggi non c’è un consumatore solo digitale o solo fisico, ma un cliente con esigenze diverse in momenti diversi, che richiede omnicanalità e cura dell’offerta in base alla piattaforma. Anche sul digital, per esempio, è importante comprendere la diversa struttura narrativa dei vari canali social per una comunicazione efficace.
Catena di fornitura
L’industria della moda è quarta per emissioni di anidride carbonica, con circa l’8-10% globale (dopo food, trasporti ed edilizia) e richiede un utilizzo di acqua e suolo significativo che impatta la biodiversità. Al tempo stesso, il settore è in forte crescita, a un livello di circa il 6% annuale, per il 2% di PIL mondiale. Secondo uno studio di McKinsey, il fashion non riuscirà quindi a raggiungere gli obiettivi ambientali di Parigi ma sarà fuori per il 50%. Davide Tonon, head of climate strategies Southern Europe di CarbonSink, ha ribadito che la maggior parte degli impatti di una casa di moda deriva dalla filiera, con 60% attribuibili alle materie prime e 25% dal fine vita dei prodotti. Ingaggiare la filiera permette quindi di cambiare passo, ma questi processi non sono semplici, perché gli interlocutori diretti delle aziende spesso non riescono ad arrivare al fornitore originale.
Monitorare è più facile nei casi di aziende verticali, che sfruttano la verticalizzazione come vantaggio competitivo e proposta di Made in Italy al 100% rispetto ai competitor con filiere produttive globali. Anche avendo produttori esterni, l’aspetto più importante è sceglierne pochi e instaurare dei rapporti di fiducia a lungo termine che permettano di lavorare insieme su tutti gli aspetti della sostenibilità, secondo Sandro Veronesi, founder e presidente del gruppo Calzedonia. Inoltre, la verticalità è importante per poter permettere la trasparenza della supply chain e lavorare per una sempre maggiore tracciabilità dei capi, come condiviso da Edoardo Zegna, chief marketing officer and digital sustainability officer di Ermenegildo Zegna.
Un primo approccio alla creazione di filiere sostenibili consiste nell’agire su formazione e digitalizzazione dei fornitori, secondo Tonon. La formazione è finalizzata a far comprendere ai vari player quali vantaggi possono trarre dalla sostenibilità, e la digitalizzazione è cruciale per monitorare dalla materia prima fino al fine vita del prodotto. Agire è più complesso nei settori già maturi, ma anche essi possono partire dalla misurazione degli impatti in ogni componente della filiera, passare alla stesura di obiettivi di lungo termine, e agire un passo alla volta.
A livello governativo, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy si sta impegnando per la tracciabilità, competitività e resilienza delle filiere produttive, “in modo che la politica industriale italiana sia più in linea con quella UE e consideri più approfonditamente l’impatto sociale”, ha riportato il ministro Adolfo Urso.
Una delle parole chiavi della sostenibilità è essenzialità, “e l’essenza della moda sta nelle persone che la fanno e la raccontano” ha commentato Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Maison Valentino dal 2008. Guardare alle persone significa considerare sempre il territorio e la maestria degli artigiani della moda, e operare per l’inclusività e l’empowerement.
I marchi di moda spesso fanno del territorio parte fondante della propria identità, come hanno testimoniato Riccardo Pozzoli, global brand director di Persol, e Maria Giovanna Paone, presidente di Kiton. Il territorio non deve essere solo fonte di storytelling ma deve rappresentare una comunità con cui l’impresa vive in maniera sinergica. Paone ha spiegato che quando suo padre ha fondato Kiton, l’ha fatto pensando ai sarti di Napoli, che vivevano di lavori stagionali e in alcuni mesi non riuscivano a garantirsi una stabilità economica. A loro la moda ha portato uno stipendio fisso e sicuro, la possibilità di richiedere mutui e comprare casa.
Una volta creati i posti di lavoro, Cucinelli ha però sottolineato l’importanza di avere dei luoghi di impiego amabili, che siano in grado di generare creatività: “Oggi nessuno consiglierebbe ai suoi figli di fare l’operaio e di lavorare da prima dell’alba a dopo il tramonto in fabbriche senza finestre, ma noi manifatturieri viviamo di operai, quindi abbiamo l’obbligo morale di ridare dignità a certi lavori” ha affermato l’imprenditore.
La responsabilità e la creatività possono essere nutrite dalla formazione, secondo l’esperienza di Paone e Della Valle. Il brand napoletano, per esempio, ha alcuni maestri sarti che formano i giovani nella loro arte, e ad oggi l’80% degli educandi è stato impiegato in azienda. Tods, invece, affianca artigiani esperti agli ultimi anni di lavoro e giovani alle prime esperienze in modo da avere un passaggio di conoscenze efficace e personale, e fare in modo che l’antica maestria artigiana non vada persa in un mercato in cui molte cose vengono fatte in fretta.
L’inclusività nella moda riguarda molte categorie discriminate e sottorappresentate, a partire dalle persone nere e dalla comunità LGBT+. Inclusività significa portare la diversità nei luoghi che conosciamo, sotto gli occhi di tutti, e passa per cose semplici come scegliere un modello, piuttosto che una modella, per indossare un abito da sera, secondo Piccioli. Questo vale a maggior ragione quando il mondo queer ispira brand, idee e concetti che vengono presentati nelle collezioni. “È importante che la moda rappresenti ogni persona, e dia libertà di espressione oltre ai limiti imposti della società” ha rimarcato Marco Rambaldi, founder e creative director di Marco Rambaldi. Per quanto riguarda l’empowerement femminile, la sua importanza per lo sviluppo sostenibile delle industrie è sottolineata dall’inclusione della parità di genere tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, e secondo Tonon, si tratta di un obiettivo su cui il settore moda può iniziare ad agire adesso con una strategia di lungo termine.
Lo scenario macroeconomico
Il mercato del lusso è un settore molto resiliente perché si rivolge a una popolazione meno esposta a turbolenza nel breve termine. Nonostante due terzi dei buyer siano consumer aspirazionali che spendono cifre minime, un terzo di buyer spende fino a 60-70 mila euro all’anno. “Anche se é difficile fare previsioni che vadano oltre qualche settimana, ci sono diversi scenari plausibili”, ha riportato Filippo Bianchi, managing director e senior partner BCG, “Considerando uno scenario intermedio, il lusso vedrà una crescita di mercato del 10-12% da qui a fine anno, principalmente grazie alla riapertura della Cina e al turismo cinese in Europa. Qualora lo scenario macroeconomico dovesse peggiorare la crescita si fermerà al 5-6%, mentre nell’opzione più progressiva non ci sarà solo un ritorno al consumo normale ma un recupero del consumo mancato durante la pandemia”. Anche secondo De Girolamo il mercato cinese consoliderà una crescita interrotta dal periodo pandemico, ed è fondamentale guardare alla Corea del Sud.
Quando il mercato di riferimento non cresce, un’azienda può crescere conquistando quote di mercato, sostituendo quindi altri produttori, e la sostenibilità può essere quel valore aggiunto che porta un consumatore a scegliere un brand piuttosto che un altro. Offrire la stessa qualità allo stesso prezzo ma in modo sostenibile è possibile solo tramite l’innovazione tecnologica, ambito in cui serve focalizzare impegni e investimenti, secondo Veronesi, perché richiede tempi estesi. Nel caso di Calzedonia, l’azienda sta sviluppando una tecnologia per sciogliere le componenti poliammidiche nei suoi prodotti di intimo, in modo da poter riciclare i capi in maniera differenziata a fine vita.
Speaker
All’evento hanno partecipato anche Luciano Fontana, direttore Corriere della Sera, Barbara Stefanelli, direttrice 7 e vicedirettrice vicario Corriere della Sera, Nicola Saldutti, responsabile redazione economia Corriere della Sera, Paola Pollo, fashion editor Corriere della Sera, Edoardo Vigna, caporedattore responsabile pianeta 2030 Corriere della Sera, Daniela Monti, caporedattrice 7 Corriere della Sera, Lorenzo Cotti, Ceo e founder Integra Fragances, Marco Di Dio Rocazzella, general manager Jakala, Maria Teresa Veneziani, giornalista Corriere della Sera, Anna Fendi, imprenditrice e stilista Fendi, Silvia Fendi, artistic director of accessories and mesnwear Fendi, e Delfina Fendi, artistic director of jewelry Fendi.