Qual è lo stato dell’arte della finanza sostenibile e quali le strategie che la caratterizzeranno nel futuro prossimo? Sono questi gli interrogativi a cui il gruppo di lavoro ASviS Finanza per lo sviluppo sostenibile cerca di dare risposta in un paper, redatto in collaborazione con la Fondazione Oibr (Organismo Italiano Business Reporting).
Ma cosa si intende per finanza per lo sviluppo sostenibile? Per ASviS è formata dal complesso di attori, strategie, strumenti, prodotti e, in generale, dalle iniziative finanziarie che contribuiscono al raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) delle Nazioni Unite. In questo contesto “lo scopo della finanza per lo sviluppo sostenibile è indirizzare risorse finanziarie pubbliche e private verso settori, progetti e iniziative funzionali alla transizione dell’economia verso modelli più sostenibili, ovvero più inclusivi e a ridotto impatto sull’ambiente”.
Un processo che è guidato dall’evoluzione normativa europea in materia, partendo dalla tassonomia UE per giungere alla nuova CSRD. Norme che toccano direttamente le strategie di investimento ESG, l’evoluzione della rendicontazione di sostenibilità e della finanza a impatto, la finanza retail per lo sviluppo sostenibile, la finanza pubblica per lo sviluppo sostenibile e la finanza sostenibile per il raggiungimento della parità di genere.
Infine, l’alleanza fornisce delle raccomandazioni che costituiscono un “decalogo” che possa guidare settore pubblico e privato nel processo di transizione.
Indice
- 1 Stato dell’arte del quadro normativo europeo ESG
- 2 L’evoluzione della rendicontazione di sostenibilità
- 3 La finanza pubblica per lo sviluppo sostenibile
- 4 La finanza sostenibile per il raggiungimento della parità di genere
- 5 Il decalogo ASviS
- 5.1 Finanziare la transizione giusta
- 5.2 Favorire la finanza d’impatto e gli investimenti sostenibili
- 5.3 Adottare le tecniche della finanza di impatto e dare impulso alla tassonomia per gli obiettivi sociali
- 5.4 Modificare i modelli di business degli operatori finanziari
- 5.5 Accelerazione dell’adozione delle direttive europee sul reporting di sostenibilità
- 5.6 Consolidamento degli strumenti di finanza pubblica europea per la sostenibilità
- 5.7 Utilizzo del PNRR per sviluppare capacità di programmazione nelle pubbliche amministrazioni
- 5.8 Promuovere azioni per sostenere la finanza per il consumo sostenibile
- 5.9 Utilizzare strumenti di regolazione e promuovere l’azione del mercato per rafforzare l’orientamento sostenibile dei consumi
- 5.10 Utilizzare la finanza per raggiungere l’obiettivo della parità di genere
Stato dell’arte del quadro normativo europeo ESG
Con la sottoscrizione degli SDGs delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Parigi sul Clima nel 2015, l’Unione Europea ha posto la sostenibilità ambientale e sociale al centro delle proprie politiche. Nell’ambito dell’Accordo di Parigi, l’UE si è impegnata a raggiungere tre obiettivi entro il 2030: ridurre di almeno il 40% le emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990; portare la quota di consumo energetico da fonti rinnovabili almeno al 32%; migliorare l’efficienza energetica di almeno il 32,5%.
Per ottenere questi risultati la Commissione UE ha stimato che occorrono 260 miliardi di euro di investimenti annui in aggiunta a quelli già stanziati. Quindi, sottolinea l’ASviS, il coinvolgimento del settore privato sarà essenziale.
Allo scopo di orientare il mercato dei capitali verso il finanziamento di attività economiche che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi dell’UE, le istituzioni europee hanno avviato un programma di riforma dei mercati finanziari, curato da un gruppo di esperti sulla finanza sostenibile all’interno della Commissione Europea.
Nel 2019, i nuovi e più sfidanti obbiettivi introdotti dal Green Deal europeo per la riconversione dell’intera economia dell’Unione verso modelli produttivi a impatto zero entro il 2050 ha comportato la necessità di rivedere in itinere la struttura portante del Piano di azione sulla finanza sostenibile varato nel 2018. Così, nel luglio 2021 la Commissione europea ha emanato la nuova strategia in materia di finanza sostenibile. Una prima revisione volta ad allargare la portata delle azioni legislative necessarie per favorire il flusso di capitali privati indispensabili a sostenere e garantire la transizione.
I tre elementi alla base del Piano di azione sono: la tassonomia delle attività sostenibili, il quadro in materia di informativa per le imprese finanziarie e non finanziarie, e degli strumenti di investimento. Al momento, il Regolamento sulla tassonomia è ancora incompleto in alcune parti fondamentali. Da poco pubblicati gli atti delegati che definiscono i criteri per i primi due obiettivi ambientali (mitigazione e adattamento al cambiamento climatico), la strategia avrebbe previsto il completamento del Regolamento con l’adozione degli atti delegati sugli altri quattro obiettivi ambientali entro la fine del 2022 per permettere alle imprese non finanziarie e finanziarie di iniziare una prima analisi di eleggibilità delle proprie attività economiche.
Inoltre, la nuova strategia prevede un allargamento della tassonomia per includere le attività definite in transizione e le attività sostenibili sotto un punto di vista sociale. A tal proposito, la Platform on sustainable finance, organizzata attraverso i suoi sottogruppi tematici, ha elaborato due report dedicati.
Pur nella sua intrinseca complessità, sottolinea il gruppo dell’ASviS nel documento, la definizione della tassonomia green è stata agevolata dalla possibilità di determinare i criteri di sostenibilità su basi scientifiche. Discorso a parte, e molto più complesso, va fatto per la tassonomia sociale. Una definizione univoca e condivisa a livello europeo di ciò che può essere definito socialmente sostenibile deve passare attraverso un accordo politico complicato, in cui ogni Stato membro deve mediare su posizioni culturali e tradizionali che intendono in maniera differente il concetto stesso di sostenibilità sociale. La Platform suggerisce dunque di costruire la tassonomia sociale seguendo lo stesso impianto della tassonomia ambientale (identificazione di obiettivi di sostenibilità, fissazione di salvaguardie minime e introduzione del principio del non nuocere, “do not significant harm principle”).
Altro tassello fondamentale della strategia europea riguarda la ponderazione dei rischi ESG degli operatori bancari. L’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha pubblicato il progetto finale di norme tecniche di attuazione (ITS) sull’informativa di terzo pilastro sui rischi ambientali, sociali e di governance (ESG). Il progetto finale di ITS ha presentato informazioni comparabili per mostrare come i cambiamenti climatici possano esacerbare altri rischi all’interno dei bilanci degli enti e come gli enti stiano al contempo mitigando tali rischi. Il pacchetto normativo contribuisce ad affrontare le carenze delle attuali informazioni ESG degli enti bancari a livello dell’UE, stabilendo obblighi di informativa coerenti e molto più granulari e contribuendo inoltre a stabilire le migliori pratiche a livello internazionale.
L’evoluzione della rendicontazione di sostenibilità
Il perseguimento della sostenibilità e di numerosi obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) si regge sull’informazione, che rappresenta l’elemento essenziale di tali processi, specie a livello aziendale. Come ricorda l’ASviS nel paper, per soddisfare questa esigenza l’UE ha introdotto un altro elemento cruciale nel quadro normativo in materia di sostenibilità, ovvero la CSRD (Corporate Sustainability Reporting Direttive), che sancisce un nuovo concetto di reporting di sostenibilità. La direttiva, come sottolinea l’ASviS, imporrà la rendicontazione di sostenibilità obbligatoria per le imprese europee con più di 250 dipendenti.
La CSRD parla di “reporting di sostenibilità” e non più di “reporting non finanziario”. A definire gli standard europei obbligatori per il reporting di sostenibilità, differenziai per grandi imprese e PMI, sarà l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group), organo di consulenza della Commissione Europea nel campo del reporting. In tal senso, l’EFRAG ha anticipato i tempi e nel corso del 2021-22 ha già elaborato – tramite un’apposita Task Force – una bozza di tredici standard, denominati European Sustainability Reporting Standards (ESRS), per il futuro reporting di sostenibilità europeo. Entro la seconda metà del 2023 sarà elaborato e pubblicato un secondo set di ESRS dedicato agli standard settoriali e alla digitalizzazione dell’informativa di sostenibilità.
La CSRD ha due caratteristiche innovative, entrambe messe in evidenza dall’ASviS. Da un lato la direttiva riafferma il principio della “doppia materialità”, secondo il quale un’informazione, per essere materiale (cioè significativa), e dunque essere inserita nel report di sostenibilità, deve essere rilevante per l’impresa oppure per il contesto socio-ambientale di riferimento con riguardo ai fattori ESG. Dall’altro la CSRD introduce l’obbligo di rendicontare nell’ambito della Relazione sulla gestione gli intangibili internamente generati che non compaiono nello stato patrimoniale delle società, se e solo se legati alla sostenibilità.
Al di fuori del contesto europeo, ricorda l’alleanza, alla COP26 è stato creato l’ISSB (International Sustainability Standards Board), l’organismo che ha il compito di emanare standard per il reporting di sostenibilità che forniranno una base comune a livello internazionale. L’ISSB fa parte della IFRS (International Financial Reporting Standards) Foundation, che già accoglie al proprio interno lo IASB (International Accounting Standards Board). L’ASvis nel documento auspica che l’ISSB proponga standard di reporting che possano fungere da “minimo comun denominatore internazionale”, e che l’EFRAG emani a sua volta i propri standard tenendo in considerazione quelli dell’ISSB.
Sustainability reporting: l’evoluzione del contesto internazionale 2021-2022 e del contesto europeo 2018-2022
La finanza pubblica per lo sviluppo sostenibile
Come sottolinea l’ASviS nel documento, fare dell’Unione Europea la prima economia a impatto climatico zero, efficiente sotto il profilo delle risorse e pronta per l’era digitale, garantendo al contempo equità sociale e riduzione delle disuguaglianze è un obiettivo ambizioso che implica cospicui investimenti pubblici e privati e un modello di governance economica in grado di sostenere adeguatamente la composizione della finanza pubblica in linea con gli SDGs.
Per raggiungere questi obiettivi, a dicembre del 2019 la Commissione UE ha lanciato l’EU Green Deal, un programma di politiche e di iniziative per conseguire l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, vale a dire l’equilibrio tra quantità di CO2 emessa e assorbita. I perni centrali dell’EU Green Deal sono le proposte su: Sustainable Europe Investment Plan e Just Transition Mechanism (e Just Transition Fund); European Climate Law, che sancisce l’o- biettivo di neutralità climatica entro il 2050; Patto europeo per il clima; una nuova strategia industriale e un nuovo Piano per l’economia circolare; un sistema alimentare giusto e rispettoso dell’ambiente; una nuova strategia per la biodiversità al 2030; un obiettivo “inquinamento zero” per un ambiente privo di sostanze tossiche.
Il Green Deal è stato integrato nelle misure finanziarie straordinarie proposte dalla Commissione in risposta alla crisi economica indotta dal COVID-19, vale a dire il potenziamento del Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 (il budget UE) e le iniziative del programma NextGenerationEU da 750 miliardi di euro, adottato il 27 maggio 2020.
Integrando l’EU Green Deal nel piano di rilancio dell’economia, secondo l’ASviS le istituzioni europee hanno scelto di non posticipare gli obiettivi ambientali e climatici, bensì di farne il perno per la creazione di nuovi posti di lavoro (un milione di green job, secondo le previsioni) e per rendere l’economia più resiliente e competitiva nel lungo periodo.
La finanza sostenibile per il raggiungimento della parità di genere
La finanza per lo sviluppo sostenibile ha di recente avviato un ambito di azione sempre più di rilievo al fine di raggiungere l’obiettivo dell’eguaglianza di genere. Le motivazioni di questa rilevanza, spiega l’ASviS nel documento, risiedono nella evidenza empirica che un progresso nella parità di genere avrebbe effetti significativi sulla crescita economica e il benessere globale. Una stima ILO (2017) misurava un incremento di 5,3 trilioni di dollari nel PIL mondiale a fronte di una riduzione del 25% del gap di genere. Peraltro, come conferma il “Global Gender Gap Report 2022” del World Economic Forum, il divario si è chiuso globalmente del 68,1%, che implica un periodo non inferiore a 130 anni per il raggiungimento della parità. Tra le varie dimensioni studiate dal Rapporto il “political empowerment” rimane quella più deficitaria, seguita dalla dimensione della “partecipazione economica”.
Un altro strumento di misurazione importante menzionato dall’ASviS è l’European Gender Quality Index, che misura il gender gap a livello europeo, ha misurato nel rapporto pubblicato per il 2021 (con dati disponibili al 2019) uno score di 68 su 100 per l’intera Unione Europea e di 63,8/100 per l’Italia, che si classifica al 14° posto sui 27 Paesi censiti. Il Gender Quality Index è costruito su sei “domini”: work, money, knowledge, time, power e health. Il migliore score italiano è nella dimensione health (88,4), per il quale il Paese si colloca alla 11esima posizione, con un miglioramento di cinque posizioni dal 2010.
Tra le ragioni che spingono le aziende a rafforzare l’eguaglianza di genere, sottolinea l’alleanza, compaiono le numerose ricerche che dimostrano come un contesto lavorativo inclusivo sia di concreto beneficio non solo per i contesti sociali ma soprattutto per le stesse imprese. La perdita complessiva in termini di ricchezza del capitale umano a causa della differenza salariale è stimata dalla Banca Mondiale in 172 miliardi con circa 2,4 miliardi di donne che non hanno gli stessi diritti degli uomini. In una ricerca di Roma Business School si stima che il salario femminile sia inferiore mediamente del 24% rispetto a quello maschile e che solo il 17% delle posizioni dirigenziali sia coperto da donne, con una perdita potenziale di PIL del 35%. Nel contesto italiano delle Società di gestione del risparmio (fonte Assogestioni) le donne sono ancora solo il 18% del management, il 27% dei Consigli di amministrazione e il 48% della forza lavoro.
Il decalogo ASviS
Per sintetizzare le idee espresse nel paper, il gruppo di lavoro ASviS sulla finanza sostenibile individua dieci raccomandazioni conclusive per supportare il lavoro dei prossimi anni degli attori coinvolti nel settore.
Finanziare la transizione giusta
Un elemento fondamentale, secondo l’alleanza, è una gestione corretta e attenta del processo di transizione, anche attraverso un significativo incremento di risorse per la cosiddetta “Just Transition”. L’equilibrio tra un rapido raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, un adeguato progresso della tecnologia per l’adozione di tecniche che favoriscano la transizione ecologica ed energetica e il mantenimento di adeguati livelli di competitività del sistema-Paese può essere raggiunto solo attraverso il sostegno adeguato di risorse e di tempi certi per la realizzazione rapida ed efficace degli obiettivi della transizione. Secondo l’ASviS una possibile soluzione può essere un sistema di incentivi commisurati al raggiungimento da parte delle aziende degli obiettivi di decarbonizzazione, eventualmente negoziabili in un mercato con l’assistenza di una garanzia pubblica.
Favorire la finanza d’impatto e gli investimenti sostenibili
In secondo luogo, secondo l’ASviS è necessario rafforzare l’insieme degli strumenti di regolazione per fare emergere in modo chiaro e inequivocabile l’orientamento degli investitori verso progetti autenticamente di impatto sulla sostenibilità, facendo in modo che la tassonomia selezioni realmente i progetti di investimento in base all’impatto sugli obiettivi ambientali e sociali. Inoltre, secondo l’alleanza bisogna rafforzare la trasparenza del mercato della finanza sostenibile e di contrasto al greenwashing e, in particolare, migliorare notevolmente la qualità della raccolta dei dati sui prodotti finanziari che finanziano autenticamente investimenti sostenibili e responsabili.
L’ASviS sottolinea che la valutazione degli investimenti deve orientarsi verso le tecniche proprie della finanza di impatto, associando agli obiettivi finanziari anche quelli sociali in un’ottica di sostenibilità collettiva dei processi di investimento. Come evidenzia l’alleanza, l’adozione di queste tecniche non è ancora diffusa e l’accelerazione sulla tassonomia per gli obiettivi sociali dello sviluppo sostenibile, che diventa sempre più urgente, potrà dare un significativo impulso in questa direzione.
Modificare i modelli di business degli operatori finanziari
Secondo il gruppo dell’ASviS bisogna imprimere un’accelerazione significativa alla modifica dei modelli di business degli attori del sistema finanziario, rafforzando da un lato i processi di identificazione dei rischi ESG e la loro quantificazione nei modelli di rischio, allo scopo di indurre sempre più il sistema finanziario a premiare le attività produttive sostenibili e, dall’altro, proponendo ai risparmiatori e alle PMI prodotti finanziari sostenibili in grado di supportare comportamenti di consumo e di produzione allineati con gli obiettivi del Goal 12 (consumo e produzione responsabili).
Accelerazione dell’adozione delle direttive europee sul reporting di sostenibilità
Non appena si sarà concluso il processo di perfezionamento della nuova direttiva sul reporting di sostenibilità, secondo l’alleanza sarà necessario procedere velocemente all’adozione della direttiva a livello nazionale al fine di rendere rapido il passaggio al nuovo contesto normativo. La rapidità di adesione alla direttiva e di applicazione degli standard europei non appena definiti permetterà al sistema delle imprese e allo stesso sistema finanziario di adattarsi al nuovo contesto in tempi brevi, accelerando le scelte strategiche delle imprese nella direzione della sostenibilità. Allo stesso tempo, l’ASviS suggerisce di gestire con cautela le possibili “diseconomie” derivanti da un eccessivo peso sulle grandi imprese derivante dall’adozione di due diversi standard (europeo e internazionale) e sulle piccole imprese per la richiesta di informazioni che potrebbe derivare loro dal mondo bancario e assicurativo. In questo quadro, sottolinea l’alleanza, appare urgente favorire un robusto processo di acculturazione delle PMI italiane al fine di favorire la loro resilienza ai processi in atto, in particolare nelle relazioni che avranno con il mondo finanziario.
Consolidamento degli strumenti di finanza pubblica europea per la sostenibilità
Dal Green Deal europeo in avanti, anche per effetto delle crisi in atto (sanitaria ed energetica), l’Europa si è dotata di importanti strumenti di finanza pubblica a sostegno della transizione verso un’economia decarbonizzata e socialmente più sostenibile. Dal Next Generation EU agli stessi nuovi Fondi strutturali, dal Fit for 55 al RePowerEU, l’obiettivo dei fondi europei è quello di imprimere all’economia europea un cambio di paradigma funzionale al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Se i rischi di crisi energetica di breve periodo comportano l’adozione di strumenti non allineati con gli obiettivi della neutralità climatica, secondo l’ASviS la prospettiva di lungo periodo non può che essere quella dell’utilizzo del bilancio europeo, del finanziamento comune attraverso debito comune e della tassazione ambientale europea finalizzati al raggiungimento degli SDGs.
Utilizzo del PNRR per sviluppare capacità di programmazione nelle pubbliche amministrazioni
Il PNRR viene definito dall’Avis come “un formidabile strumento per attivare le Pubbliche Amministrazioni sui temi dello sviluppo sostenibile”. La necessità di ragionare tenendo conto del principio “Do not significant harm”, ma anche di dar- si obiettivi quantificabili sul fronte delle più importanti dimensioni ambientali e sociali, costituisce una svolta importante nel quadro dei processi di pianificazione pubblica. Per questo, secondo il gruppo dell’alleanza, sarà decisiva la capacità di decentrare in modo efficace queste competenze verso le Pubbliche Amministrazioni locali.
Promuovere azioni per sostenere la finanza per il consumo sostenibile
Pur in un quadro di crescente disponibilità di prodotti finanziari per la clientela retail attenti alla sostenibilità messi in campo da banche e assicurazioni, la consapevolezza collettiva circa la disponibilità e l’importanza di questi prodotti appare, secondo l’ASviS, ancora molto limitata. Anche in questo contesto la trasparenza e l’informazione sono i due elementi fondamentali, sottolinea l’alleanza. La regolazione sta imponendo obblighi crescenti in questa direzione, ma in un Paese in cui è scarsa l’educazione finanziaria, questi processi sono lenti e possono essere accelerati con un impegno collettivo degli attori del mercato per generare criteri di valutazione degli impatti dei molteplici prodotti di consumo.
Utilizzare strumenti di regolazione e promuovere l’azione del mercato per rafforzare l’orientamento sostenibile dei consumi
La realizzazione degli obiettivi di sostenibilità nei consumi è il risultato dell’effetto di azioni di regolazione (informazione e trasparenza), degli incentivi (superbonus), della promozione di processi culturali (educazione finanziaria) e dell’azione del mercato che, verificando la modifica rapida delle prassi di consumo verso prodotti sostenibili, mette a disposizione strumenti finanziari che trasformino la scelta virtuosa in ulteriore elemento di convenienza (non solo economica).
Utilizzare la finanza per raggiungere l’obiettivo della parità di genere
L’adozione di un modello economico orientato verso la sostenibilità sta facendo emergere i vantaggi di una società e di un’economia in cui vi siano concrete pari opportunità per tutte e tutti e siano superati quegli squilibri strutturali di genere che hanno condizionato lo sviluppo economico degli ultimi decenni. Questo obiettivo, conclude l’ASviS, può essere raggiunto con policy adeguate che mettano a disposizione strumenti di valutazione delle politiche (bilanci di genere), ma anche strumenti finanziari operativi (es. risorse per l’imprenditorialità femminile) che favoriscano concretamente l’accessibilità al credito e al mercato dei capitali.