Tra il 2010 e il 2022 gran parte delle Regioni italiane non hanno fatto passi avanti soddisfacenti rispetto ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) dell’Agenda 2030 dell’Onu (come si vede nella tabella di seguito) e sono aumentate anche le disuguaglianze territoriali. È quanto emerge dal quarto Rapporto sui Territori, pubblicato dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che contiene numerose analisi su diversi fenomeni rilevanti per la condizione delle diverse aree del Paese, il governo del territorio e la rigenerazione urbana, le politiche abitative, la decarbonizzazione dei trasporti, il potenziamento dei servizi ecosistemici, il miglioramento della qualità dell’aria, le infrastrutture verdi, l’adattamento dei centri urbani al cambiamento climatico e la prevenzione del dissesto idrogeologico, e avanza varie proposte per realizzare politiche territoriali orientate allo sviluppo sostenibile e al superamento delle forti e crescenti disuguaglianze che caratterizzano l’Italia.
Andamento e livello degli indici compositi – Per Goal e regione
Nel dettaglio, lo studio di ASviS evidenzia che solo per due obiettivi, salute ed economia circolare, si è registrato un miglioramento generalizzato, mentre sono peggiorate le condizioni di quasi tutte le Regioni per quattro obiettivi (povertà, qualità degli ecosistemi terrestri, risorse idriche e istituzioni), a fronte di una sostanziale stabilità per gli altri. Rappresentano una eccezione positiva la Valle d’Aosta e la Toscana, mentre tra quelle che mostrano le peggiori performance si segnalano il Molise e la Basilicata, che presentano arretramenti rispetto al 2010 per ben sei obiettivi. Aumentano anche le disuguaglianze territoriali: complessivamente, le differenze di performance tra territori crescono per sette Obiettivi (paragrafo 3.6), diminuiscono solo per due e restano invariate per cinque.
Il rapporto, giunto alla quarta edizione e realizzato con il contributo incondizionato di Federcasse, è stato presentato al Cnel dai presidenti dell’ASviS, Marcella Mallen e Pierluigi Stefanini, dal direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini, durante un incontro cui sono intervenuti, tra gli altri, il presidente del Cnel, Renato Brunetta, il ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, il sindaco di Cesena e presidente della Provincia di Forlì-Cesena, Enzo Lattuca.
“Con il Rapporto Territori 2023 l’ASviS illustra cosa è successo in Regioni e Province autonome, Province e Città Metropolitane nella prima metà del percorso trascorso dalla firma dell’Agenda 2030 nel 2015 e indica cosa dovrebbe succedere per raggiungere i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile riducendo le gravi disuguaglianze territoriali esistenti”, ha dichiarato il presidente dell’ASviS, Pierluigi Stefanini, “in base alla dichiarazione politica approvata al Summit dell’Onu del 18-19 settembre dedicato allo stato dell’Agenda 2030, il Governo italiano deve predisporre urgentemente un ‘Piano nazionale di accelerazione’ in grado di migliorare decisamente i risultati, molto insoddisfacenti, conseguiti finora dall’Italia, anche per contrastare l’aumento delle disuguaglianze territoriali che il rapporto evidenzia. Per questo, l’ASviS propone di definire il Piano entro marzo 2024, in modo da poter influenzare la predisposizione del prossimo Documento di Economia e Finanza. Su questi argomenti portiamo oggi all’attenzione delle forze politiche numerose proposte”.
Insieme all’analisi quantitativa e qualitativa dei diversi Obiettivi dell’Agenda 2030, il rapporto affronta diverse questioni da cui dipende la possibilità di migliorare significativamente la sostenibilità dei territori italiani dal punto di vista economico, sociale e ambientale, colmare le fortissime disuguaglianze che li caratterizzano e affrontare i numerosi rischi che insistono su persone e imprese, tra cui quelli sismici, vulcanici, idrogeologici, siccità e desertificazione, incendi e ondate di calore, incidenti in impianti industriali.
Ad esempio, sono oltre 621mila le frane censite sul territorio italiano, il 66% di quelle complessivamente rilevate in Europa, mentre gli stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante sono 970, molti dei quali si trovano in zone sismiche e di fragilità idrogeologica.
“L’attenzione ai rischi naturali e antropici deve diventare centrale nel disegno delle politiche e l’allocazione degli investimenti, a ogni livello, dando coerenza alle decisioni prese su scala nazionale e a quelle degli enti territoriali”, ha aspiegato il direttore scientifico dell’ASviS, Enrico Giovannini, “la politica di coesione va reimpostata con l’obiettivo di ridurre drasticamente i divari del Mezzogiorno e raggiungere chiari traguardi al 2030, utilizzando l’Agenda 2030 come riferimento comune. La scelta del Governo di unificare la programmazione del PNRR e quella dei fondi europei e nazionali del ciclo 2021-2027 va nella giusta direzione ma deve assumere in modo esplicito, come quadro di riferimento, le Strategie nazionale e regionali per lo sviluppo sostenibile elaborate in questi anni dalle Regioni, anche con l’assistenza dell’ASviS, e superare i suoi tre limiti atavici e ben noti: la mancanza di complementarità con le politiche ordinarie, la polverizzazione degli interventi e la cattiva qualità delle strutture di governo nazionali e regionali”.
Il rapporto dedica particolare attenzione anche alle Strategie per lo sviluppo urbano sostenibile, inserite nei programmi regionali delle politiche di coesione, e agli altri programmi dedicati alle città, finanziati complessivamente con più di 8 miliardi di euro nel periodo 2021-2027. Si tratta di un’occasione unica per integrare tutti i finanziamenti (PNRR, politiche ordinarie) attraverso l’elaborazione di una Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, di cui quella elaborata nel 2022 dal ministero delle Infrastrutture e la mobilità sostenibili costituisce un primo esempio. A tal fine, va finalmente attivato il Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU) ricostituito nel 2021 e finalizzato a rappresentare la dimensione urbana della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.
“Le analisi e le proposte che l’ASviS porta oggi all’attenzione del Paese confermano il persistente malfunzionamento dei tanti piani di intervento adottati per colmare le distanze tra i territori, un prerequisito per affermare uno sviluppo equo e sostenibile dell’Italia”, ha affermato la presidente dell’ASviS, Marcella Mallen, “invitiamo il Governo ad attuare subito la nuova Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), approvata a settembre, che si pone l’obiettivo di migliorare la coerenza delle politiche, sia a livello nazionale, sia tra quest’ultimo e quello territoriale, attraverso un modello di governance multilivello. Un modello alla cui realizzazione l’ASviS contribuisce, insieme alle reti della società civile, mettendo a disposizione anche la propria esperienza, maturata anche nell’assistenza fornita in questi anni a diverse Regioni e Città Metropolitane, tra cui Emilia-Romagna, Lombardia, Valle d’Aosta, Veneto e Bologna”.
Senza un deciso cambiamento delle politiche, molti degli Obiettivi dell’Agenda 2030 non saranno raggiunti, come mostra il confronto, per 24 obiettivi quantitativi, tra i risultati dell’Italia e quelli delle singole Regioni e Province autonome. In estrema sintesi:
- Tra quelli a carattere sociale, 14 Regioni e Province autonome hanno la possibilità di ridurre sotto il 9% la dispersione scolastica e 15 di fornire servizi per l’infanzia per il 33% degli aventi diritto. Di contro, in 12 territori la quota di laureati sta diminuendo, allontanandosi dall’obiettivo del 50% di laureati (in età 30-34 anni);
- Per quelli a carattere ambientale, il 25% di SAU destinata a coltivazioni biologiche è raggiungibile da 11 territori su 21. Tra gli obiettivi con forti criticità, si segnalano l’efficienza idrica, la riduzione del 20% dell’energia consumata e l’azzeramento del consumo di suolo, per i quali in circa due terzi dei territori la situazione sta peggiorando, fermo restando che nessuna Regione o Provincia autonoma sembra avere la possibilità di raggiungerli entro il 2030;
- Per quelli a orientamento economico, la copertura della rete Gigabit per tutte le famiglie appare raggiungibile da 18 territori. Al contrario, una situazione critica per la riduzione di rifiuti urbani: in 15 territori, infatti, tale produzione sta aumentando e in nessuna area si registrano miglioramenti significativi;
- Per i temi a carattere istituzionale, si segnala che, nonostante l’obiettivo di ridurre del 40% la durata dei procedimenti civili, in 12 territori su 21 essa sta aumentando, il che rende irraggiungibile l’obiettivo.
Le proposte per politiche territoriali volte ad attuare l’Agenda 2030
Come già sottolineato, il rapporto avanza numerose proposte riguardanti le diverse tematiche esaminate, tra le quali:
- Per la prevenzione del rischio idrogeologico nel periodo 2013-2019 è stato speso un decimo (2 miliardi) di quanto è costata l’emergenza (20 miliardi), oltre alle vittime e al costo sopportato dai privati. Per ri- durre i danni provocati dalle catastrofi, è urgentissimo adeguare in via straordinaria la pianificazione di bacino (PAI), sovraordinata alla pianificazione urbanistica comunale, alle nuove mappe di pericolosità contenute nei PGRA delle Autorità di bacino distrettuali. L’aumento della capacità di spesa per la pre- venzione, dagli attuali 300 milioni ad almeno 1 miliardo l’anno, va realizzato attraverso procedure chiare e univoche, qualità della progettazione e sviluppo di sistemi assicurativi fondati sulla collabo- razione tra pubblico e privato.
- Le Politiche per il Mezzogiorno devono tenere conto dell’amara constatazione, contenuta nell’Ottava Relazione sulla politica di coesione della Commissione europea del 2022, che nel periodo 2001-2019 il PIL pro capite delle Regioni italiane in termini reali o è diminuito o è cresciuto di meno del 2%, come in Grecia, Spagna e Portogallo, a differenza dei Paesi dell’Europa orientale dove la politica di coe- sione ha funzionato. Anche i dati sulla produttività e sulla qualità istituzionale si muovono nella stessa direzione.La politica di coesione va pertanto completamente reimpostata con l’obiettivo di raggiungere chiari traguardi al 2030. La scelta del Governo di unificare la programmazione del PNRR e quella dei fondi europei e nazionali del ciclo 2021-2027 va nella giusta direzione, ma essa deve assumere in modo espli- cito, come quadro di riferimento, le Strategie nazionale e regionali per lo sviluppo sostenibile e deve superare i suoi tre limiti atavici e ben noti: mancanza di complementarità con le politiche ordinarie, polverizzazione degli interventi e cattiva qualità delle strutture di governo nazionali e regionali;
- La Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) ha riconosciuto il ruolo e le problematiche specifi- che di questi territori, ma non è stata condotta alcuna valutazione della sperimentazione 2014-2020 e la Strategia è stata sostanzialmente regionalizzata. Il necessario recupero del protagonismo degli at- tori locali e del metodo place-based per la selezione degli investimenti può avvenire con Il Piano stra- tegico nazionale delle aree interne (PSNAI), che deve essere approvato dalla Cabina di regia di recente istituzione. Al contrario, il tema della montagna ha una incerta considerazione nelle politiche di coesione, ma l’in- teresse suscitato dalla estesa partecipazione al bando per le Green community ha suggerito ad alcune Regioni di dare continuità a questa politica, una continuità da trasferire anche a livello nazionale. L’au- mento del Fondo per la montagna e l’approvazione da parte del governo di una nuova proposta di legge sono segnali positivi da rendere operativi nel prossimo futuro. Le risorse per le Strategie per lo sviluppo urbano sostenibile (SUS) nei Programmi regionali delle po- litiche di coesione, per il Programma nazionale Metro Plus e città medie del Sud e per i dodici Pro- grammi complementari dedicati alle Città metropolitane del Fondo sviluppo e coesione (FSC) ammontano complessivamente a più di 8 miliardi di euro nel periodo 2021-2027. Si tratta di un’occa- sione unica per integrare tutti i finanziamenti (PNRR, politiche ordinarie) attraverso l’elaborazione di una Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, di cui quella elaborata nel 2022 dal mini- stero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili costituisce un primo esempio. A tal fine, va final- mente attivato il Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU) ricostituito nel 2021 e finalizzato a rappresentare la dimensione urbana della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.
- In materia di governo del territorio e rigenerazione urbana la novità più significativa è la ricostituzione della Commissione periferie della Camera che offre una nuova opportunità per colmare tre gravi lacune legislative, in quanto essa può: inviare una relazione alla Camera sul governo del territorio per un iter spedito della legge; favorire la conclusione del percorso legislativo sulla rigenerazione urbana estraendo un nucleo es-senziale di norme dal testo unificato del Senato della precedente legislatura; sollecitare una legge, come sarebbe preferibile, o in subordine una norma, che demandi ad una Intesa nella Conferenza Stato-Regioni, con il potere sostitutivo del Governo, la determinazione della quantità massima di consumo di suolo ammesso in ciascuna Regione e la sua ripartizione per ambiti territoriali. Le politiche abitative soffrono della mancanza di una programmazione degli investimenti e di un ap- proccio episodico e frammentato. Va riqualificato e incrementato il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP), vanno garantiti stanziamenti costanti ai fondi di sostegno per l’affitto e va approvatauna legge per la regolamentazione delle locazioni brevi, con un ruolo decisionale affidato ai Comuni ed alle Città metropolitane.
- Il settore dei trasporti ha accresciuto il suo peso sulle emissioni climalteranti nazionali complessive, pas- sando dal 24% nel 1990 al 31% nel 2021. La proposta di Piano Nazionale Integrato energia-Clima (PNIEC) inviata dall’Italia alla Commissione europea il 30 giugno 2023 prevede che entro il 2030 si utilizzerà il 47% di biocarburanti liquidi e solo il 26% di elettricità da fonti rinnovabili. Ciò non appare coerente con la cessazione dell’immatricolazione di veicoli nuovi a motore termico a partire dal 2035 e non per- mette di azzerare l’uso dei biocarburanti di prima generazione da colture dedicate entro il 2030.Per decarbonizzare i trasporti occorre proseguire nell’attuazione della Strategia europea, fatta propria dall’Italia con il Piano della transizione ecologica (PTE), conseguendo i target al 2030 per gli au- tobus e le auto elettriche, la crescita del traffico merci su ferrovia, riservando i biocarburanti avanzati per i trasporti non elettrificabili, come l’aviazione e la navigazione a lunga distanza.
- I servizi ecosistemici sono la domanda di funzioni esercitate in natura per regolare gli equilibri degli ecosistemi che può essere sollecitata anche attraverso il loro pagamento, come previsto dalla legge n. 221 del 2015, mai attuata. Tale importante risultato può essere conseguito: attraverso i processi di pianificazione territoriale; con la tecnica urbanistica della perequazione per fare affluire maggiori risorse ai territori che li producono; con l’utilizzo di una quota delle tariffe idriche per interventi di tutela dei territori dai quali viene prelevata l’acqua; con l’estensione dell’esperienza del Parco nazionale dell’Apennino Tosco-emiliano per collocare sul mercato volontario crediti di sostenibilità e crediti di carbonio legati alla salvaguardia e alla riqualificazione del patrimonio forestale.
- L’inquinamento atmosferico rappresenta ancora il principale fattore di rischio ambientale per la salute in Europa e sul nostro Paese sono pendenti due condanne e una procedura di infrazione europea per il superamento dei limiti in numerose Regioni. La proposta di nuova Direttiva europea dell’ottobre 2022 introduce limiti più stringenti, ma ha suscitato numerose proteste. La richiesta di flessibilità avanzata dall’Italia non va intesa come un ulteriore rinvio, anche perché vanno affrontati con decisione tre temi fondamentali: Il contenimento delle emissioni di ammoniaca degli allevamenti zootecnici intensivi e dello span- dimento dei fertilizzanti azotati in agricoltura; la drastica riduzione del numero di veicoli altamente inquinanti, a partire da quelli con motori diesel alimentati a gasolio; la diminuzione delle biomasse e del gasolio utilizzati per il riscaldamento civile.La legge n. 10 del 2013 sugli spazi verdi urbani ha contribuito a diffondere nel Paese e presso le ammi- nistrazioni locali una maggiore sensibilità che non si è però tradotta né in un incremento significativo delle aree verdi, né in una diffusione della pianificazione specifica. La Nature restoration law europea rappresenterà una svolta per il ripristino degli ecosistemi e richiederà un deciso cambio di passo in Italia, attraverso una campagna nazionale di educazione e sensibilizzazione, l’obbligatorietà dei Piani comunali del verde urbano e l’utilizzo delle aree di proprietà pubblica come volano per incrementare le infrastrutture verdi nelle città.
- Nonostante l’incombere di eventi catastrofici legati al cambiamento climatico, a otto anni dall’appro- vazione della Strategia per l’adattamento, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) non è ancora stato approvato definitivamente dopo la conclusione della consultazione di Va- lutazione ambientale strategica (VAS). Per evitare che il Piano nasca vecchio, in particolare per il settore Insediamenti urbani, è necessario dargli una struttura pienamente integrata con gli altri strumenti di programmazione territoriale, includere i temi dell’adattamento urbano nel governo del territorio e definirne le priorità (infrastrutture verdi, ciclo delle acque, arresto del consumo di suolo e soluzioni basate sulla natura).