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Invesco Global Sovereign Asset Management Study

Invesco: la transizione energetica è un tema prioritario per gli investitori di lungo termine

La transizione energetica continua a presentare sfide e opportunità per i fondi sovrani e le Banche Centrali. È quanto emerge dalla dodicesima edizione dell’Invesco Global Sovereign Asset Management Study.

Secondo lo studio, infatti, la transizione energetica è considerata un’opportunità di investimento sempre più interessante, con il 30% dei fondi sovrani e delle banche centrali che la considera un tema di allocazione altamente prioritario e un ulteriore 27% che detiene qualche forma di investimento in energie rinnovabili e cleantech.

Rod Ringrow, Head of Official Institutions di Invesco
Rod Ringrow, Head of Official Institutions di Invesco

“I sovrani che si occupano di sviluppo e, in particolare, di responsabilità, hanno spesso un forte orientamento al benessere della società, oltre a rendimenti costanti a lungo termine, che rendono questi investimenti attrattivi”, ha dichiarato Rod Ringrow, Head of Official Institutions di Invesco, “i flussi di cassa stabili e prevedibili su orizzonti temporali più lunghi sono interessanti per i fondi sovrani, che sono tra gli investitori a più lungo termine in assoluto”.

Altri risultati dello studio

Secondo l’analisi di Invesco, inoltre, le tensioni geopolitiche hanno superato l’inflazione come principale preoccupazione degli investitori sovrani, spingendo a un maggiore interesse nell’allocazione verso i mercati emergenti. Secondo l’83% degli intervistati, le tensioni geopolitiche sono uno dei principali rischi per la crescita globale nel prossimo anno, in aumento rispetto al 72% del 2023, a causa delle preoccupazioni per la rivalità tra le principali potenze e per le potenziali interruzioni degli scambi commerciali. I Fondi Sovrani considerano i mercati emergenti come potenziali beneficiari, sottolineando le opportunità offerte da tendenze come il nearshoring. Di conseguenza, il 67% dei Fondi Sovrani prevede che nei prossimi tre anni i mercati emergenti eguaglieranno o supereranno la performance dei mercati sviluppati.

Lo studio di Invesco, che è diventato il principale indicatore dell’attività degli investitori sovrani, si basa sulle opinioni di 140 chief investment officer, responsabili di asset class e senior portfolio strategist di 83 fondi sovrani e 57 Banche Centrali, che complessivamente gestiscono asset per 22.000 miliardi di dollari.

L’effetto delle tensioni geopolitiche è stato avvertito anche dalle Banche Centrali, che si rivolgono sempre più all’oro per diversificare le proprie riserve e proteggersi da vari rischi. La maggioranza (56%) delle Banche Centrali concorda sul fatto che la possibile militarizzazione delle riserve delle Banche Centrali renda l’oro più attraente, mentre il 48% ritiene che l’incremento del debito statunitense ne abbia aumentato l’appeal. Anche le Banche Centrali intendono rafforzare le proprie riserve nei prossimi due anni, spinte non solo dalle tensioni geopolitiche di lunga data, ma anche dalle imminenti elezioni nei mercati chiave. Le Banche Centrali sono consapevoli del fatto che i risultati delle elezioni potrebbero innescare volatilità di mercato, fluttuazioni valutarie e cambiamenti nel sentiment degli investitori, tanto che il 53% vorrebbe aumentare l’entità delle proprie riserve nei prossimi due anni, mentre solo il 6% intende ridurle.

Infine, l’indagine di Invesco ha messo in evidenza una visione diffusa secondo cui l’inflazione e i tassi di interesse sono destinati a rimanere più alti di quanto previsto in precedenza: il 43% dei fondi sovrani e delle banche centrali prevede che l’inflazione si assesterà al di sopra degli obiettivi delle Banche Centrali, mentre poco più della metà (55%) sostiene che gli obiettivi saranno raggiunti. Complessivamente, il 71% dei fondi sovrani e delle Banche Centrali prevede che i tassi di interesse e i rendimenti obbligazionari rimarranno, nel lungo periodo, intorno al 5%, il che sta avendo un impatto significativo sui piani di asset allocation a lungo termine dei fondi sovrani, inducendo una maggiore cautela sugli investimenti ad alta leva e orientati alla crescita a causa dell’incertezza dei costi di finanziamento.