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Quotazione PMI

Piazza Affari, il ruolo strategico dei fattori ESG nell’offerta pubblica iniziale

La presenza di una strategia ESG integrata nei piani aziendali è fondamentale per un’offerta pubblica iniziale di successo. Infatti, le imprese proattive in quest’ambito hanno maggiori probabilità di attirare capitale di lungo termine e di avere un apprezzamento del proprio titolo sul mercato. Considerando l’occasione di ingresso nel mercato dei capitali, ci sono svariate dinamiche ESG da considerare, specialmente per le piccole-medie imprese che costellano il mercato italiano e i concetti chiave sono quelli di gradualità, traiettoria e creazione di valore. Questo è quanto emerge dai contributi dei molteplici ospiti del webinar di Borsa Italiana sul tema della sostenibilità nelle IPO, moderato da Patrizia Celia, direttrice della Sustainable Finance Partnership di Borsa Italiana e da Caterina Crociata, listing account manager di Borsa Italiana.

Nel contesto di un’offerta pubblica iniziale, la sostenibilità diventa uno strumento per analizzare il profilo di rischio di un’azienda, specialmente osservando gli investimenti allocati per supportare la transizione green. Con l’IPO ogni azienda si racconta al mercato in tutte le sue parti e il profilo ESG che condivide diventa un mezzo per interpretare le grandezze contabili dell’impresa agli occhi degli investitori. Gli interessati possono vedere quali sono le probabilità che un’azienda riesca a mantenere o aumentare la sua quota di mercato o se è legittimo attendersi una contrazione. 

Tuttavia, le piccole-medie imprese che popolano il contesto imprenditoriale italiano spesso non sono pronte per affrontare i mercati finanziari e non riescono a bilanciare la necessità di produrre dati quantitativi standardizzati con il bisogno di raccontare una storia complessa. Capita frequentemente che queste PMI non riescano a valorizzare strategie ESG già adottate da tempo, che abbiano difficoltà a interagire con le società di rating, che l’approccio valutativo delle società di rating sia troppo rigido e strutturato per loro, o ancora che non siano consapevoli di aver ottenuto determinati rating ESG, come ha riportato Marcello Daverio, head of capital markets, managing director di Equita.  Diventa quindi importante per queste imprese rendicontare al meglio quegli indicatori di performance (KPIs) che possono attirare scelte di investimento. Allo stesso tempo, gli investitori calibrano le aspettative in base alla dimensione aziendale, quindi, mentre l’assenza di report e rating può portare un fondo ESG ad escludere completamente una grande azienda, le aspettative nei confronti di una PMI non sono altrettanto esigenti.

Da dove partire

Il punto di partenza dell’impegno ESG per ogni azienda è l’ultima lettera dell’acronimo, la G. “La governance è il fattore più importante perché indica le linee guide dell’azienda e definisce tutta la società, con obiettivi che determinano il valore a lungo termine” ha condiviso Antonella Brambilla, partner dello studio legale internazionale Dentons. Una buona governance parte dalla formazione di un consiglio di amministrazione eterogeneo, con un numero adeguato di membri indipendenti. Il consiglio determina poi l’ottica in cui viene affrontata la sostenibilità, in un range da greenwashing di facciata a obiettivo di sviluppo di lungo termine integrato nella strategia aziendale. Scaturendo tutto dalle linee di governance, le aziende che si affacciano al mercato tendono ad avere una G più consolidata in confronto agli impegni ambientali, verificabili ma ancora nuovi per molti imprese, e agli impegni sociali, il cui impatto è più difficile da quantificare. Così riferisce Massimo Catizone, head of ESG advisory di UniCredit, che suggerisce di sfruttare mezzi come bonds con use of proceeds per valenza sociale o strumenti sustainability-linked con KPIs legati al raggiungimento di obiettivi sociali. Infatti, questi meccanismi sono già conosciuti e possono offrire un’indicazione dettagliata agli investitori.

Il primo approccio all’ESG di molte imprese è quello di lavorare su trasparenza, reporting e disclosure, ma secondo Giovanni Aquaro, partner ed ESG lead della società di consulenza ERM, questo è più un costo che una creazione di valore, se non inserito in una strategia coerente. “Solo quando dimostro di conoscere bene il mercato allora riesco a definire azioni correlate che mi daranno un ritorno sia in termini di impatto socio-ambientale che di risultato finanziario. Il primo elemento da affrontare è quindi la materialità”, ha affermato Aquaro, “che è imprescindibile e va compresa nella complessità dei suoi trend per poter indirizzare efficacemente la strategia. Questo è il primo passo per avere qualcosa di utile che non sia solo un esercizio di rendicontazione”.

La definizione di un piano ESG, secondo Aquaro, prevede tre punti chiave: traiettoria, gradualità (cioè credibilità dell’approccio) e creazione di valore. Gradualità significa affrontare la sostenibilità con un processo inverso al tradizionale slancio delle grandi imprese in ambiziosi investimenti ESG. “Le PMI possono infatti partire da quello che già c’è, piuttosto da quello che potrebbe essere, per mappare e comunicare gli strumenti già presenti e implementabili in tempo utile prima dell’IPO”, ha confermato Brambilla, “è come tessere un vestito, parte per parte, in base ai materiali che si hanno a disposizione. Alcuni vestiti saranno più ricchi di altri, ma tutti i prodotti di qualità saranno in grado di attirare compratori”.

Anche se resta l’importanza di comunicare la strategia ESG tramite un insieme di iniziative svolte in passato, passi futuri e certificazioni esterne, tuttavia certificazioni e rating hanno anche alcuni limiti, come fatto notare da Aquaro e da Veronica Bosco, direttrice equity capital markets di UniCredit.  Le certificazioni, che anche le PMI possono ottenere da terze parti verificabili e riconosciute a livello internazionale, aiutano un’azienda a mostrare l’impegno ESG in occasione dell’IPO ma non bastano a provare l’impegno di sostenibilità a lungo termine, in quanto possono cambiare facilmente se cambia la governance. Perciò, alcuni investitori potrebbero non tenerli in alta considerazione. Similmente, i rating sono immediati e diretti, e comunemente richiesti dal mercato, ma non sono in grado di reggere un claim ESG senza un dettaglio di piano e strategia, specialmente per gli interlocutori più sofisticati.

Questionari ESG nel processo IPO

Mostrare di avere un pensiero integrato e strategico in ambito ESG rende positivamente nel corso di un processo di quotazione e per gli investitori in generale, specialmente quando si parla di asset manager e fondi specializzati ESG, che possono portare a un incremento di domanda del 10-15% secondo Bosco.

Negli ultimi anni sono presenti sempre più questionari ESG per valutare le aziende che si vogliono quotare in Borsa, come condiviso da Piero Munari, co-funder e managing partner di Arwin & Partners. Questi questionari tendono a partire da questioni di policy (per esempio child labor, environmental, security and safety) quindi da un livello generale, per passare poi all’appartenenza dell’impresa ad associazioni e network riconosciuti, come il Global Compact, e spingersi infine alla governance interna della società (presenza di un comitato ESG, integrazione di criteri ESG in tutti i livelli dell’azienda, etc.). Un punto fondamentale dei questionari è il livello di integrazione di standard ESG nel processo di investimento dell’azienda (per esempio, screening positivo e negativo).

Solo a questo punto vengono considerati i KPIs principali, che guardano ad aspetti come gestione dell’acqua, gestione dei rifiuti, percentuale di membri del CdA indipendenti. A seguire ci sono i cosiddetti voluntary KPIs, una serie molto estesa che serve agli investitori per poter condurre delle analisi proprie e il benchmarking con altre società. Questi KPIs, secondo Munari, dovrebbero essere aggiornati e comunicati semestralmente, e scelti secondo le tendenze di mercato internazionale. Per esempio, quest’anno si è iniziato a parlare molto di biodiversità, mentre la tassonomia europea ad alcuni investitori interessa molto, ad altri no. 

L’approccio degli asset manager

In primis, é possibile che alcune società vengano escluse dagli asset manager a livello regolatorio se la loro comunicazione non è completa, ma anche laddove non è obbligatorio condividere alcuni dati, il risparmio gestito preferisce una comunicazione trasparente. Infatti, anche se ci sono aspettative diverse in base alla dimensione aziendale, ci sono moltissime modalità di disclosure adatte a ogni tipo di business. Gli elementi più importanti sono che ci sia sempre una tensione verso una miglior comunicazione ESG e che la sostenibilità sia davvero integrata nella gestione dell’azienda e non solo una facciata. “È normale che le PMI soffrano di una mancanza di personale da dedicare esclusivamente all’ESG ma se la sostenibilità è integrata nella strategia, una PMI non ha bisogno di persone che si dedichino esclusivamente a quello”, ha commentato Gianluca Pediconi, partner di MOMentum.  Tutto quindi parte da un’analisi interna e da risorse già presenti nelle PMI.

Per gli asset manager è fondamentale che una nuova azienda quotata abbia target misurabili e materiali, che siano rilevanti anche se pochi, con un orizzonte temporale ragionevole e coerente. “Si vedono molti annunci di carbon neutrality al 2050, ma questi claim si scontrano con un orizzonte temporale del management molto più ridotto” ha commentato Angelo Meda, head of equities e portfolio manager di Banor SIM, che ha evidenziato come i claim da soli non possono fornire abbastanza certezza dell’impegno delle aziende. In occasione di IPO le imprese solitamente forniscono uno storico dei risultati raggiunti, ma è altrettanto importante che le società già quotate continuino a dare aggiornamenti annuali sui loro progressi e mostrino un miglioramento anno per anno, “piuttosto che fare annunci in pompa magna per un futuro in cui i manager non ci saranno più” ha concluso Meda.

Una volta compiuta una scelta di investimento, il compito degli asset manager, secondo Antonio Amendola, fund manager equity Italia di AcomeA, è di affiancare aziende e imprenditori con un’ottica di engagement collaborativo, che difficilmente potrà causare sentimenti ostili. Infatti, le imprese sono sempre più consapevoli che investire nell’ESG sia nel loro interesse, e alcune riescono a posizionarsi ahead of the curve, anticipando gli interessi degli investitori. Riprendendo l’idea di traiettoria e gradualità, è essenziale che gli investitori guardino allo sviluppo organico dell’azienda, partendo dalle risorse disponibili.