Le mosse di Fed e BCE erano ampiamente previste, ora le strade delle due banche centrali potrebbero dividersi. La Fed è prossima alla fine di un ciclo restrittivo che si è sviluppato in dieci rialzi consecutivi, la crisi bancaria ci mette del suo inasprendo l’accesso al credito che equivale a un aumento del costo del finanziamento, molti osservatori sono convinti che la banca centrale americana sarà costretta a invertire la stance già nell’estate.
Non è invece ancora finito il lavoro per la BCE. Il settimo aumento consecutivo dei banchieri di Francoforte ha portato i tassi dell’Eurozona a 3,25% ma l’esclusione della “forward guidance” e la ribadita dipendenza dai dati lascia al Board mani libere per altri aumenti nel prossimo futuro, le aspettative degli operatori del mercato interbancario, rilevate dai prezzi dell’overnight index swap, scontano un paio di aumenti quest’anno. Complicano le cose i dati sull’occupazione negli Stati Uniti. I 253.000 nuovi posti di lavoro non agricoli creati in aprile non sono coerenti con uno scenario di rallentamento.
Il dato del lavoro pone l’investitore a un bivio, qualche analista ritiene che il report si rivelerà essere l’ultimo positivo, poi l’economia americana “scivolerà nella recessione”, altri osservatori vedono nella resistenza dell’occupazione una solida conferma della buona salute dell’economia americana. Questi ultimi non credono alla possibilità di tagli dei tassi da parte della Fed nell’estate, l’appuntamento con la recessione è spostato ancora più avanti.
Tecnicamente si parla di recessione in presenza di due trimestri consecutivi di crescita negativa, ma nella concretezza i fattori che definiscono un’economia in contrazione sono la:
- Diffusione: il rallentamento si verifica in tutti i settori ed è registrato da più indicatori;
- Profondità: non si tratta di una semplice battuta d’arresto ma di una vera e propria flessione;
- Durata superiore a qualche mese.
Non c’è dunque da tenere d’occhio il solo mercato del lavoro, sono altrettanto importanti indicatori come i consumi, la produzione industriale, il reddito reale: la combinazione di questi indicatori darà affidabili indicazioni sulla direzione della crescita e la sua intensità. Le scorte sono ancora alte, il rapporto scorte/vendite delle imprese è oltre l’8% rispetto all’inizio del 2021. Domanda in calo ed eccesso di offerta significano meno cose da produrre e ancor meno da trasportare, un altro segnale negativo viene dal minor consumo di gasolio. Sono in contrazione anche la produzione manifatturiera e le vendite di elettricità alle fabbriche.
I dati del trasporto merci sono di solito un indicatore anticipatore dell’attività economica, ma come la curva dei tassi invertita nulla dice su timing e profondità della frenata, non sappiamo se i segnali del trasporto merci preannunciano una vera recessione o solo un rallentamento. D’altro canto, la stagione degli utili ha portato allegrezza agli investitori: i consumatori non hanno tradito e le Big Tech hanno comunicato risultati lusinghieri. Il mercato non è altrettanto ottimista per il futuro, tiene conto delle condizioni delle banche, della crisi politica sul tetto al debito, delle valutazioni del listino americano ancora elevate.
L’incertezza sui tassi di interesse e le performance dell’economia sono le maggiori variabili che condizioneranno le scelte allocative. Il divario tra i dati economici e i mercati finanziari che prezzano la recessione è insostenibile, la “pietra del destino” in questo caso è l’inflazione e sappiamo quanto sia difficile prevederne l’andamento, per due anni si è temuta la deflazione poi nel giugno del 2022 l’inflazione americana superò il 9%, sarebbe altrettanto azzardato fare oggi previsioni sul tempo necessario per riportarla sotto controllo. Gli esiti possibili sono ancora numerosi e tra loro diversi, in questo caso anziché scommettere sulla direzionalità meglio tornare ai fondamentali, ricordare che non esiste nessuna classe di attivo in grado di offrire reale protezione in qualsiasi scenario; nonostante alcune asset class siano considerate “porti sicuri”, ad esempio il Treasury o l’oro, in realtà nessuna è in sé un porto sicuro in quanto esposta alle cangianti condizioni dello scenario e agli eventi geopolitici.
La fiducia nel metodo, la diversificazione e la pazienza sono messe alla prova soprattutto quando perdono valore le azioni, maggior fonte di rischio del portafoglio e principale motore della performance. Guardando alla storia passata, dalla metà del XIX le fasi di recessione sono durate in media (dettaglio importante!), diciassette mesi a fronte di fasi espansive durate, in media, quarantuno mesi. Gli aggiustamenti tattici sono utili per attutire gli effetti delle fasi negative, l’esercizio che deve guidare tali aggiustamenti è la costante verifica delle fonti di rischio e il loro compenso, scelte allocative radicali sono sempre più rischiose.