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Verderajme: come cambia la gestione del personale con i modelli organizzativi ESG

Il capitale umano è una variabile fondamentale nella costruzione di un modello sostenibile di impresa. Una trasformazione nella quale i direttori del personale sono chiamati ad avere un ruolo attivo per riuscire a rispondere alle nuove esigenze dei lavoratori, che passano da un migliore equilibrio tra vita lavorativa e personale, grazie a modelli più flessibili, alla valorizzazione degli individui e delle loro capacità, superando le vecchie barriere della scarsa diversità dei vertici aziendali. “Oggi la cultura del lavoro è cambiata e le tematiche da affrontare non sono più contrattualistiche, ma sociali. Riguardano l’attenzione alle persone e alla loro evoluzione a trecentosessanta gradi, dove la cura dell’equilibrio tra le esigenze della sfera professionale e privata è centrale”, afferma Marina Verderajme, presidente di GIDP, l’associazione dei direttori del personale nata più di 30 anni da un gruppo di 400 professionisti, con l’intento di creare uno spazio di confronto sui temi riguardanti le risorse umane, e che oggi conta su una rete di oltre 4500 tra HR manager e HR director.

Appena insediata Verderajme, ha promosso la creazione di sei tavoli tematici sulle sfide core della gestione del personale, riguardanti l’ambito legale sindacale, il welfare, il talent management, l’innovation & digital, l’internazionalizzazione, new ways of working e la diversity & inclusion e sostenibilità. L’esperta di politiche del personale, che è anche presidente di JobFarm-ACTL, ente di formazione e orientamento e fondatrice di Recruit, società di ricerca, selezione e intermediazione del personale, racconta a ESGnews quali sono le sfide di quest’area in rapida evoluzione.

Il Capitale Umano è una leva sempre più strategica. Qual è il livello di consapevolezza riguardo questo fattore da parte delle aziende italiane?

L’interesse crescente ai temi della sostenibilità ambientale, sociale e di governance in azienda ha posto al centro il capitale umano nelle strategie degli imprenditori e delle direzioni del personale. In particolare, si constata un cambio di approccio da parte di questi ultimi i quali, oltre ad assumere un ruolo di tipo gestionale-amministrativo, sono sempre più impegnati nel supporto alla crescita dei dipendenti e delle dipendenti.

In Italia, tuttavia, manca ancora l’attenzione necessaria alla formazione continua e permanente delle persone e ci si concentra esclusivamente su quella obbligatoria, per lo più legata al mantenimento di certificazioni tecniche specifiche e non volta a fornire quell’aggiornamento formativo e culturale necessario a mantenere le capacità professionali che garantiscano un’occupabilità nel corso della vita di un individuo.

È invece importante che dipendenti, imprenditori, parti sociali, governo e tutti coloro che fanno parte del sistema Paese comprendano il valore della formazione quale leva di cambiamento e fondamenta per mantenere competitivo il sistema industriale. Finché ciò non avverrà, non ci sarà mai piena consapevolezza di quanto il vero capitale delle imprese sia quello umano.

Quali sono i temi ESG più rilevanti per quanto riguarda la gestione del personale?

I direttori del personale concentrano la propria attenzione ai temi che attengono alla sfera sociale, quindi a tutto ciò che riguarda la persona soprattutto in termini di benessere e di flessibilità sugli orari e gli spazi del lavoro. Le principali richieste dei lavoratori sono legate infatti per lo più a questi due aspetti che rientrano nel più ampio tema del bilanciamento tra vita privata e lavorativa, il work-life balance. E alle aziende oggi è domandato un dignitoso livello di welfare. Se possibile esteso al contesto familiare del dipendente.

C’è poi, come anticipato, il tema della formazione e dello sviluppo della persona che è oramai considerato cruciale: la tecnologia cambia e si rinnova a un passo sempre più veloce e quindi le persone devono essere accompagnate in percorsi di crescita evolutivi per poter sfruttare le potenzialità uniche e irripetibili di ciascun individuo.

Quando si guardano i dati sulla diversity si nota come, mentre l’Italia primeggia come presenza di donne nei consigli di amministrazione, rimane indietro a livello di top management. Cosa state facendo come associazione per aiutare le aziende a migliorare sotto questo profilo?

Un anno e mezzo fa abbiamo iniziato a lavorare come associazione per promuovere la certificazione UNI/PdR 125:2022 sulla parità di genere che prevede l’adozione di una serie di KPI, ossia di indicatori chiave di prestazione, sui temi della diversità e dell’inclusione nelle organizzazioni, inclusi il bilanciamento di genere nelle posizioni di leadership manageriale e l’empowerment femminile. A dicembre GIDP ha poi premiato le aziende che avevano adottato la prassi UNI, segnalandole come “ambassador” della rete sulle best practice in materia.

Infatti, il percorso di certificazione permette di avvicinarsi alle tematiche chiave in ambito di parità di genere, quali l’approccio alla selezione e all’assunzione del personale, la gestione della carriera, l’equità salariale, la genitorialità, la conciliazione dei tempi vita-lavoro e la prevenzione a ogni forma di abuso e/o molestia, definendo dei criteri per misurare le proprie prestazioni in tali ambiti. L’aspetto della quantificazione è per GIDP un passaggio importante perché permette di valutare effettivamente l’impegno e la direzione dell’azienda.

Per ampliare poi la promozione, attualmente, stiamo stilando un rapporto, che pubblicheremo a metà anno, in cui raccoglieremo le esperienze degli HR manager e director che hanno incoraggiato e incentivato la prassi UNI nelle loro organizzazioni e racconteremo anche esperienze di organizzazioni che, pur non avendo ancora ottenuto la certificazione, si distinguono per iniziative di valore.

Equità e stipendi. Per i giovani sono spesso troppo bassi per conquistare una propria autonomia e non cedere alla tentazione di andare all’estero….

In Italia la problematica è frutto della combinazione di due questioni: la prima riguarda il costo del lavoro che è molto elevato e questo rende meno competitivo il sistema retributivo italiano rispetto ad altri. La seconda, invece, concerne il disallineamento tra le posizioni di lavoro offerte e le candidature idonee a ricoprirle. Dal nostro osservatorio, gli HR manager segnalano la difficoltà di trovare candidati con le competenze adeguate a candidature che restano aperte con alte retribuzioni.

Ancora una volta, la risposta sono formazione ed educazione e in questo caso la necessità di riallineare i percorsi di studi e l’accompagnamento al mondo del lavoro, integrando l’offerta formativa con le richieste delle aziende in termini di competenze tecnico-scientifiche.

Questo non significa modificare in toto l’approccio accademico e formativo italiano, che risulta vincente dal punto di vista dello sviluppo culturale della persona e della capacità di pensiero critico necessaria a innovare, ma fare entrare i progetti d’impresa e gli stimoli delle aziende, e dei suoi rappresentanti, all’interno delle Università. Ciò permetterebbe agli studenti di integrare la formazione per riuscire a meglio comprendere, già dai primi anni di studio, le dinamiche e le richieste del mondo industriale e produttivo.

Sempre più aziende varano iniziative per favorire un migliore equilibrio tra lavoro e vita personale, come la settimana di quattro giorni. Come sta cambiando l’organizzazione del lavoro?

Il cambiamento dell’organizzazione del lavoro è ormai in atto. Complice anche il Covid, sempre più numerose sono le realtà imprenditoriali che hanno accolto nuove pratiche come la settimana corta, lo smart working flessibile e l’elasticità oraria per garantire un maggiore bilanciamento tra vita lavorativa e privata. La necessità di cambiamenti organizzativi è diventata una questione culturale che riguarda anche una rinnovata concezione del lavoro.

Pertanto, in tutte le aziende il tema è sui tavoli. Per meglio adattare l’organizzazione del lavoro all’interno delle aziende alle esigenze attuali dei lavoratori, è necessario adeguare alcuni aspetti della contrattualistica, perché il sistema giusnaturalistico italiano è molto rigido in termini, per esempio, di presenza in azienda o di retribuzione/ore di lavoro. In questo senso HR manager e sindacati hanno un ruolo fondamentale nell’affiancare l’imprenditore e trovare nuove formule per sposare le necessità dei lavoratori a quelle delle aziende.

Sovraintendere la sostenibilità è una mission sempre più importante per le aziende. A livello di direttori del personale qual è il livello di formazione sulle tematiche ESG?

Per poter portare sostenibilità in azienda gli HR manager e i direttori del personale devono essere i primi a dotarsi di adeguati strumenti formativi per comprendere opportunità e vantaggi dell’introduzione delle variabili ambientali, sociali e di governance nei modelli aziendali. Pertanto, GIDP è sempre più attenta a organizzare incontri e seminari al riguardo e patrocina percorsi di alta formazione sulle tematiche ESG dato che è essenziale conoscere gli strumenti da introdurre a livello operativo. Anche nel nostro settore, bisognerebbe includere dei percorsi di aggiornamento ampi e di visione strategica, mentre sono ancora prediletti quelli obbligatori che non includono ancora i temi di sostenibilità.