Intervista

BonelliErede: da un progetto di accoglienza per gli ucraini a un modello di integrazione

La sostenibilità è un tema sempre più centrale anche per gli studi legali. Se da una parte, infatti, l’enorme flusso normativo atto a formare un solido quadro regolamentare per aziende, finanza e cittadini, trova negli studi legali un alleato per la propria attuazione, dall’altra le law firm stesse si impegnano ad agire e perseguire obiettivi ESG. BonelliErede, uno dei principali studi legali italiani, ha iniziato ad adottare iniziative che oggi faremmo rientrare nell’ambito delle azioni volte alla sostenibilità fin dalla sua nascita nel 1998, scegliendo di sostenere, per esempio, progetti a favore dei minori. Nel tempo, l’attività è diventata più strutturata e ha visto la creazione di un comitato CSR.

“Fin dalla sua fondazione lo studio ha destinato diverse risorse al terzo settore, con un focus sul sostegno ai minori”. Da allora spiega Marcello Giustiniani, partner di BonelliErede e leader del Comitato CSR, “tutti gli anni destiniamo una parte degli utili, sempre in crescita, a favore di alcune organizzazioni selezionate. Non si tratta, però, dell’unica attività dello studio. Il comitato CSR, infatti, nato cinque anni fa, ha affiancato alla funzione di finanziamento per il sociale e di interventi pro bono, quella di costruzione di partnership”. Il raggio di azione, quindi, si è allargato dal semplice finanziamento di progetti a un ruolo più attivo che prevede una collaborazione con le entità coinvolte per realizzarli, partecipando alla loro definizione. 

L’ultimo esempio è la creazione del Centro di Aiuto per l’inserimento al lavoro dei profughi di guerra ucraini, avviato a maggio 2022 in piena emergenza per il conflitto, sotto l’egida del comune di Milano e insieme alla Cooperativa sociale Cometa Formazione e all’associazione ITA2030. Un esempio di successo che risponde alla necessità di integrare e offrire una prospettiva di inserimento sociale e di lavoro per gli immigrati e che potrà essere replicato e ampliato nella sua portata oltre l’emergenza Ucraina. “A quasi un anno dal suo lancio, il progetto ha gestito oltre 600 primi colloqui, ha trovato lavoro a circa 100 persone presso 15 aziende, ha svolto cinque corsi di alfabetizzazione e professionalizzanti per accrescere le opportunità di inserimento e sopperire ad alcune difficoltà riscontrate, come per esempio la lingua”, spiega Giustiniani, che racconta a ESGnews le attività dello studio in ambito sostenibilità.

Com’è nato il progetto “Il giorno dopo” rivolto all’inserimento dei profughi ucraini?

“Il giorno dopo” è stato avviato a maggio dello scorso anno e ha abbracciato un tema che si allontana dalla nostra attività core, concentrata sull’assistenza ai minori, perché il progetto è volto all’integrazione nel mondo del lavoro dei profughi ucraini. L’obiettivo è quello di proporre iniziative a valle della prima accoglienza, collaborando con le organizzazioni che forniscono l’assistenza primaria per facilitare un inserimento nel mondo del lavoro delle persone arrivate in Italia in condizioni di necessità. 

La denominazione “Il giorno dopo” non è casuale e si riferisce proprio al fatto che, se il primo giorno è da intendersi come quello della prima assistenza, in cui sono coinvolti il comune e le associazioni caritatevoli, BonelliErede, Cometa e ITA2030 intervengono in un secondo momento, con alcune attività propedeutiche a un reale inserimento attraverso un’indipendenza economica. Per questo scopo occorrono una serie di attività per mettere le persone in grado di svolgere un ruolo, quali l’insegnamento dell’italiano, e la ricerca di opportunità concrete con l’inserimento in settori nei quali c’è richiesta di manodopera, per esempio nella ristorazione. L’obiettivo del progetto non è unicamente quello di rispondere alle esigenze del momento, ma di fornire una proposta di inserimento strutturato nella società italiana. Così facendo si cerca di far fronte a due necessità: quella dei profughi di sostentarsi con una fonte di reddito e quella di tanti settori dell’economia italiana che, tra calo demografico e fuga verso altre professioni, sono sprovvisti di personale.

L’inserimento degli immigrati non viene facilitato dalla complessità e rigidità delle procedure per legalizzare la manodopera. Utilizzerete la vostra competenza giuridica per avanzare proposte di miglioramento da questo punto di vista?

Questo progetto specifico era rivolto ai profughi ucraini, per cui il problema dell’inserimento è meno presente rispetto alle altre nazionalità grazie ad interventi speciali che hanno reso l’integrazione burocratica provvisoriamente più semplice. Il passaggio successivo che stiamo percorrendo è allargare questa esperienza a stranieri provenienti anche da altre località, ponendoci come interlocutori per un problema più ampio, ossia l’integrazione dei migranti. 

Nella fase attuale stiamo costruendo una piattaforma per mettere in relazione le iniziative analoghe creando coordinamento tra di esse, condivisione di esperienze e competenze e dunque efficienza e, al contempo allargando il progetto anche a città diverse. In un primo momento la connessione riguarderà la realtà di Milano gestita da BonelliErede, Cometa e ITA2030, con le associazioni Elis a Roma e Next a Parma. Nel costruire questa piattaforma, però, siamo molto attenti a non privare le entità della propria identità. Vogliamo sostenere il terzo settore nel suo percorso di crescita con criteri di efficienza, professionalità e pragmatismo, per il bene comune, ma senza sovrascrivere ai principi identitari di ciascuna iniziativa.

Sul fronte normativo, abbiamo un incontro istituzionale a Roma programmato nei prossimi giorni proprio per cercare di porci come interlocutori in questa fase in cui il fenomeno dell’immigrazione è al centro dell’attenzione e l’esperienza diretta di chi ci ha lavorato e ci lavora può davvero servire a tutti. Nel discorso di programmazione dei flussi, è fondamentale la presa di coscienza del problema del sistema italiano che al momento non è in grado di cogliere l’opportunità di integrare, qualificandolo, chi ha bisogno di venire nel nostro Paese. 

Di fronte al tema degli immigrati serve un salto culturale per comprendere come trasformare il problema dei flussi migratori in un’opportunità…

Dobbiamo fornire una prospettiva di impegno concreta, senza peccare di buonismo. L’assistenzialismo esasperato, infatti, rischia di non sollecitare, di non stimolare le energie per impegnarsi a ottenere qualcosa. L’assistenza che ricorre a sistemi di carità rischia di affievolire gli stimoli, per questo è importante che dopo l’accoglienza, chi ha bisogno di aiuto si trovi di fronte sfide e prospettive concrete. In questo senso stiamo collaborando a stretto contatto con diverse aziende clienti del nostro studio o parte del circuito di ITA2030, le quali non solo aiutano chi ne ha tanto bisogno ma in qualche misura trovano risposta al loro forte bisogno di manodopera. 

Sul piano istituzionale, speriamo di poter replicare a livello nazionale il lavoro fatto con il Comune di Milano e con la regione Lombardia, che ci sono sempre stati al fianco. L’iniziativa sugli ucraini non avrebbe potuto sorgere se non ci fosse stata l’alleanza delle istituzioni del territorio. 

Si tratta di un tema molto caldo quindi la risposta degli interlocutori non è scontata…

È senz’altro così, ma allo stesso tempo credo che la retorica che descrive i migranti come invasori sia ormai superata e che le persone stiano capendo che il problema è molto più complicato e va affrontato con risposte articolate. A tal proposito, il fatto che qualcuno inizi a pensare di creare dei percorsi di integrazione seri e strutturati è molto importante. Bisogna sostenere l’inserimento strutturale al lavoro, che davvero deve “nobilitare l’uomo” e non mortificarlo: e questo vale per gli immigrati che fuggono dalla violenza e attraverso il lavoro possono inserirsi nella nostra società, così come per i ragazzi del nostro Paese: assistiamo a un numero crescente di giovani, cosiddetti “Neet” (Not in employment, education or training), che restano al di fuori di percorsi di studio e lavoro. Non possiamo permettercelo.

Le logiche studiate per l’integrazione degli immigrati nel mondo del lavoro potrebbero essere utilizzate anche per i giovani più in difficoltà?

È la prima necessità sociale su cui come BonelliErede abbiamo focalizzato l’attenzione insieme a ITA2030, collaborando con tante società, soprattutto tecnologiche, per realizzare progetti di sostegno nell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Uno tra i più interessanti in questo ambito, che stiamo cercando di sostenere, è il progetto di recupero di giovani in carcere, che hanno una tendenza alla recidiva altissima e che invece, grazie all’inserimento lavorativo, scoprono una nuova opportunità per sé e per le proprie famiglie. 

Il vostro studio è dotato anche di un team ESG. La sua attività è parallela a quella del comitato CSR?  

Decisamente sì. Il team ESG si occupa del percorso di miglioramento nella sensibilità del nostro studio legale verso i temi ESG, anche con l’aiuto di esperti esterni e di fornire a terzi consulenza sugli aspetti e le implicazioni legali. Con l’attenzione che aumenta su tali questioni, infatti, è necessario conoscere, e seguire, criteri e parametri normativi. 

In questo contesto, l’attività del comitato CSR è il complemento fondamentale. Essa si focalizza, infatti, nel supporto alla realizzazione concreta di progetti di sostegno all’ambiente, inclusione e, più in generale, di solidarietà sociale; quei progetti che poi vengono asseverati dai vari punteggi e certificazioni. 

Negli ultimi anni è giustamente cresciuta l’attenzione alla forma, ai parametri, alle certificazioni: si tratta di una grande opportunità che è necessario cogliere, per le persone e per le aziende, dando corpo e concretezza ai concetti che si proclamano, perché altrimenti la forma rischia di prevalere sulla sostanza, soffocando l’anima vera delle cose. Se ne è parlato e se ne parla molto: qualche volta si coglie un po’ di ipocrisia e formalismo e la sfida per noi che siamo attivi, da tanti anni e in concreto, nel mondo ESG è proprio quella di cogliere l’opportunità e riempire questi concetti, per molti nuovi e un po’ teorici, di contenuti, e cioè di attività, concreti. Guai a sporcare la recente maggior sensibilità all’ESG riducendola a un modo di realizzare scartoffie, burocrazia e formalismo, funzionale solo a nuovi profitti. Per cogliere realmente l’opportunità dobbiamo comunicare con sincerità, entusiasmo ed emozione i progetti che portiamo avanti e aprire la porta a chi voglia prendervi parte attiva. C’è bisogno di tutti e insieme ai nostri partner ed a molti dei nostri clienti stiamo davvero realizzando grandi cose.